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NBA, vita, storie e segreti di Dennis Schröder

NBA

Mauro Bevacqua

Un'immagine dall'album di famiglia di casa Schröder, quando Dennis non poteva certo pensare a una carriera NBA
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Dall'infanzia passata su uno skateboard in Germania al ruolo di titolare degli Atlanta Hawks nella NBA, una promessa fatta a suo padre a soli 16 anni. Ecco tutta l'incredibile storia di Dennis Schröder

Appena sbarcato nella NBA, nel 2013, Dennis Schröder ha deciso di farsi un tatuaggio. La scelta è caduta su tre semplici parole: “Family over everything”, la famiglia su tutto. Non casuale, perché è stata proprio la sua famiglia a indirizzare in qualche modo il suo destino. “Avere un padre tedesco e una madre del Gambia non era molto abituale a Braunschweig, a quel tempo”, ammette oggi il playmaker degli Atlanta Hawks. Braunschweig, Germania, 250.000 abitanti, più o meno duecento chilometri a sud di Amburgo, solo qualcuno di più a ovest di Berlino. Nasce qui Dennis Schröder, e sotto la guida di papà Alex e di mamma Fatou, qui cresce insieme ai suoi quattro fratelli: “Con loro era una competizione continua, su ogni cosa. Viene da qui quella spinta che sento dentro a voler essere sempre il numero uno. L’ho imparata crescendo in mezzo a loro, in una famiglia numerosa”. I cinque Schroder, però, non giocavano certo a basket, almeno non come prima opzione. Per alcuni c'era il calcio, ovviamente, ma nel caso di Dennis la sua passione era ancora più strana: lo skateboarding: “Il mio primo vero amore — racconta oggi — e ricordo che sia per me che per mio fratello non c’era superficie impossibile da testare: corrimano, gradini, rampe. Avevo 10, 11 anni, stare su uno skate era tutto quello che volevo”. 

Dallo skate al basket — Un giorno però suo fratello cade male mentre prova un trick speciale e si rompe un braccio. Per mamma Fatou è abbastanza. “Ci ha obbligati a smettere con lo skate, non ne voleva più saper nulla”. Fortuna che proprio di fianco allo skatepark che erano soliti frequentare, c’era un campo da basket. “Ho iniziato quasi per scherzo, all’inizio non facevo per nulla sul serio. C’era questo allenatore, Liviu Calin, che bazzicava spesso Prinzen Park per reclutare qualche giovane interessante per la sua squadra, il Loewen Braunschweig. Mi disse che era sicuro che avrei potuto fare grandi cose nella pallacanestro se mi ci fossi dedicato seriamente”. Schröder accetta di provare “anche se io non ne ero per niente convinto, al tempo”, ricorda. Tanto è vero che l’impatto con la pallacanestro organizzata — per la prima volta Dennis gioca in una palestra, al coperto — è abbastanza complicato: litigi coi compagni, ritardi agli allenamenti e un atteggiamento tutt’altro che positivo. “Non mi impegnavo ed ero tutt’altro che disciplinato”, ammette. Gli piaceva di più tornare a Prinzer Park e sfidare gli amici di suo fratello maggiore Chen, gente 4-5 anni più grande di lui. Al campetto si sente più libero di esprimersi come vuole e palla in mano non ci sono molte cose che non riesce a fare. 

Il momento di crescere — A spingerlo a far bene nel basket, oltre a coach Calin, fin dal primo momento Dennis ha potuto contare su un’altra persona: suo padre. Che però proprio in quel periodo si ammala, il suo cuore non funziona come dovrebbe: “Ho realizzato in quel momento che anche se avevo solo 16 anni avrei dovuto diventare più responsabile”. Un giorno lui e suo padre si ritrovano a fare una lunga chiacchierata e a Dennis scappa una promessa che avrebbe poi segnato tutta la sua vita: “Gli promisi che sarei arrivato a giocare nella NBA e che mi sarei preso cura di tutta la nostra famiglia”, ricorda. Solo due settimane dopo, neanche a farlo apposta, un attacco di cuore si rivela fatale per papà Alex e Dennis capisce che quella promessa ora deve trasformarsi in qualcosa di più di semplici parole: “In quel momento ho iniziato a fare sul serio, a lavorare duramente”. Prima nelle giovanili dei Phantom Braunschweig e poi in prima squadra, Schröder inizia a farsi una reputazione nel mondo del basket tedesco: nella stagione 2012-13 viene votato giocatore più migliorato del campionato e vince anche il premio destinato al miglior giovane tedesco. La convocazione per il Nike Hoop Summit del 2013 — che tradizionalmente mette di fronte i migliori liceali d’America con i loro pari età internazionali — non sarebbe potuta arrivare in un momento migliore. 

 

 

Alla conquista dell’America — Al fianco di Andrew Wiggins (canadese), Karl-Anthony Towns (dominicano), Joel Embiid (camerunese) e Dante Exum (australiano) e contro una selezione USA che schierava tra gli altri Jabari Parker, Julius Randle e Aaron Gordon, Schröder guida Team World alla vittoria 112-98, sfoderando una prestazione da 18 punti, 6 assist e 2 rimbalzi e costringendo all'uscita per falli entrambi i suoi pariruolo avversari, in difficoltà evidente nel marcarlo per tutta la partita. “Pensavo di aver fatto una buona impressione agli scout — racconta lui — e da quel momento, anche una volta tornato in Germania, dove il campionato era ancora in corso, giocai sempre con grande determinazione, consapevole di avere addosso gli occhi di molta gente interessata”. Tra questi quelli di diversi scout e general manager NBA, dopo la sua dichiarazione di eleggibilità per il Draft del 2013. Jazz, Bucks, Sixers, Rockets, Celtics e Mavericks dimostrano tutti un qualche interesse, ma con due scelte al primo giro sono gli Atlanta Hawks che possono utilizzare la chiamata n°17 per selezionarlo, permettendogli così di tener fede alla promessa fatta a suo padre. Dennis Schröder è un giocatore NBA.

Da riserva a titolare a… — La carriera nella lega del tedesco — che in campo è super riconoscibile (al pari di tutti i suoi fratelli) per la ciocca di capelli biondo platino sopra l’occhio sinistro, idea della mamma parrucchiera — inizia con il doveroso apprendistato, prima addirittura in D-League e poi nel ruolo di riserva a un playmaker All-Star (2015) come Jeff Teague. La sua crescita stagione dopo stagione è però esponenziale e quando a giugno dello scorso anno gli Hawks accettano di spedire proprio Teague a Indiana in una scambio a tre che vede coinvolti anche gli Utah Jazz il semaforo per Schröder diventa finalmente verde. Verde è anche il colore dei dollari che di lì a pochi mesi passa a incassare, quando a ottobre 2016 firma l’estensione del suo contratto da rookie per 4 anni e la bellezza di 70 milioni di dollari. La dichiarazione con cui il diretto interessato commenta il ricco accordo non deve stupire, soprattutto nelle parole iniziali: “Ho parlato con la mia famiglia — “Family over everything”, ricordate? — e non ho avuto dubbi: sono qui ad Atlanta dall’inizio della mia carriera, è una grande organizzazione e ho ottimi compagni. Non ho motivi per andare altrove”. La storia di Schröder è lontana dal potersi dire conclusa; il lieto fine, però, è già assicurato.