Sterlacchini: "Piloti, moto e competenza, in Aprilia c'è tutto per fare bene"

Da super appassionato di moto e ottimo studente di istituto tecnico, a pilota di cross così così, a buon kartista, a ingegnere da 110 e lode, a tecnico elettronico nei box, a ingegnere in MotoGP con Ducati a capoprogetto in KTM e adesso leader tecnico della rivoluzione totale di Aprilia Racing che vuole riportare dove la sua storia la vorrebbe: in alto, tra chi vince gare e titoli. Per Fabiano Sterlacchini, anconetano, simpatico, disponibile, capace e “profondamente” ingegnere è iniziata l’ennesima avventura, naturalmente quella più importante e stimolante di tutta la sua vita, almeno sino ad ora. “Prima di laurearmi, sono stato perito meccanico. Il motivo che mi ha spinto a frequentare quella scuola è stato che avevo uno zio, Giorgio Rocchetti, proprietario di un Team che si chiamava ‘Rocchetti Racing’, ma soprattutto possedeva un’officina di revisione motori e fin dai 12 anni io ho lavorato da lui - allora si poteva - e a 15 ho chiuso il mio primo motore: era di una Ford Taunus 1500 a benzina e l’ho fatto tutto da solo”. Ricorda orgoglioso. Come sei arrivato alla MotoGP e in Ducati? “Anni ‘90. Lo zio Giorgio amava tantissimo le corse, io studiavo al tecnico e si decise insieme di fare un team per elaborare le auto. Nel frattempo, sono andato all’università, non avevo una lira, ma volevo provare a fare ingegneria: ero passato col massimo dei voti alla maturità e al tempo se prendevi il massimo non pagavi niente per fare la facoltà. Gli studi andavano bene e ho conosciuto tramite un compagno un socio del team Gattolone, che allora faceva correre Pierfrancesco Chili e che aveva perso il suo tecnico elettronico che era Matteo Flammigni . Iniziai e quello fu il mio punto di contatto con le gare di moto importanti e l’azienda”. E ti sei anche innamorato di Ducati in quel periodo… “In Ducati ho visto dal vivo e in pratica quello che stavo studiando: era il ’97, ho fatto tutto il mondiale SBK con Chili collaborando con gli uomini Ducati come Ernesto Marinelli, il mitico Farnè, Corrado Cecchinelli . Ma volevo finire gli studi, così mi sono fermato e nel 2000 mi sono laureato”. 110 e lode immagino: “Sì, esatto. Mio padre non era molto d’accordo che studiassi e quindi non mi ha mai dato un centesimo per fare l’università. Io però - come dice Julio Velasco - non ho l’ho preso come alibi, ma cercato delle soluzioni e lottando con le unghie e con i denti alla fine ce l’ho fatta. Questo per dire a chi ha delle difficoltà che ci si deve provare”. Ti è sempre piaciuto essere un tecnico o hai pensato a fare il pilota? “Mentre facevo quelle cose in officina e a scuola, ho provato a correre con la moto da cross e - pensa che bella coincidenza - la mia prima moto comprata con i risparmi era un’Aprilia Rx 125… Ci ho provato anche coi kart, ma pronti via ho finito tutti i risparmi che mi servivano per studiare e vivere. Credo che da lì sia venuta un’ulteriore spinta a stare nel mondo delle corse, non come protagonista, ma come tecnico”. Io l’ho imparato vivendo, ma in buona parte me l’ha insegnato il Sic: se riesci a fare della tua passione in tuo lavoro sei fortunato, è bello, sei felice è qualcosa che non capita a tutti: “Penso che sia un ‘comandamento di vita’”. Andiamo avanti… “Nel 2000, finita l’università, chiamai Chili che correva con la Suzuki di Batta e mi presero. Feci fine 2000, 2001 e 2002 con Suzuki in Sbk. In quei due anni Ducati si stava preparando per entrare in MotoGP, si stava rinforzando anche come struttura e siccome conoscevo bene Tardozzi e Cecchinelli dai tempi della Superbike nel ‘97, mi chiesero se volessi andare in Ducati a Bologna. Da lì è iniziato il mio percorso in Ducati”. Sei arrivato proprio in tempo per il test al Mugello nel 2002 e per l’esordio del 2003: “A ottobre del 2002 ai primi test al Mugello c’ero, è stato il mio esordio. Nel 2003 vincemmo la prima gara a Barcellona con Capirossi, ma i due momenti più entusiasmanti sono stati i test IRTA dove Loris fece il miglior tempo e vinse la macchina che c’era in palio. Sai, tu sei nessuno, arrivi lì e fai il miglior tempo… Un altro momento epico è stato il debutto a Suzuka dove siamo arrivati terzi con Capirossi