Il duo degli Wizards combina per 63 punti e guida i padroni di casa al successo in volata contro gli Hawks, che lasciano in panchina Dwight Howard nel quarto periodo e adesso devono compiere "un’impresa" mai riusciti alla squadra della Georgia: rimontare dopo essere andati sotto 0-2 nella serie
Servivano i campioni e il duo Wall&Beal ha risposto presente, dimostrando una volta in più il valore di un backcourt invidiato dal resto della lega. Il numero 2 dopo l’exploit in gara-1, replica mettendo a referto 32 punti, 9 assist e 5 rimbalzi; per Beal invece un numero in più sulla maglia, uno in meno nel boxscore: 31 punti, 3 assist e 4 triple. I punti però vanno pesati e quelli del numero 3 fanno schizzare l’ago della bilancia molto in alto, visto che più della metà (16) sono arrivati nel quarto periodo, con tanto di tripla della staffa a 38 secondi dal termine che ha chiuso le ostilità e regalato il 109-101 che vale un 2-0 storico per Washington. Erano 31 anni infatti che due giocatori della squadra capitolina non realizzavano almeno 30 punti a testa (un record per i due, che in una gara di playoff non avevano mai segnato così tanto). “Bradley è il nostro uomo franchigia, lo siamo entrambi – commenta Wall, lasciandosi ancora di più alle spalle polemiche e presunti dissapori -. Abbiamo bisogno di lui come realizzatore; non ci porremo mai il problema qualora prenda 30 tiri”. Per Atlanta invece il dato preoccupante è un altro: mai nella loro storia gli Hawks sono riusciti a rimontare una serie al meglio delle sette in cui sono andati sotto 0-2 (nessuna vittoria e 18 sconfitte, ovviamente i peggiori dell’intera lega); c’è sempre una prima volta, ma sembra difficile immaginare possa essere questa.
Quando il gioco si fa duro…
Le condizioni infatti per gli ospiti di portare a casa un successo c’erano davvero tutte, nonostante per la prima volta in stagione Schroder e compagni non avevano trovato il fondo della retina nell’arco di tutto il primo tempo (0/8). Poco importa, visto che a fine primo tempo il punteggio dice -8, ma in meno di sette minuti nella ripresa la gara è di nuovo in parità. Atlanta infatti può approfittare dell’assenza causa problemi di falli sia di Markieff Morris che di Otto Porter, costretti ad accontentarsi di sette punti in combinata. Paul Millsap lo aveva detto dopo gara-1: “noi proviamo a giocare a basket, loro sembra stiano facendo MMA”, scatenando un mare di polemiche riguardo l’atteggiamento intimidatorio tenuto dai giocatori degli Wizards. A distanza di 72 ore le cose non sono andate molto meglio: 55 falli commessi e 71 tiri liberi dopo (più o meno equamente distribuiti), a perdersi per strada è soltanto il ritmo offensivo di entrambe le squadre, costrette a continue battute d’arresto che ne hanno spezzato la continuità. Alla fine però ci ha pensato il talento dei due migliori attaccanti sul parquet, in grado da soli di vincere 24-23 il quarto periodo e portare a casa il decimo successo “di coppia” nelle undici partite di primo turno giocate assieme.
Il "caso Howard" e non solo
“Non è successo nulla. Semplicemente ho messo dentro il quintetto piccolo e abbiamo continuato a cavalcare quello fino alla fine”, prova a giustificarsi coach Budenholtzer agli occhi di Dwight Howard, panchinato dopo 20 minuti di utilizzo e lasciato a lungo seduto a guardare. Sulla resa dello schieramento è Paul Millsap a dire la sua: “Quando giochiamo lo small-ball siamo meglio di qualsiasi altra squadra nella lega”. Insomma, due indizi che tendono a fare una prova contro il centro numero 8, autore di soli 7 punti realizzati con cinque tiri. Alla sirena finale sono 27 punti per Millsap, 23 di Dennis Schroder e 19 per un Tim Hardaway Jr. entrato definitivamente in quintetto. A fine partita però, tutti gli occhi del Verizon Center sono concentrati sui padroni di casa, salutati dall’ovazione di una folla che saluta il suo playmaker al grido di “M-V-P”, consapevole del fatto che assieme ai Cavaliers, i capitolini sono di gran lunga la squadra più convincente di questa prima settimana di playoff. In fondo, basta credere in se stessi: “È qualcosa che mi dico sempre – commenta Beal -, non so cosa significhi la parola “sbagliare”. Per me “miss” vuol dire soltanto signora”.