La Bezzecchitudine conquista podi e passione

Ci vuole fegato per lasciare la Ducati. Ecco, per dire che se vi viene in mente qualcuno che lo ha fatto, serve proprio portargli rispetto. Tra gli italiani lo hanno fatto recentemente in due: Luca Marini, passato alla Honda, e Marco Bezzecchi, che è andato in Aprilia. Sì, il modello 2023 della Desmosedici ci avrà messo del suo, con quell’avantreno così bizzarro e reattivo nella fase di ingresso curva. E anche gli ingaggi, al netto rialzo, avranno avuto il loro significato, ma lasciare la Ducati di questi tempi - per chi vuole vincere - è proprio una sfida. Ed è quello che dovrebbe trattenere Bagnaia, se mai gli fosse venuto in mente di cercarsi un’alternativa. Meglio stare con questo Marquez, meglio rimanere lì ben pagato fino a fine contratto , meglio soffrire un po’ cercando soluzioni tecniche e di approccio, che tuffarsi a bomba su mezzi che la certificazione assoluta di competitività ancora non ce l’hanno. Quindi parliamo di Bezzecchi perché oltre ad aver mollato la Ducati con cui nel 2023 vinse tre gare e si piazzò terzo nel mondiale, tra Silverstone e Assen è tornato a essere la cosa più nuova, anzi rinnovata, che si potesse vedere al di fuori del panorama dei due Marquez e di Bagnaia che li insegue un po’ sconsolato. Bezzecchi ha avuto fegato e non solo per modo di dire. Mentre in molti la menavamo sul fatto che fosse matto e che la Ducati che gli girava le spalle nella sua versione 2023 sarebbe migliorata con il modello 2024, e ci chiedevamo tra noi chi glielo facesse fare, lui l’ha fatto: via dalla prospettiva di una nuova comfort zone e addio al Team VR46 del suo grande amico e riferimento Valentino Rossi. Per tuffarsi in Aprilia. Perché la bezzecchitudine, quella vera, fa fare anche queste cose qui, che sembrano colpi di testa senza esserlo fino in fondo, mentre dall’altra parte il suo management – che è quello della VR46 – gli ha pure garantito una buona sistemazione contrattuale. Le due cose insieme erano la ricerca di un maggior guadagno e di una svolta sportiva, ma non potevano tenere conto del fatto che la stagione avrebbe avuto presupposti molto diversi da quelli che poi si sono verificati. Bezzecchi aveva messo nel conto che sarebbe stato compagno del campione Martin e non abbiamo la controprova di quello che sarebbe successo con lui in giro. Come Bagnaia con Marquez? Chissà. Martin non c’è, non c’è stato, non si sa. Ma Bezzecchi non si è sottratto a niente, anzi, ha trasformato la solitudine in un’opportunità. Sviluppare in due dimezza il lavoro ma comporta anche dei rischi. Farlo da solo raddoppia il lavoro e ti rende responsabile di quello che succede, nel male e nel bene. Nel caso del Bez, a conti fatti, soprattutto nel bene. Dopo un inizio di stagione mica semplice, a Silverstone 2025, con una vittoria potente, è arrivata la risposta. Quella che non ha bisogno di spiegazioni. È stato il primo colpo stagionale vero per l’Aprilia ufficiale, ed è venuto da lui, il Bez. E adesso ecco il doppio podio di Assen, Sprint e GP: una doppietta mai vista prima con la RS-GP. Ok, Assen è da sempre un anello mistico per i piloti veri alla Bezzecchi, e le sue curve ad alto tasso di stabilità richiesta sono una carezza per il DNA dell’Aprilia. Ma non basta. Bezzecchi in gara, in più di una di queste occasioni eccellenti, ha ricordato il Loris Capirossi del 2003 sulla prima Ducati, quando la moto si muoveva impazzita, sgroppando e tirando calci come un purosangue sovraccarico e lui abbassava il capoccione e non chiudeva quella manopola manco a sparargli. L’Aprilia ancora scalcia. Ci hanno insegnato per benino che “va calmata” e sono almeno due gli ambiti in cui il nervosismo della moto è visibile e fastidioso per chi la guida: la staccata con ingresso curva e la prima riapertura del gas quando invece la curva sta finendo e bisogna schizzare via verso la prossima. Bezzecchi? Fatto. Martin, il campione in carica, il faro del progetto Aprilia, fa i conti con il destino che si è messo di traverso: infortuni a raffica, riflessioni plumbee, sussurri insidiosi, sirene che suonano, manager che parlano, avvocati che si ingegnano. Un casino. E poi chissà se tutta questa voglia di fuggire via, come diceva Baglioni, sia determinata dalla prospettiva di un ingaggio di quelli che ti capitano una volta nella vita , oppure da una mancanza di fiducia nei confronti dell’Aprilia con cui è andato in terra effettivamente troppo e troppo male. Chissà. Ma intanto Bezzecchi, quella moto lì che stando ai voli di Martin sarebbe indomabile, non solo l’ha domata, ma con i suoi ingegneri, gara dopo gara e test dopo test , l’ha pure migliorata molto. Roba da fargli un monumento sulla piazza di quella delizia di paesino veneto che è Noale, perché se c’era un modo di ficcare un dubbio nella testa di Martin era quello di ottenere dei risultati. Bezzecchi? Fatto. Mica è vietato dire che in Aprilia puntavano su una gran coppia in cui il vero colpo del mercato fosse Martin campione del mondo. E adesso, mentre aspettano di capire come andrà a finire una questione che è diventata