Sulla cresta dell'Honda

Fu un’estate drammatica, torrida e acre per i giapponesi quella del 1945, in ginocchio, ripiegati su sé stessi, costretti alla resa da una guerra spietata e feroce oltre l’immaginabile, conclusa da un inferno piovuto dal cielo che aveva raso al suolo uomini e cose e due intere città, Hiroshima e Nagasaki. Già a marzo Tokyo era stata devastata e altre sessanta città avevano subìto pesanti bombardamenti; di Kobe era rimasto ben poco. Ma mai nulla si era visto prima che somigliasse a quell’uragano atomico. Città trasformate in enormi vampe in una luce accecante, mentre lo spostamento d’aria distruggeva ogni cosa e al colpo di vento seguiva la carneficina. Le urla dei superstiti, gravemente segnati dagli effetti degli ordigni, gli hibakusha , impossibili da dimenticare. E un Paese da ricostruire, in tutti i sensi. Fisicamente, strutturalmente, nelle coscienze, nella forza interiore, nella capacità - da ritrovare, prima - di rialzarsi dalle proprie rovine. Fu alla fine di quell’estate che, passeggiando lungo le strade polverose del municipio di Hamamatsu, a sud dell’isola di Honshū, nella prefettura di Shizuoka, il trentottenne Soichiro prese la decisione - che da tempo maturava - di fare i conti con sé stesso. Sentiva che avrebbe dovuto cambiare qualcosa nella sua vita, anche se non sapeva esattamente cosa. Era scampato al conflitto, aveva potuto continuare a studiare come far espandere la propria attività e migliorare i propri prodotti, aveva perfezionato le sue conoscenze di meccanica e aveva fatto crescere la sua officina di biciclette, poi portato a buoni livelli la sua piccola azienda di fasce elastiche per pistoni , superando il trauma di un attacco aereo prima e del terremoto di Mikawa poi, in cui aveva perso gran parte del corpo della fabbrica, ma era riuscito a sopravvivere al controllo del Ministero delle Munizioni. Nel 1942 aveva ceduto alla Toyota il 40% delle azioni della società passando da presidente ad A.D. I dipendenti maschi scomparvero gradualmente perché chiamati al servizio militare, e sia le donne adulte che le studentesse iniziarono a lavorare in fabbrica come membri del ‘corpo volontario’. Fu quello il tempo in cui Soichiro si mise a calibrare personalmente le macchine garantendo che il processo di produzione fosse il più sicuro e semplice possibile per queste lavoratrici inesperte, di fatto automatizzando la produzione. Ma tutto questo non gli bastava più. Dentro gli premeva forte il ricordo del suo passato: gli anni da apprendista accanto al padre Gihei e alla madre Mika, gli anni alla Art Shokai di Hongo, la voglia di andare oltre, di sperimentare, di inventare. Soichiro non si sentiva libero, vedeva intorno a sé un Paese fermo ma desideroso di ritornare a correre e voleva dargli una mano. Fu per questo che decise di fondare una nuova azienda e ripartire da zero. Vendette quel che aveva e mise insieme i risparmi. E diede vita all’Istituto di Ricerca Tecnica Honda. Honda era il suo cognome, Ricerca Tecnica era la sua ambizione, Istituto era il solo modo che conosceva per darsi un tono. E gli sembrò anche beneagurante. Alla base della svolta pose la convinzione che il Giappone avesse ora bisogno di muoversi in fretta per risorgere come Nazione, in modo anche economico. E che lui avesse idee e conoscenze per potergli suggerire come. Affascinato dagli aerei e dai motori, ragionò guardando il cielo su come alle persone potesse essere consentito spostarsi rapidamente, ma - restando con i piedi per terra - con i mezzi da lui costruiti. E per prima cosa fece un acquisto. L’esercito imperiale giapponese aveva messo in vendita un lotto di 500 generatori radio. Soichiro li comprò tutti. E, opportunamente rielaborati, li montò in via sperimentale sulle sue biciclette come alimentatori, dotandoli di borse dell’acqua calda come serbatoi di carburante. Ribattezzò lo