Il paradosso dell'aerodinamica: quel tunnel da cui la MotoGP non riesce più a uscire

Negli occhi abbiamo ben impresso lo spettacolare duello in terra australiana tra i due spagnoli Martin e Marquez, vinto da quest’ultimo in volata sul connazionale. Bagnaia terzo, bravo nel limitare i danni su una pista a lui non congeniale per conformazione. Abbiamo però ben impresse anche le immagini del violento incidente tra Bezzecchi e Vinales, uno scontro che è costato la gara a entrambi a un paio di giri dalla fine. Ma se vi dicessi che la colpa non è solo dei due piloti? E che una parte di responsabilità ce l’ha anche lo sviluppo della MotoGP? Spieghiamo meglio. A due giri dalla fine Vinales sorpassa Bezzecchi sul rettilineo del traguardo e si prepara a entrare in curva. L’italiano fallisce la frenata e colpisce la ruota posteriore dello spagnolo, facendo finire entrambi nella ghiaia, fortunatamente senza conseguenze. Colpa di Bezzecchi? Sì e no. C’è un concorso di responsabilità. Partiamo dal presupposto che Phillip Island è una pista molto ventosa, che complica la guida della moto da parte dei piloti. Adesso immaginiamo di dividere l’impatto in tre fasi. Fase uno: Vinales passa molto vicino alla Ducati giallo fluo del suo avversario, creando un tunnel di turbolenze difficili da gestire in ingresso curva. Fase due: sempre Vinales, temendo una contromossa di Bezzecchi e cercando la migliore traiettoria possibile, si porta verso sinistra, tagliando leggermente la strada al rivale. Fase tre: Bezzecchi frena tardi, non tenendo di conto che ormai il sorpasso l’ha subìto e impostando la staccata come se fosse da solo in pista in quel momento. La conseguenza di questi tre fattori ha portato al tremendo urto che abbiamo visto, fortunatamente senza conseguenze per i due piloti. Ma cosa è successo in quelle frazioni di secondo? Il tunnel aerodinamico creato dal sorpasso dell’Aprilia ha funzionato da calamita per la Ducati di Bezzecchi, che è stata risucchiata in un vuoto d’aria in cui la frenata ha perso di efficacia, andando lunghissimo in curva e scaturendo l’incidente che abbiamo visto in gara. E qui arriva la parte delle responsabilità delle scuderie. Fino a pochi anni fa, diciamo intorno al 2013/2014, l’aerodinamica non era così tenuta in considerazione come oggi. La priorità dei team era dare molto carico alla ruota anteriore, perché quella maggiormente sotto sforzo e quella che necessitava di una maggiore stabilità per portare la moto in curva. Da un decennio a questa parte invece la MotoGp ha preso spunto dalla Formula1. E allora tanto lavoro sulle carene, sulle forcelle e sui codoni, perché gli ingegneri si sono resi effettivamente conto dei vantaggi di velocità di percorrenza e anche della maggiore potenza che si potevano permettere di mettere nei motori. In pochi anni le moto sono passate da 250 a più di 300 cavalli sulla ruota posteriore, e i tempi si sono abbassati in media di un paio di secondi al giro, con un’efficienza mai vista nella storia di questo sport. Grande velocità, grandi performance, grande divertimento per gli spettatori, ma anche grandi svantaggi per i piloti e per i circuiti, che non sono più in grado di ‘contenerle', aumentando il rischio di incidenti. Queste moto, sì molto più sicure, sono molto molto difficili da guidare. La potenza espressa a questi livelli sta diventando fuori controllo anche per dei piloti professionisti, che devono guidare molto più al limite di quanto non facessero una o due generazioni fa. Per fare un esempio, lo scollino del Mugello una volta si doveva fare massimo a 300 km/h, altrimenti il rischio era che la moto perdesse di aderenza o peggio che impennasse. Oggi, non molto tempo dopo, una Ducati in MotoGp può fare quello stesso tratto a gas spalancato, arrivando anche a 360/365 km/h. Addirittura una moto stradale, con tutto il suo pacchetto aerodinamico, può farla a 320 km/h, più veloce rispetto a una MotoGp di qualche stagione fa. Non è tutto oro quello che luccica. Maggior velocità vuol dire anche migliori impianti frenanti: se i dischi frenanti erano in media di 320/330 millimetri, oggi sono di 340/350 millimetri. Ciò significa di conseguenza che i piloti arrivano più veloci ma hanno anche il ‘permesso’ di frenare più tardi, così facendo gli spazi di fuga diminuiscono e i tracciati diventano meno sicuri e al limite per l’incolumità dei piloti. E la situazione potrebbe anche diventare più estrema. Fino al 2027 infatti non ci sarà un cambio di regolamento, quindi gli ingegneri e i team avranno almeno altri due anni per spingere ancora più al limite l’aerodinamica delle moto e le prestazioni dei piloti. Si sta trascurando l’elefante nella stanza però. La MotoGp ha preso molto spunto dalla Formula1 per migliorarsi, ma quello che non è cambiato è il numero di ruote. Se nelle auto sono 4 e larghe, sulle moto sono soltanto 2, e con una superficie di contatto che, a 350 km/h, non è molto più larga di una carta di credito. È sempre quella piccola porzione di gomma che deve sopportare tutto il carico delle altissime velocità e della grandissima forza frenante. Ripensiamo all’incidente Bezzecchi-Vinales. Il pilota della Ducati non poteva fare altrimenti, perché se avesse dato più freno si sarebbe ribaltato, con possibili gravi conseguenze per la sua incolumità. Tutto perché era entrato nel tunnel aerodinamico dell’Aprilia, e da lì non è più riuscito a uscirne. Spero che per le prossime stagioni si torni indietro con gli sviluppi, perché queste moto, così come i piloti, sono al limite di quello che può essere fatto su due ruote. Oltrepassarlo potrebbe aumentare solo il rischio, altro che lo spettacolo.