più puntiglio economico/giuridico che avventura sportiva, si ritrovano innamorati pazzi di un pilota senza fronzoli, uno che non ha paura di sporcarsi le mani. Uno che, a pensarci bene, è sempre stato così. Autenticità disarmante Parlare di “Bezzecchitudine” è stato un cacofonico spunto in telecronaca. Intendevo parlare di un’attitudine che è molto di Bezzecchi fino a diventare un po’ uno stile. In moto e giù dalla moto è la somma di spontaneità, istinto e zero pose. È il sorriso sghembo dopo una vittoria, è lo scazzo vero quando le cose non vanno. È la frase che lui stesso si è cucito addosso: «Sono me stesso, senza maschere». E lo è davvero, tutte le volte in cui gli gira. Nel paddock Bezzecchi può pure arrivare in ciabatte Birkenstock, che di base sarebbe un pugno alla bocca dello stomaco dell’ideale di pilota. E invece diventa trendy. Su Instagram alterna meme in dialetto romagnolo a ringraziamenti profondi per la squadra. Ha il tono da amico di tutti o anche da nemico di qualcuno quando le scatole girano, ma quando c’è da lavorare si fa serissimo. E giù di dati, telemetria, riunioni, fino ad essere tra gli ultimi ad abbandonare il box e il primo a tornarci. In questo senso vale molto la scuola di Valentino Rossi, uno che al caso lasciava veramente poco, uno che pensava che il Tempo speso nel box fosse valore, per la performance e anche per la persona. Alcuni piloti giovani stanno tornando al modo vecchio di vivere e progettare le corse. Aldeguer con le mani sporche e una chiave in mano non è una visione rara. Come se avessero già dentro l’informazione per cui fare i fighi si può, ma solo se prima hai sgobbato al massimo delle tue possibilità, anche in situazioni che di glamour hanno poco. Insomma, nelle moto, il pilota che è anche uomo di corse conta ancora moltissimo. Niente ricci, nessuna etichetta All’inizio lo paragonavano a Simoncelli. Ricci, dialetto, simpatia romagnola: troppi segnali perché la massa non ci facesse caso inaugurando un tormentone eccessivo. Il paragone è affettuoso, anzi, per l’affetto che ancora ammanta il ricordo del Sic, è proprio il meglio che si possa chiedere. Non fosse che quando è ripetuto diventa una gabbia. Perché il Sic era il Sic, Bezzecchi è Bezzecchi. I ricci di Bez se ne sono andati, non per uscire dalla gabbia del confronto, ma perché cambiando marca di moto, ambito, compagni di box, tecnici, sponsor, tanto vale cambiare anche taglio di capelli, come in un simbolico rinascimento in cui la base resta quella, ma la rivoluzione passa anche per le piccole cose formali. L’officina di papà e la gavetta vera Viserba, Rimini. Figlio di un meccanico di camion, nipote di uno che restaurava moto d’epoca. Se lo chiedi a lui, ti dice che da piccolo voleva fare il meccanico. E in effetti qualche estate in officina, tra camion e sudore, Bezzecchi se l’è fatta davvero. Prima di capire e soprattutto far capire che aveva un’altra marcia, un’altra indole, un altro talento, sui cui valeva la pena correre il rischio di investire. Quell’ambiente gli ha lasciato addosso un rispetto profondo per chi lavora. Nel box non fa mai il divo. Tratta tutti da pari. E nei momenti difficili è il primo a sedersi con i ingegneri, a cercare soluzioni invece di scuse. E, come dicevamo, l’ultimo ad alzarsi. In una MotoGP che ha dentro anche talenti programmati, lui viene da un viottolo vero. E forse è anche per questo che la squadra lo segue: perché lo sentono sincero, senza filtri, persone intermediarie. In pista, niente sconti Il Bez in pista è fisico, spettacolare. Guida come uno che si diverte, ma sa bene cosa fa. Quando la moto si muove, lui resta lì. La sente, la corregge, ci litiga se serve. Non la subisce mai. E se deve rischiare per rimanere attaccato a Marquez , lo fa. A volte paga dazio, certo, ma è il prezzo dell’intensità. Esempi? Silverstone e Assen. Ma anche prima: la celebre lite di Valencia 2023 con Marc Márquez dopo un incidente in pista. Non andò per il sottile lo spagnolo con una carenata a Bezzecchi e non andò per il sottile nemmeno Bezzecchi medesimo nella reazione. Andò dritto al motorhome del catalano e gliene disse quattro o anche quattromila. Panico, terrore, paura, onta e sacrilegio. Si dissero cose che non bisognerebbe nemmeno osare pensarle. Una vampata reciproca, con Marquez che in qualche modo provò a rendersi superiore avendo i titoli per poterselo permettere, ma fu curioso come Bez si inventò di sfidarlo come nessuno, anche per convenienza avrebbe fatto. Dell’episodio, sgradevole per molti versi, è rimasta solo una lunga scia social che ancora lo tira fuori dando ragione all’uno o all’altro secondo i gusti. Intanto Bezzecchi e Marquez si parlano, si confrontano, convivono, gareggiano. Acqua passata. Funziona così quando capisci che hai a che fare con uno che non fa calcoli se immagina di dover pretendere rispetto. Indipendentemente da quanto pesa l’avversario. È anche questo un modo di essere leader, di studiare da campione. Veloce e vero.

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La Bezzecchitudine conquista podi e passione

Guido Meda