Il sol calante: la crisi sportiva delle moto asiatiche

La seconda gara di Misano, stranezza del calendario MotoGp generata dalle uscite delle tappe in India e Kazakistan, sarà l’ultima prima del lungo tour asiatico, decisivo e sempre imprevedibile, pronto a proclamare il campione del mondo 2024 o a definire le gerarchie con cui si arriverà a Valencia. Ma anche se ancora mancano molte gare, molte sprint, tantissimi punti da conquistare, è praticamente sicuro che il Mondiale sarà vinto dalla Ducati. Arrivare in Asia e avere questa certezza prima ancora di cominciare il giro è normale in questo momento storico, ma del tutto inusuale per il motomondiale. Perché il tour asiatico è sempre stato quello in cui emergeva l’ultima e definitiva differenza che stabiliva non solo il nuovo numero uno del motomondiale, ma anche la moto vincente. Che spesso era una Honda o una Yamaha. Honda ci tiene particolarmente, anche perché il gran premio del Giappone è di casa sua più che di chiunque altro, dato che Motegi è il cuore della sua galassia del motorsport, sede anche del suo museo, uno dei più preziosi esistenti. A maggior ragione è triste pensare che tra due settimane si arrivi in Giappone a correre all’alba europea, che in questo momento è un tramonto del motociclismo da corsa del Paese. Il Sol Levante, oggi, è un Sol Calante. Quasi sprofondante. Per ritrovare la luce, è necessario capire le cause del buio. Riconosciamo i meriti a chi li ha, innanzitutto. Ducati con Dall’Igna ha sconvolto ogni paradigma tecnico; Aprilia, dopo aver debuttato forse anche frettolosamente in MotoGp con una specie di Superbike adattata, ha messo a punto un progetto che è un gioiello, ancora allo stato grezzo salvo qualche luccichio sporadico, ma abbastanza brillante da richiamare l’attenzione di due grandi piloti pronti a ripulire le asperità e dargli il giusto valore: il leader del campionato Jorge Martín e Marco Bezzecchi. Ktm ha investito tanto per trasformarsi da leader del mercato e del motociclismo sportivo offroad in riferimento anche su pista, diventandolo alla grande nelle categorie di supporto e mettendosi con un fuoriclasse come Acosta e i futuri arrivi di Viñales e Bastianini nella posizione di dipendere dalla propria capacità di fare l’ultimo passo evolutivo per mettersi in pari con la Ducati. Ma ovvio, al netto della bravura degli altri, per le case giapponesi c’è un tema di demerito che non si può nascondere. Il covid ha prodotto disastri, al punto da indurre Suzuki a rinunciare al progetto MotoGp. Ma c’è di più. Valentino Rossi era ancora in attività quando, pur con un esplosivo Quartararo che con il suo talento risolveva ogni cosa, segnalava i due punti deboli di Yamaha: poca potenza e troppo pattinamento della gomma posteriore in accelerazione. La poca potenza nasce da un 2016 nefasto in cui al Mugello Yamaha soffrì due rotture di motore nello stesso weekend, una per Lorenzo e una per Rossi. Da quel momento il quattro cilindri in linea non ha mai più spinto come gli altri motori della MotoGp. Ma la proverbiale gentilezza del telaio ha permesso a Yamaha di restare competitiva, fin quando la MotoGp non è stata estremizzata. Un po’ l’evoluzione delle gomme Michelin, un po’ l’aggressiva politica delle case europee nello sviluppo aerodinamico e dei device come l’abbassatore hanno preso di sorpresa Yamaha, che ha cominciato a perdere ogni vantaggio dovuto alla bontà delle sue caratteristiche di base e a sprofondare, con l’emblematico epilogo del Mondiale di due anni fa in cui Quartararo, inerme, è stato divorato da Bagnaia nonostante avesse aperto un vantaggio in classifica di quasi cento punti. Il Diablo che ci aveva messo una pezza, il Diablo campione del mondo, scopriva che quello di cui si lamentava Rossi e che forse aveva spinto in parte Lorenzo ad andare in Ducati diventava insormontabile di fronte all’avanzata tecnologica europea. La storia di Honda è un po’ diversa. Mentre Yamaha ignorava i segnali di allarme delle proprie icone, Honda seguiva pedissequamente le richieste della sua, Marc Márquez. Márquez, con il suo talento e la sua sensibilità, aveva creato una moto infernale per tutti, perfetta per lui. Un tritacarne che ha fatto perdere la strada a grandi campioni come Pedrosa e Lorenzo, ma anche a ottimi piloti come Pol Espargaró e Álex Márquez. E probabilmente, al netto dell’ascesa irrefrenabile delle case europee, sarebbe stato molto più complicato arrestare il dominio di questo mostro ingestibile che per Marc Márquez era invece l’altra metà del suo cuore, la sua Honda scorbutica e poco raffinata, violenta