e quinti con Bayliss”. Bei ricordi. Tu in Ducati hai passato tutti i momenti: l’inizio, Stoner e il mondiale, Rossi e la delusione, la rivoluzione post Preziosi. Ne hai viste tante… “Ho passato varie epoche e anche vari ruoli. Sono entrato che facevo il ‘performance engineering’ ma dopo più o meno un anno Filippo Preziosi e Corrado Cecchinelli, che era il suo braccio destro, decisero di fare un cambio organizzativo e mi chiesero di fare il responsabile del ‘gruppo di progettazione veicolo’. Mi sono detto ‘ci provo, se non ci riesco vedremo’ È andata bene, ho seguito negli anni 2004, ’05, ’06 e ’07 ho seguito i progetti come una sorta di ‘responsabile tecnico veicolo’. Se pensi che nel 2004 facevamo molta fatica, poi abbiamo fatto dei podi e già nel 2006 abbiamo rischiato di vincere il mondiale con Capirossi che finì terzo nel campionato”. A causa dell’incidente di Barcellona, una specie di autoeliminazione con Gibernau che tamponò Capirossi alla prima staccata… “Ci fu anche quello. Poi l’ultimo progetto fu la GP7 che vinse il titolo con Casey Stoner. Da lì, per vicissitudini mie famigliari, avevo la volontà di tornare a far le gare e siccome era arrivata Pramac Preziosi mi propose di fare il capotecnico di Alex Barros per poi diventare negli anni direttore tecnico del team satellite. Lì ho fatto dal 2007 al 2011 compresi”. Hai passato fuori l’esperienza infelice di Valentino Rossi con una moto che era arrivata alla fine della sua vita competitiva: “Finché c’è stato Casey e anche Nicky ha funzionato, poi con Valentino c’è stata effettivamente una importante battuta d’arresto”. Perché secondo te? Era arrivato al capolinea quel concetto di molto con motore portante… “E’ difficile capire davvero perché. Guarda ad esempio le difficoltà che tra il ’23 e l’anno scorso hanno avuto alcuni piloti per il cambio della gomma posteriore. Noi nel 2003 eravamo competitivi e nel 2004 con il cambio di misure delle gomme anteriori e larghezze posteriori abbiamo fatto una fatica incredibile a ritrovare un bilanciamento. Allora si era trovato l’equilibrio Bridgestone-Stoner. Quando arrivò Rossi, che usava le stesse gomme ma veniva da una moto molto diversa come la Yamaha, c’è stata – diciamo - una mancanza di alchimia. Abbiamo provato a risolvere, a tratti abbiamo anche visto la luce, ma dopo 18 mesi si era capito che Vale non aveva intenzione di investire più tempo di quello che aveva dedicato e pensò di tornare in Yamaha”. Un pensiero dolce e un abbraccio li rivolgo a Filippo Preziosi, un grande tecnico e soprattutto una grande persona che ha sempre lottato coi suoi problemi: “Era molto sveglio e molto preparato. In quegli anni stava già cominciando a valutare, vista la sua condizione, di fare un passo indietro. In quel momento si sono probabilmente create le condizioni per lasciare. Nelle sue condizioni avere un impegno come il nostro, che quando va bene lavori 12 ore al giorno coi ritmi pazzeschi che abbiamo noi… era dura”. Il cambiamento della moto è stato Gigi Dall’Igna a farlo: “Diciamo che a quel punto noi eravamo un po’ persi. Da lì in poi Ducati con la riorganizzazione guidata da Gigi ha ritrovato competitività. L’azienda ha funzionato, ha avuto un attimo di smarrimento, poi Gigi ha rimesso le cose in ordine, ha fatto il suo lavoro da manager”. Da manager? “Sì, lui è un manager-ingegnere”. Ti ha gasato il suo arrivo? “Se penso a Filippo e a Gigi dico che sono due persone diverse che hanno impostato l’azienda in due modi differenti, entrambi con molto senso”. In Ducati hai visto passare piloti incredibili: Stoner, Lorenzo, Dovizioso, Iannone, Rossi, Capirossi, Barros… Qual è il tuo podio considerando anche che sei stato in KTM e hai visto Acosta e adesso hai Martin e Bezzecchi, mica robetta… “Anche qua è difficile, Ognuno ha le sue caratteristiche”. Allora facciamo così, dimmi la caratteristica principale di Stoner: “Talentuoso”. Di Barros: “Efficace”. Capirossi: “Esplosivo”. Hayden: “Perfezionista”. Lorenzo: “Maniacale”. Dovizioso: “Ingegneristico”. C’eri ancora quando è arrivato Bagnaia: “Ti dico quello che dissi a lui nel 2019 dopo un test: allora era un diamante grezzo, ora è un diamante”. Martin? “Con lui non ho mai lavorato in epoca Ducati e ora l’ho visto soltanto un giorno. Troppo poco per dare un giudizio, per farsi un’idea precisa”. Chiudiamo con Valentino: “Immenso. Ma vale la pena spendere due parole. Vale oltre a quello che ha fatto in pista è riuscito a fare anche tutto il resto, avere l’amore di tifosi che sono stati avvicinati al motociclismo da lui. Immenso è la giusta definizione, non ha fatto soltanto il pilota. Ti ricordi quando si andava alle gare che in qualsiasi paese del mondo c’era la tribuna gialla?”