La prima chiamata per fargli le condoglianze, le successive per spingere il piccolo grande uomo dei Celtics verso la leggenda. Dallo 0-2 contro i Bulls, un filo (telefonico) diretto lega Isaiah Thomas a Kobe Bryant, suo mentore speciale in un momento così difficile
Le pazzesche prestazioni di Isaiah Thomas nelle ultime gare –su tutte i 53 punti segnati in gara-2 contro Washington – hanno lasciato il segno tanto su tifosi e appassionati in tutto il mondo che tra colleghi e giocatori nella lega. Dall’amico Jamal Crawford a LeBron James, sono stati tanti i campioni NBA che hanno speso parole di ammirazione per “IT” ma per un grande protagonista del (recente) passato gli exploit del n°4 biancoverde sono tutt’altro che inaspettati. Il suo nome? Kobe Bryant. L’ex 24 gialloviola – da tempo legato da una sincera amicizia alla point guard dei Celtics – lo ha raggiunto telefonicamente all’indomani della scomparsa della sorella Chyna, offrendogli le sue condoglianze (“Mi ha chiamato quando ero già tornato a casa e quando mia madre ha visto che restavo a lungo al telefono ha voluto sapere chi fosse. Quando le ho detto che si trattava di Kobe non voleva crederci!”). Dalle condoglianze al basket, il passo è stato breve. “Da quel giorno ci sentiamo in continuazione e ovviamente la conversazione si è spostata presto sui nostri playoff. Dopo essere finiti sotto 2-0 nella serie contro Chicago gli ho spedito via mail alcune clip video delle partite. Le abbiamo riviste assieme su Facetime per più di mezz’ora e i suoi consigli sono stati preziosissimi, mi hanno aiutato molto. Mi diceva di andare a un punto particolare del filmato e di guardare con attenzione questo o quel particolare – dettagli a cui lui presta molta attenzione e che invece magari io trascuravo. Da particolari come questi puoi capire come mentalmente Kobe rimane a un livello superiore, diverso da tutti gli altri: ecco perché è stato uno dei più forti giocatori di sempre”.
Un’amicizia che parte da lontano
Il rapporto di amicizia tra Thomas e Bryant non inizia oggi, ma ha già parecchia storia. Una storia che va indietro addirittura alla prima partita della carriera di “IT” nella NBA, con la maglia dei Sacramento Kings, di cui era stato la 60^ scelta assoluta al Draft 2011. Perché a tenere a battesimo nella NBA la piccola point guard nata a Tacoma ci hanno pensato proprio i Los Angeles Lakers (la squadra per cui faceva il tifo da piccolo) e Kobe Bryant (il suo idolo da ragazzino). “Al training camp mi ero costruito questa reputazione per cui, nonostante la mia altezza modesta, nessuno riusciva a segnare contro di me in post basso”, ha raccontato Thomas. “Così, quando entro in campo, coach Westphal mi manda in marcatura su Kobe, che ovviamente mi porta in post tre volte di fila, segnando sempre. Ricordo di essermi fatto una risata: non che fossi abituato a ridere se il mio avversario mi segnava in faccia, ma quello era Kobe…”.
La storia del leone
Quel Kobe che – passati parecchi anni – di quel piccoletto si ricorda quando il 30 dicembre 2015 visita Boston per la sua ultima gara esterna contro i rivali di sempre, che nel frattempo hanno eletto proprio Thomas a loro leader. “IT” spera di approfittare dell’ultimo passaggio di Bryant da Boston per strappare un autografo sulla mitica maglia n°24, ma ottiene invece molto di più: “Abbiamo finito per parlare per 20 minuti abbondanti, una conversazione che non dimenticherò mai. A partire dalla metafora del leone”, racconta il n°4 biancoverde. “Insetti negli occhi, moscerini su tutto il corpo: ci sono mille cose che possono distrarre un leone. Quando vede una zebra, però, il suo focus è tutto sulla preda e non permette che niente si frapponga tra lui e il suo obiettivo. Se ti fai distrarre dalle cose attorno a te, vuol dire che non sei abbastanza concentrato, che non le vuoi realmente”. E queste ultime parole devono essere rimbalzate spesso nella testa di Isaiah Thomas nelle ultime tre settimane, vissute con il ricordo della sorella sempre presente ma anche con la necessità di guidare i suoi Celtics all'assalto del titolo NBA. in quello che è il momento più importante della stagione. Quando bisogna mettere in campo tutto – talento, orgoglio, fame di vittorie – e quando a contare di più non sono i centimetri di altezza ma le dimensioni del cuore.