I 40 anni di Pedrosa sono una grande contraddizione. Come tutta la sua carriera

Daniel ‘Dani’ Pedrosa, pur non essendo mai riuscito a vincere un titolo iridato nelle MotoGP ma solo due nella classe 250 e uno nella classe 125, è riuscito ugualmente a diventare un gigante del motociclismo moderno. Oddìo, un gigante. Dani, con la sua altezza di cinque piedi e due pollici è sempre stato il più basso e anche il più leggerino della massima categoria, ma questo non gli ha mai impedito di legare il proprio nome ad alcuni dei momenti più intensi della classe regina. Tuttavia, la sua storia rimane segnata da questa incapacità di riuscire a conquistare un titolo mondiale ‘adulto’ nel corso della sua carriera. E così il corridore di Sabadell, grande comune della Catalogna capoluogo - insieme a Terrassa - della comarca del Vallés Occidental, è arrivato a un passo dalle trecento gare disputate con il desiderio più profondo inappagato. Decidendo di ritirarsi dopo 299 presenze in pista, 54 successi, 53 podi, 49 pole position, 64 giri veloci e un grandissimo sogno irrealizzato. Il suo palmares rimane comunque impressionante, tre Campionati del Mondo nelle categorie inferiori non li vincono tutti, ma ha sempre dovuto affrontare rivali che gli hanno reso la vita molto difficile, da Jorge Lorenzo a Casey Stoner, a Nicky Hayden e - naturalmente - Valentino Rossi e Marc Marquez. Il che rende forse più comprensibile la difficoltà di raggiungere il massimo risultato e un po' attenua il dispiacere. E indubbiamente la situazione era molto difficile. “La storia dice che ho vissuto in un periodo ricco di talenti”. Il merito di Pedrosa è stato sempre quello di cercare di restare molto concentrato su se stesso. Ha riconosciuto di avere imparato a farlo grazie ad Alberto Puig - ex campione di motociclismo e suo mentore dal 1999 al 2013 - nel corso di un rapporto a volte tormentato, a volte oppressivo, culminato in un divorzio professionale clamoroso che ha in parte destabilizzato a lungo la serenità di entrambi… “Gli ho dato il meglio di me stesso, tutto ciò di cui ero capace, dubitare che io volessi essere un campione mi ha deluso…”. Eppure ci sono stati mesi, anni, nei quali non solo loro hanno creduto che Dani avrebbe trovato presto il momento in cui avrebbe scoperto il modo di vincere. Ma a volte la moto non gli dava le prestazioni che gli servivano, altre sembrò essere lui un po' leggerino per quelle moto. E questa limitazione tecnica, unita a cali di prestazione evidenti, gli ha impedito di sapere aspettare l'occasione e riuscire a coglierla quando gli si è presentata. Soprattutto trovandosi a dover convivere con compagni di squadra più competitivi, come il Marc Marquez del 2014. Pedrosa si è ritirato con numeri che parlano da soli. Solo in MotoGP ha collezionato 31 vittorie, 112 podi, 31 pole position e 44 giri più veloci. E ha vinto almeno una gara in sedici stagioni consecutive di corse, tra il 2002 e il 2017. Tre volte secondo e tre volte terzo, è sempre stato tra i migliori. Quasi a voler ripagare i sacrifici familiari che hanno sostenuto i suoi primi passi, il suo passaggio da sogno in Honda, la fiducia di quanti lo hanno accompagnato in carriera senza mai smettere di credere in lui e nelle sue qualità. Dai campionati del mondo sfiorati alla sua seconda vita come collaudatore KTM ha trasferito la sua serenità e la sua autorevolezza. In tanti anni ai massimi livelli, fra successi e infortuni, non ha solo imparato a gestire le gomme e il mezzo meccanico, ma anche il corpo e la mente. E oggi trae frutto da ciò che ha imparato. Il catalano in pista era chirurgico, aveva uno stile molto personale, curava i dettagli, risparmiava sugli pneumatici e massimizzava l’ingresso in curva cercando decimi di secondo ovunque. Dani aveva un gran talento quando correva e ancora lo conserva integro. La costanza gli ha permesso di vivere comunque ad alti livelli per venti anni ed entrare nella Hall of Fame del motociclismo, il che equivale alla promozione al rango di leggenda. E oggi, si è permesso pure il lusso di mettersi alla prova con le quattro ruote nel campionato Lamborghini Super Trofeo e nella GT2 European Series. A dimostrazione che ‘volere è potere’ e se si vuole l’impossibile può diventare possibile anche alla soglia dei quarant’anni. “Se solo un paio di cose fossero andate per il verso giusto, forse sarei stato facilmente campione del mondo per almeno un paio di volte, forse anche tre… È mancata la capacità di adattarsi a un ambiente mediatico più pressante, nel mio team eravamo molto chiusi e mantenevamo uno stile che aveva funzionato nelle 125 e nelle 250. Ma la MotoGP aveva e ha altre atmosfere. Bisogna duellare anche sui media, gli avversari lo fanno. Valentino Rossi in questo era un mostro. Noi no. E non saper gestire le cose quando andavano male diventò un peso…”. Oggi, un Pedrosa di quarant’anni di sicuro saprebbe come fare, saprebbe come reagire. Ha una maggiore dimestichezza con i media ed essendo anche un commentatore tv ha capito tante cose. “Avrei dovuto essere più flessibile mentalmente… avrei dovuto adattarmi più rapidamente a un mondo diverso… con la stampa spagnola o straniera ho avuto molte difficoltà e la comunicazione non buona ha inciso. Non è stata determinante, ma ha fatto la sua parte…”. Ma quella stampa lo ha sempre stimato e amato. E oggi gli augura buon compleanno, piccolo grande Dani. Per Pedrosa i quarant’anni sono il momento per fermarsi un attimo a festeggiare e per pianificare con entusiasmo quello che verrà. Con la stessa riservatezza di sempre sulla sua vita privata, la medesima agilità in sella a una moto e con la maturità di un uomo che ha qualche rammarico e bellissimi ricordi. Con la beffa di essere tra i piloti più vincenti di sempre ma senza titolo in MotoGP, mentre è diventato campione pure il connazionale Joan Mir, nel 2020, vincendo una sola gara. In fondo la fortuna rimane l’unica spiegazione ammissibile per il successo altrui. Auguri, Dani.

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I 40 anni di Pedrosa sono una grande contraddizione. Come tutta la sua carriera

Lucio Rizzica