. Invece, tornando alla storia, magari anche ai 500 tempi, chi ti ha gasato di più? “Per certi versi, considerando che la mia passione nasceva in quegli anni, direi che Kevin Schwantz è uno di quelli…il celebre sorpasso all’ultimo giro all’ingresso del ‘Motodrom’ ad Hockenheim su Rainey l’avrò raccontato per due mesi agli amici”. Non ti mancano quelle moto così diverse da quelle di oggi, non ti piacerebbe lavorare come allora coi getti, lo scotch? “L’ho fatto molto quando ero ragazzino. Ma devo dire che la tecnologia che c’è prima e dentro ad un motore a 4 tempi è più affascinante. Però non ti nascondo che una delle ultime volte che sono stato a Motegi a visitare il Museo Honda e mi sono ascoltato i sound di tutti i motori a 2t del passato visto che lì c’è la possibilità di farlo, ho provato dei brividi”. Come è possibile vedere Honda così in difficoltà come negli ultimi anni? “E’ successo a tutti nella storia. Capitano momenti di difficoltà, lo ha attraversato anche Ducati e io c’ero nel 2011, ’12 e ’13. Certe cose ti prendono in contropiede, tocchi il fondo e pian piano cerchi le soluzioni. Io non lo so, ma credo si tratti di questo, loro sono un’azienda di altissimo livello nel mondo e credo che sarà questione di tempo, ma si ritroveranno. E’ normale che come ti va bene, a volte ti possa andar male”. Secondo te adesso una MotoGP vincente deve per forza essere un V4? “No, non direi che deve essere. È una scelta progettuale che ha dei pro e dei contro”. Però chi va meglio oggi ha un V4: “Sì. Ma se uno mi chiedesse di partire da un foglio bianco e di disegnare la mia MotoGP ideale non partirei convinto che lavorando bene sul 4 in linea non si possa vincere. D’altronde lo dimostra il fatto che sia Honda sia Yamaha con due layout doversi hanno incontrato entrambi delle difficoltà”. Dopo la Ducati la KTM, cos’è successo? “In realtà avevo deciso di prendermi un periodo sabbatico e sono andato a lavorare per una ditta di ingegneria inglese che si chiama Ricardo. Nel 2020 sono saltato a bordo come direttore tecnico per sviluppare il progetto di un motociclo a 3 ruote destinato alle poste per Piaggio”. Finché è arrivata la KTM: “Mi hanno chiamato loro e l’idea di tornare nelle corse, gestire e dirigere un progetto, al netto di tutte le difficoltà logistiche, mi stimolava molto, difatti sono stati tre anni belli e guardando i numeri direi che il progetto è migliorato tanto da essere qualche volta antagonista di Ducati e diventare la seconda forza in campo. Poi siamo arrivati ad un punto dove non c’era intesa su come avrei voluto organizzare per proseguire e abbiamo detto basta”. Ti mancherà ora che sei in Aprilia, un collaudatore esperto come Pedrosa o Espargaro? “Sicuramente Dani è Dani: ha un bagaglio di esperienza importantissimo e anche una maniacalità nel mettere a posto le cose… un atteggiamento, un focus e poi è un pilota di altissimo livello. Però io credo che tutti i piloti se usati bene possono dare un valore aggiunto”. E in Aprilia come ti sei trovato? C’è tutto quello che serve, no? “C’è un capitale umano incredibile, c’è una grandissima capacità dovuta alla preparazione tecnica e all’esperienza, c’è intelligenza e anche la struttura tecnica è stata una piacevolissima sorpresa. Tecnica e umana… C’è tutto quello che serve per far bene le corse. Mi hanno chiesto perché nel motorsport ci sono così tanti tecnici italiani, io credo che il sistema scolastico e tecnico italiano, anche per i meccanici, abbia creato una tradizione che è un riferimento nel mondo. Per altre cose non saremo il massimo, ma i periti che vengono dagli istituti tecnici, i meccanici che arrivano dagli istituti professionali o tecnici, gli ingegneri che escono dalle nostre università hanno un livello di preparazione e