Quella volta in tenda a Salisburgo

In quegli anni, 1977, ’78 e ’79, stavo cominciando la mia carriera di giornalista al seguito del motomondiale, di quello che ancora si chiamava “Continental Circus”, e collaboravo con Repubblica, Il Giorno e Motociclismo. L’ultima gara del ’78 si disputò il 20 agosto sul vecchio Nurburgring, quello con oltre 180 curve lungo 22,835 km, e la vinse Virginio Ferrari, per quell’occasione in sella a una Suzuki ufficiale che avrebbe guidato anche l’anno successivo coi colori del Team spezzino di Roberto Gallina. Essendo Virginio un parmense spostatosi a Milano, figlio dei gestori della Punta dell’Est all’Idroscalo, feci in modo di intervistarlo per Repubblica. Era gentile, simpatico, pazzo, generoso e ci incontrammo a pranzo dopo che era stato in Giappone a provare le moto per il ’79. Era il primo italiano dopo Giacomo Agostini a essere riuscito a vincere un GP della 500. Qualcosa di epico, storico. Si presentò con un suo amico di Monza, un fotografo tra i migliori di sempre nell’ambito dei motori, Franco Varisco. Un tipo simpaticissimo, motociclista convinto, così semplice che le foto più belle non le vendeva, ma se le teneva. D’altronde allora c’erano le diapositive e se te ne privavi era per sempre. Beh, da quel pranzo nacquero amicizie belle e sincere. Tant’è che tra il GP del Venezuela che apriva quella stagione il 18 di marzo e quello successivo in Austria a Salisburgo del 29 aprile passava più di un mese. In quell’intervallo mi arrivò una telefonata proprio di Varisco che mi chiese se volessi andare a Salisburgo e a Hockenheim, che era la domenica dopo. Io risposi che certo, avrei voluto, ma come ci saremmo andati? Ci avrebbe dato un passaggio con la sua Toyota Land Cruise rosso-blu Virginio Ferrari. Meraviglioso, ma dove avremmo dormito? Ci avrebbe prestato una tenda proprio Ferrari, una di quelle gialle a igloo che si aprivano come un grande ombrello. A quel punto mi feci fare l’accredito e partimmo. Io ero un novizio, andare alla mia prima gara fuori dall’Italia con un pilota ufficiale che puntava al titolo, mi faceva essere al settimo cielo. Allora si poteva piantare la tenda sotto i camion dei team senza problemi. Ricordo che il sabato cominciò a piovere forte e in tenda dormivamo avvolti in 2 sacchi a pelo, vestiti, coi guanti e il berretto di lana, la tenda era tutta bagnata anche dentro… A un certo punto, saranno state le 4 o le 5 del mattino e nel dormiveglia Varisco mi diede un colpetto dicendo: “Non piove più”. In effetti il rumore delle gocce d’acqua sul telo era scomparso. Aprimmo la tenda e sì, non pioveva più, nevicava… Uscimmo e andammo sotto la tettoia del bar-ristorante del paddock, un casone in stile austriaco, di legno, molto spiovente e saltellando aspettammo che aprisse alle 7.30. L’anno successivo in GP di Salisburgo non si disputò perchè di neve ne era caduta un metro e mezzo. Salisburgo era la prima tappa europea, era un circuito pazzesco che correva andando sul fondo di una vallata, nel ritorno sulla costa della montagna. I due pezzi erano raccordati da una curva in salita e una in discesa. Era pericolosissimo, tra pietre, guard-rail e balle di paglia sempre bagnate e quindi dure come un muro di cemento. Ma aveva un fascino assoluto: i box erano una tettoia che veniva occupata soltanto durante i turni di prova a turno secondo la cilindrata da meccanici con carrelli pieni del necessario che poi tornavano sotto le tende nel paddock. Quella stradina che conduceva ai box era trafficatissima anche considerando che allora in pista c’erano, a turno per due volte al giorno 50, 125, 250, 350, 500, sidecars e giravano oltre 40 piloti per categoria. Le strutture praticamente non esistevano: pochi bagni, una casetta dove stavano i cronometristi al piano di sopra, la sala stampa con uno o due telefoni a muro sotto. La struttura stava sul lato esterno. Si scriveva con macchine da scrivere manuali e sembrava di stare in mezzo ad una sparatoria e per avere i tempi si dovevano aspettare ore. Ma era un posto bellissimo, abbastanza vicino alla villa di Niki Lauda, in mezzo a boschi e montagne verdissime, per entrare al circuito si scendeva una stradina e poi si passava sotto il viadotto lassù, in alto della strada che portava alla città di Mozart. Quel primo anno Salisburgo la vidi poco dato che ero in tenda senza mezzi propri di locomozione, ma ero felicissimo così; anche se poi capii che mi ero perso molto dato che Salisburgo era un luogo magico, bellissimo, pulito, sicuro, animato, interessante, pieno di luoghi da visitare e altri da godersi andandoci a cena o a bere qualcosa. Quel paddock così raccolto, campagnolo era comunque qualcosa di straordinario, la fotografia di un’epoca che stava scomparendo, di uno sport che stava cambiando, che dava la sensazione netta di un mondo nuovo che stava arrivando. Ma che bella quella mia prima volta al Saltzburgring, circuito pazzesco, simbolo di un motociclismo che non c’è più.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Quella volta in tenda a Salisburgo