Era il talento più promettente della sua generazione, ma tre pallottole in corpo sembravano aver fermato il suo sogno. Invece Lloyd Daniels - una stagione anche in Italia con la Scavolini Pesaro - ce l'ha fatta a diventare un giocatore NBA. E The Legend of Swee' Pea è il documentario che racconta la sua storia
La sua è una delle storie più tragiche e affascinanti che il mondo della pallacanestro abbia mai visto. Quand’era ragazzino sui playground e nei licei di New York, Lloyd Daniels era considerato il giocatore più forte d'America. “È Magic Johnson ma col tiro da fuori”, diceva qualcuno. “E il tiro da fuori è quello di Larry Bird”, aggiungevano altri. Esagerazioni? Fino a un certo punto. Tutti gli scout giovanili erano concordi sul talento del ragazzo dal soprannome curioso, “Swee’ Pea”, Pisellino, per la somiglianza col personaggio di Popeye/Braccio di ferro: “Era nato per giocare a pallacanestro, e il fatto che non sia riuscito a massimizzare tutto il suo talento è un’autentica tragedia”. Tra quello che avrebbe potuto essere e quello che invece è stato, una serie quasi infinita di ostacoli, dalla solita famiglia a pezzi (padre assente, la nonna come unica figura di riferimento) a una vera e propria allergia ai banchi di scuola, fino all’attrazione irresistibile verso alcool e droga. Inseguito da tutti i college d’America, Daniels aveva scelto – forse non a caso – la città del peccato, quella Las Vegas soprannominata “Sin City” per più di un motivo, ma che insieme a tutti i vizi offriva anche una delle più forti squadre universitarie d’America, quei Runnin’ Rebels allenati da una leggenda come Jerry Tarkanian. Solo che con la maglia di UNLV Lloyd Daniels finisce per non disputare neppure una partita, perché pizzicato durante una retata in una crack house locale: addio borsa di studio e addio, forse, a un destino da campione.
Tre pallottole e un sogno – Lloyd Daniels però a quel sogno ci rimane aggrappato, ripartendo dalla CBA, quella che allora era la seconda lega professionistica americana. Per uno col suo talento trovare un posto in squadra non è mai stato un problema. Stare lontano dai guai, invece, molto di più. L’11 maggio 1989 due spacciatori che Daniels aveva cercato di ingannare comprandosi l'ennesima dose di crack decidono di fargliela pagare: gli sparano tre volte, Lloyd Daniels rimane a terra e perde quattro litri di sangue. Quando arriva al pronto soccorso le sue condizioni sono disperate, “era più morto che vivo”, diranno i medici. Invece ce la fa, e quando si sveglia sul tavolo della sua stanza d’ospedale trova un pallone autografato: “Get well soon”, rimettiti presto: Michael Jordan. Quel Michael Jordan che Lloyd Daniels finirà per incrociare non in una stanza d’ospedale ma su un parquet NBA, perché sopravvissuto anche alle pallottole nessuno lo può più fermare. A dargli una chance nella NBA è proprio quel Jerry Tarkanian che non aveva potuto allenarlo a UNLV e che nel 1992 inizia la stagione sulla panchina dei San Antonio Spurs di David Robinson (durerà solo pochi mesi): un posto nel roster dei texani è per Daniels. Già alla seconda partita nella lega, contro i Denver Nuggets di Dikembe Mutombo, “Swee’ Pea” tira 11/19, segna 26 punti e ci aggiunge 8 rimbalzi, 6 assist, 3 recuperi e 3 stoppate. Riassunti in un microcosmo di 45 minuti c’è tutto l’irreale potenziale del ragazzo di New York che a 25 anni – senza essersi mai diplomato al liceo e non avendo mai giocato una singola partita al college – è riuscito comunque a ritagliarsi un posto al più alto livello di pallacanestro al mondo: la NBA.
The Legend of Swee’ Pea – La sua carriera tra i pro dura 200 partite, lungo cinque stagioni, con sei maglie diverse – Sixers, Lakers, Kings, Nets e Raptors oltre a quella degli Spurs. Nel mezzo anche la parentesi italiana, con la maglia della Scavolini Pesaro, lasciando ricordi come al solito contrastanti: partite da incontenibile fenomeno, seguite a prestazioni neppure mediocri. Oggi Lloyd Daniels vive nel New Jersey e – per sua stessa ammissione – ancora non è del tutto fuori dal tunnel di quelle dipendenze che hanno segnato a fuoco la sua vita. Una vita davvero da film, tanto da spingere il filmmaker americano Benjamin May a lanciarsi nella folle idea di raccontare la parabola di vita di questo talento sregolato. Il risultato è un documentario intitolato The Legend of Swee’ Pea, presentato al DOC NYC nel 2015 e ora visibile in anteprima europea a Milano ma disponibile online anche per tutti gli appassionati italiani che magari ricordano “Pisellino” nella sua annata pesarese o per chi semplicemente vuole gustarsi una delle parabole sportive più affascinanti degli ultimi anni.