strano prototipo ‘Putt-putt’, che – onomatopeicamente - ricorda il suono scoppiettante del mezzo in cammino. Il laboratorio del suo Istituto, in Hamamatsu, cominciò a incuriosire molti investitori. Intanto i suoi collaboratori aumentavano di numero e testavano le bici rielaborate, alle quali - in alcuni audaci casi - venne addirittura sperimentalmente applicata una specie di sidecar, sul quale Soichiro non mancò di fotografare i due piccoli figli Hirotoshi e Chikako, stretti e pigiati come sardine. Il tempo passò in fretta e i risultati incominciarono a dare ragione a Soichiro, che si spinse un po' più avanti. Nel 1947 l’audace pioniere realizzò il suo primo motore, destinato ad alimentare il primo rivoluzionario modello di mezzo a due ruote che non era più una bicicletta ma una ‘motocicletta’, la Honda modello A. Cui seguirono un modello B e un modello C. La ‘bicicletta motorizzata’ viene così ulteriormente sviluppata e resa più pratica e popolare e anche la ‘factory’ si espande, al punto che i motori vengono prodotti per la prima volta su nastro trasportatore. Soichiro è sulla strada giusta, il Giappone è sulla strada giusta. Sono passati quasi tre anni dalle devastazioni atomiche e il Paese sta rimarginando in fretta le proprie ferite. All’orizzonte spunta un ex venditore di prodotti siderurgici, poi riconvertitosi in imprenditore di legnami, tale Takeo Fujisawa, originario di Yuki, città della prefettura di Ibaraki. Fujisawa intravede un grande futuro per Soichiro e per sé ed è pronto a investire. Il 24 settembre del 1948 nasce così la Honda Motor Company, una nuova azienda della quale sono soci Soichiro Honda e Takeo Fujisawa. Soichiro è la mente e sviluppa i prodotti, Takeo è l’imprenditore che cura la parte manageriale. Un sodalizio che resterà vivo negli anni, solido e inossidabile, così da assicurare successi irripetibili nell’industria e nello sport al marchio giapponese, che in breve tempo diventerà uno dei più celebri, vincenti e riconoscibili del mondo. Solo un anno più tardi arriverà la prima vera motocicletta targata Honda, la ‘Dream’, meglio nota come D-Type. Attorno ai due soci, il primo nucleo aziendale di Hamamatsu contò subito su 34 dipendenti, tutti impegnati nella produzione di telai e motori per motocicli. Nessuno di loro immaginava che dieci anni dopo proprio negli odiati USA avrebbero venduto 100.000 modelli in dodici mesi. Un salto di qualità incredibile, se si pensa che nel 1949 l’azienda produceva appena 1000 motocicli al mese. Ma il cambio di passo impresso da Soichiro e Takeo fu impressionante, negli anni ’50 le Honda iniziarono a correre in pista su due ruote e negli anni ’60 a conquistare titoli mondiali. Per debuttare poi anche nelle quattro ruote e scrivere pagine indelebili della storia del motorsport con campioni inarrivabili come Ayrton Senna. In sette anni, dalla data di fondazione la Honda riuscì a diventare il più grande marchio di motociclette del Giappone, oggi lo è del mondo ed è presente con i suoi impianti di produzione ovunque. Quando Soichiro e Takeo andarono in pensione, nel 1973, alle loro spalle si lasciarono una azienda solida e venticinque anni di leadership assoluta. Soichiro morì nel 1991, Takeo lo aveva preceduto tre anni prima. Una storia lunga settantasei anni, nata in un garage di legno, che ha griffato biciclette e motociclette, ma anche automobili e motori per auto e moto, per barche e tosaerba, gruppi elettrogeni e ventilatori per gonfiare le mongolfiere. Takeo Fujisawa amò in Soichiro il suo disinteresse per i profitti, voleva dire che “non era interessato all’arricchimento personale”. Soichiro era convinto che “i sogni danno un senso alla vita ed è questo il motivo per il quale ci si deve imporre sempre nuove sfide. Per realizzare quei sogni”. Erano fatti l’uno per l’altro. Ed erano fatti per incontrarsi nel momento giusto, quando il