di attenzione che normalmente è molto alta, notevole”. Come hai trovata la moto? “Guardandola da fuori pensavo ci fossero punti di forza e altri di debolezza. Invece analizzando, conoscendo e discutendo posso dire che il progetto è davvero ottimo, sano. Il mio lavoro è, insieme ai colleghi, di cercar di capire dove concentrarci, dove c’è margine di miglioramento”. Sembra che il motore sia buono: “È tutto buono! Senza entrare troppo nei dettagli, ci sono aree dove a mio avviso c’è un po’ più margine per lavorare che in altre. Da direttore tecnico la mission è quella di dedicare le risorse dove possiamo ottenere maggior valore aggiunto”. In fondo ti hanno preso per questo: “Spero di sì… Ma oggi non è più un one man show. In aziende che vanno oltre le 60/70 persone il compito di un manager, che sia un tecnico o un direttore generale, è quello di far lavorare bene le persone e di fare eventuali scelte strategiche con della visione. Poi puoi anche buttare lì l’idea, ma se il risultato è 1000 il valore aggiunto di quell’idea è al massimo 5 e dico tanto. Dipende anche dai regolamenti. Da un anno all’altro con la moto puoi migliorare di mezzo, uno, un decimo e mezzo. Se vai mezzo secondo più forte la differenza l’ha fatta qualcun altro, il gommista o il pilota”. Ti piace la Sprint del sabato? “Sì, è avvincente dal punto di vista dello show, da quello della gestione del week-end è piuttosto demanding, il sabato se ci sono delle difficoltà diventa una giornata asfissiante, senza un attimo di respiro e diventa molto difficile avere tutto sotto controllo con l’organizzazione tipica di una MotoGP. Ci deve essere una sostenibilità anche a livello delle persone e a livello economico. Un po’ mi preoccupa, mi fa riflettere quello che sta succedendo”. Io credo che Ducati ultimamente abbia sostenuto la griglia della MotoGP con 8 moto schierate e abbia aiutato alcuni team a non sparire o a crescere. Però l’ideale sarebbe 4 moto per ogni casa, non credi? “Sì, siccome c’è anche il mondiale costruttori è capitato che chiunque in passato abbia beneficiato di risultati dei team satellite. Se tutti hanno due piloti factory e due satellite sono tutti ad armi pari, se invece c’è la Yamaha con 2 moto e la Ducati con 8, non possiamo dire che si giochi ad armi pari. Invece si sono create le condizioni perché Suzuki si ritirasse, Yamaha schierasse soltanto 2 moto e Ducati fosse in grado di fornirne 8. Non è una colpa, però a livello organizzativo è una cosa che va valutata, perché così non è equilibrato. Diciamo che comunque il 2025 si presenta come un campionato molto più equilibrato perché la moto di riferimento ha perso piloti molto forti, non a caso uno è il campione del mondo, ma pure Bezzecchi, Bastianini. Inoltre, ha due moto in meno sulla griglia: diciamo che così la situazione è più accettabile”. Però è stato tenuto vivo un campionato con sempre almeno 22 moto al via: “Allora diciamo così: il 2025 è un compromesso molto più accettabile del 2024 che aveva un compromesso molto meno equilibrato”. Quando diventerete vincenti secondo te? “A volte si fanno dei proclami, a me non piace. Il nostro obiettivo di adesso è di lavorare sui piloti, sul progetto, sulla struttura per arrivare il più velocemente possibile all’altezza della situazione, quindi migliorando tutto”. Comunque, di base ti hanno dato un bel paio di piloti: “Mamma mia!! Io dico che si può sempre far meglio, ma stavolta dico che si fa tantissima fatica ad aver meglio di quei due che abbiamo. In ogni decisione io metto la bilancia della vita davanti a me e poi aggiungo sui due piatti le ragioni per fare o non fare una cosa. E ti dico che nella mia decisione di arrivare in Aprilia il capitale umano della gente è stato una bellissima sorpresa dato che non lo conoscevo, ma guardando a quello dei piloti posso dire che è stata una delle ragioni della mia scelta. Sappiamo quanto è importante il pilota nelle moto e in questo caso il requisito c’era, ha pesato molto. Ho valutato che fosse un’azienda italiana, storica, con due piloti fortissimi e ho deciso per il sì”. Insomma, diciamo che hai avuto una bella botta di culo… “Eh eh… con una sintesi colorita l’hai detto tu”.

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