nell’erogazione del suo V4 e spigolosa, ma straordinariamente efficace e vincente, senza il devastante incidente di Jerez nella prima gara post pausa covid, forse la più feroce dimostrazione di superiorità di Honda e Márquez fino alla caduta che ha spezzato il braccio destro del campione. In quel momento, oltre al braccio, si è spezzata anche l’evoluzione Honda. Attendere Márquez era impossibile, inseguire tutti da lontano inaccettabile. Fatto sta che per creare qualcosa che continuasse ad andar bene a Márquez quando fosse tornato e che però fosse utilizzabile per chi doveva ridurre l’impatto della sua assenza sui risultati, Honda si è infilata in un labirinto ingarbugliatissimo, non risolvendo alcun problema ai suoi piloti diversi da Márquez, e frustrando Marc quando, tornato in forma dopo quattro operazioni, si è trovato con qualcosa di profondamente diverso dall’altra metà del suo cuore che aveva lasciato. Al punto da tornare a chiedere roba vecchia di anni per provare ad andare più forte. La rottura con Márquez è stata vissuta forse con rassegnazione da Honda. E anche la prosecuzione della caduta libera nei risultati di una casa che era abituata a disperarsi per un secondo posto e che oggi, social alla mano, vive con giubilo un ingresso nella top ten. A vederla così, sembra una tragedia sportiva senza soluzioni. Ma ci sono molte ragioni per cui non viverla così. Gli antidoti sono in parte comuni, in parte differenti per Yamaha e Honda. Il primo antidoto è il ciclo della vita e dello sport. Non dipende direttamente da loro, ma la storia insegna che tutti i grandi domini e tutte le grandi crisi sono destinati a finire. Il secondo antidoto è l’aiuto dell’organizzatore. Nessuno ha interesse a vedere costruttori così gloriosi fare così tanta fatica a stare al passo con i migliori. Ecco perché Honda e Yamaha usufruiscono di importanti concessioni che permettono loro di fare molti più test rispetto ai rivali. Per velocizzare il recupero dello svantaggio tecnologico accumulato. Il terzo antidoto è il regolamento: la rivoluzione 2027 è vicina, non ci saranno più gli abbassatori e ci saranno motori nuovi, più piccoli, installati su moto più leggere. Ogni rivoluzione è un’occasione per chi insegue, e nel caso di Yamaha potrebbe essere anche la chance di abbandonare la decennale filosofia del motore 4 cilindri in linea per passare al 4 cilindri a V che hanno ormai tutti tranne lei. Se pensiamo che l’ultima grande rivoluzione è stata l’elettronica standard per tutti, con l’azzeramento del vantaggio stellare di Honda grazie al proprio software… Gli antidoti specifici scelti da Yamaha riguardano le persone che dovranno condurre la rinascita. Ha puntato fortemente su Quartararo per mantenere un faro di talento, ha affidato all’ingegner Bartolini e a Paolo Pavesio che sostituirà Lin Jarvis la guida del progetto per aprirsi a una mentalità europea nell’approccio allo sviluppo della moto, e ha investito su un team satellite che la stessa casa definisce un ‘secondo team factory’, andandosi a prendere la squadra privata più forte in circolazione, Pramac Racing. E mettendole a disposizione due piloti di esperienza utili anche per dare suggerimenti in fase di test, Miller che arriva dalla Ktm e Oliveira che arriva dall’Aprilia. In più, ha deciso di produrre una filiera di piloti interna con il potenziamento della struttura Moto2, sempre con il supporto di Pramac, puntando su ragazzi velocissimi come Arbolino e Guevara. Gli antidoti specifici scelti da Honda seguono la strada della discontinuità. La già coraggiosa decisione di accettare la richiesta di separazione di Márquez si unisce a quella di dividersi dallo storico sponsor Repsol per dare importanza, anche sulla carena, al reparto corse che lavorerà alla rivoluzione del progetto. Un altro addio importante è stato quello a Kalex, telaista Moto2 con cui Honda era legata da una partnership per lo sviluppo della ciclistica. L’unica cosa rimasta quasi uguale è la rosa dei piloti: anche se Chantra subentrerà come secondo del team di Lucio Cecchinello, Taka Nakagami rimarrà come collaudatore. Gli altri tutti confermati perché solo chi ha avuto sotto il sedere la Honda attuale può rilevare progressi importanti in quella del futuro sviluppata nei test. Con in più l’innesto di Aleix Espargaró, anche lui come collaudatore, arrivato all’Aprilia che era un’idea di grandezza del gruppo Piaggio in fase embrionale e trasformata anche grazie al suo lavoro in una moto in grado di vincere gare, brillante abbastanza da vedere il gioiello che è in lei per Martín e Bezzecchi.