Giappone ebbe bisogno di una nuova industria ‘leggera e a costi contenuti’ di motociclette, che sostituisse quella storica ‘Rikuo’ , che negli anni ’30 aveva prosperato con la sua VL1200 di derivazione Harley Davidson con motore a valvole laterali e prodotta dalla join venture fra l’Esercito Imperiale e l’azienda farmaceutica Sankyo. Anni nei quali a molte aziende venne proibito produrre beni di ‘sorveglianza speciale’. L’Armata d’Occupazione comandata dal generale Douglas McArthur non diede - ad esempio - autorizzazione alla Mitsubishi di produrre scooters leggeri fino al 1947, Venduto col marchio ‘Fuso’, C10 Silver Pigeon, fu uno dei grandi successi del Giappone dell’immediato Dopoguerra, anche grazie al patrocinio del Principe Ereditario Akihito, da sempre un forte sostenitore dell’industria motociclistica giapponese. Mitsubishi ne cessò la produzione nel 1964 per dedicarsi alle automobili dopo averne prodotti più di 500.000 esemplari in varie versioni. E poco mercato ebbe lo scooter Rabbit, assemblato presso lo stabilimento di Futoda della Fuji Heavy Industries. Quindi per Honda fu relativamente semplice trovare uno spazio nel quale trovare una fetta di mercato in cui operare. E poi nel 1950 altri due avvenimenti segnarono particolarmente il futuro dell’industria motociclistica giapponese. Il primo fu una revisione del sistema delle patenti di guida: in base a queste nuove norme le biciclette motorizzate potevano ora essere condotte da chiunque avesse compiuto 14 anni senza conseguire alcuna patente: il limite di cilindrata era di 60cc per i due tempi e 90cc per i quattro tempi. Nel 1956 questa normativa venne ulteriormente modificata: a 14 anni si poteva condurre qualunque bicicletta motorizzata fino a 50cc, a 16 questo limite di cilindrata si alzava fino a 125cc. Inoltre, tutti i motocicli fino a 125cc erano ora considerati biciclette motorizzate, indipendentemente da altri fattori. A 16 anni si poteva inoltre ottenere una delle due patenti per motocicli: la prima valida per cilindrate da 126cc a 250cc e la seconda valida per cilindrate da 251cc a 1500cc. Questo significa che un adulto poteva condurre qualsiasi motociclo fino a 125cc senza bisogno di alcun documento di guida. Il secondo, più drammatico, fu lo scoppio della Guerra di Corea. Il GHQ fu costretto ad eliminare rapidamente la quasi totalità delle restrizioni finora implementate perché le Nazioni Unite avevano disperatamente bisogno dell’industria giapponese per combattere la guerra. In tutto l’Estremo Oriente solo il Giappone aveva la base industriale per produrre coperte, combustibili, autocarri e parti di ricambio necessari allo sforzo bellico. Questo iniziò un ‘mini-boom’ economico in Giappone che si esaurirà soltanto con l’Armistizio del 1953. Del quale Soichiro Honda saprà approfittare. Fu un’estate drammatica, torrida e acre per i giapponesi quella del 1945, in ginocchio, ripiegati su sé stessi, costretti alla resa da una guerra spietata e feroce oltre l’immaginabile, conclusa da un inferno piovuto dal cielo che aveva raso al suolo uomini e cose e due intere città, Hiroshima e Nagasaki. Fu alla fine di quell’estate che, passeggiando lungo le strade polverose del municipio di Hamamatsu, a sud dell’isola di Honshū, nella prefettura di Shizuoka, il trentottenne Soichiro prese la decisione - che da tempo maturava - di fare i conti con se stesso. Il 24 settembre del 1948 nacque così la Honda Motor Company, che oggi è una multinazionale che agisce anche nel campo della robotica e anche nell’elettrico e ogni anno produce fino a 14 milioni di motori. Quotata, fra le altre, alla borsa di Tokyo e New York. Nata da un costruttore di pistoni, idealista e folle fino al punto da equipaggiare - un giorno - un’automobile da gara con un motore aeronautico a 8 cilindri di 8 litri di cilindrata…

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