Terzo anno in fila in finale, ma lontani dal livello di Golden State: cosa possono fare i Cavs per colmare il gap? Analizziamo la loro situazione, tra le limitazioni sul mercato e il sogno Paul George, nella speranza di convincere LeBron James a rimanere tra un anno...
In un certo senso, i Cleveland Cavaliers si trovano nella migliore e nella peggior posizione possibile. Da una parte, questa stagione ha confermato che la loro supremazia nella Eastern Conference non è in discussione: anche con grossi problemi di infortuni di membri chiave del quintetto durante la stagione, anche affrontando quantomeno sottogamba la regular season (specialmente in difesa), anche presentandosi ai playoff solo con il secondo miglior record della conference, i Cavs non hanno avuto problemi a sbarazzarsi della concorrenza e conquistare le terze finali consecutive con un record complessivo di 12-1. Una volta ripresentatisi alle Finals, però, sono iniziati i dolori, ritrovandosi davanti una squadra con pochi eguali nella storia del gioco, con i risultati che tutti hanno visto. Ora si apre un dilemma per la dirigenza dei Cavs (che peraltro deve già affrontare la spinosa scadenza di contratto del GM David Griffin a fine mese): mantenere intatta una squadra che può quantomeno garantire – al netto della crescita delle altre a Est – un viaggio alle Finals ogni anno grazie a tre All-Star nel loro prime oppure smontarne dei pezzi, cercando di migliorarla e colmare il gap con Golden State con un’altra strutturazione?
Tenere il passo di Golden State
Il passaggio di Kevin Durant agli Warriors ha cambiato i rapporti di forza non solo tra Golden State e Cleveland, ma tra Golden State e il resto della NBA. Cercare di tenere il passo di una squadra del genere, che ha sfruttato a proprie favore condizioni sostanzialmente irripetibili per costruire il roster attuale, sarà una sfida difficilissima per tutti, non solo per i Cavs. Anche perché non deve passare sotto traccia che questo è stato il primo anno assieme dei Dubs con Kevin Durant, ed è probabile che il prossimo anno le cose vadano ancora meglio (ricordate quanto sono migliorati dopo il primo titolo?). I Cavs hanno impiegato due partite intere per capire come difendere ed attaccare contro questa versione degli Warriors, e nelle successive tre – pur migliorando – non sono stati in grado di batterli se non grazie a una prestazione offensiva senza precedenti in gara-4. Ripresentarsi con lo stesso gruppo o fare solo piccoli aggiustamenti vorrebbe dire probabilmente subire lo stesso destino, a meno di situazioni contingenti (un infortunio a uno dei Big Four di Golden State o un eventuale addio di Andre Iguodala) che non si possono prevedere e soprattutto non si possono mettere in conto adesso nella pianificazione di una stagione. Perciò, come evitare di fare la stessa fine contro il Mostro della Baia?
Le limitazioni della luxury tax
Quando LeBron James è tornato a Cleveland, ha messo in chiaro al proprietario (non amatissimo) Dan Gilbert che non avrebbe accettato nient’altro che un “all-in” da parte della franchigia dal punto di vista del mercato. Questo ha portato i Cavs a cedere tante prime scelte al Draft (che negli ultimi anni hanno fruttato Timofey Mozgov, JR Smith, Iman Shumpert, Channing Frye e Kyle Korver) e a spendere ancor di più per confermare il nucleo in fase di free agency (rifirmando ad alti contratti non solo James e Love, ma anche Tristan Thompson, Shumpert e Smith). Questo ha portato il monte salari a una cifra astronomica: per il prossimo anno i Cavs hanno un monte salari di 125.6 milioni impegnato su soli otto giocatori (il quintetto titolare più Shumpert, Fyre e Jefferson) – e questo senza considerare gli eventuali rinnovi di Korver, James Jones, Deron e Derrick Williams, che alzeranno ulteriormente la luxury tax da dover pagare alla lega per aver sforato la soglia, peraltro affrontando ulteriori penalità per averlo fatto in anni consecutivi. Il problema è che questa condizione salariale limita tantissimo le possibilità sul mercato della dirigenza, che sul mercato dei free agent potrà offrire solo minimi salariali a veterani in cerca di anelli, la mid-level exception da 5.1 milioni (da usare su un solo giocatore o dividerla su più di uno) e quattro trade exception rimanenti da scambi passati (la più alta è da 4.8 milioni per Mike Dunleavy). Poche carte a disposizione su un tavolo in cui gli altri hanno più cash da poter spendere, anche se nessuno può offrire la possibilità di giocare con uno come LeBron James.
Il sogno Paul George
Avendo poche possibilità di spendere sui free agent, l’altra via percorribile è inevitabilmente quella degli scambi. Nel momento stesso in cui i Cavs sono stati sconfitti hanno iniziato a rincorrersi le voci e gli articoli su un possibile assalto a Paul George, sacrificando Kevin Love per arrivarci. La possibilità di scambiare Love è l’unica realmente percorribile per Cleveland: James e Irving sono intoccabili e nessuno degli altri giocatori sotto contratto ha un appeal sul mercato tale da migliorare significativamente la squadra. Love, invece, è reduce dalla sua miglior stagione con i Cavs, ha altri tre anni di contratto e con la sua versatilità offensiva potrebbe fare comodo a diverse squadre in cerca di una stella per stabilizzare il proprio posto ai playoff. Comodo sì, ma non necessariamente da svenarsi per prenderlo, soprattutto per una squadra come gli Indiana Pacers che sono alle prese con delle decisioni molto importanti da prendere, a partire dalla situazione legata a “PG13”. L’All-Star a luglio entrerà nel suo ultimo anno di contratto e ha già fatto intendere di voler giocare per il titolo oppure tornare nella natìa Los Angeles per risollevare i Lakers. La mancata inclusione in un quintetto All-NBA poi ha reso ancora più difficile la sua permanenza a Indianapolis, e anche se i Pacers rimangono fermi nella convinzione che George non è sul mercato, il rischio che lo perdano a zero nel 2018 è troppo pericoloso per prenderlo sotto gamba. Ciò nonostante, se anche Indiana decidesse di cedere George, altre squadre potrebbero fare offerte molto più interessanti di un pacchetto costruito attorno a Love, qualche scelta scarsamente protetta nel lontano futuro (ad esempio 2021 o 2022, quando James sarà definitivamente nella fase calante della carriera) e i diritti su Cedi Osman, ala turca che vorrebbe fare il salto in NBA scelta al secondo giro da Cleveland nel 2015. Certo, George potrebbe mettersi di mezzo e dichiarare che rifirmerà solo con i Cavs, portando le altre squadre a pensarci bene prima di offrire asset per un “prestito” di un solo anno, di fatto eliminando la concorrenza a Cleveland. Ma per farlo dovrebbe come minimo avere la sicurezza che LeBron James rimanga in Ohio anche dopo il 2018. E al momento quella certezza non c’è.
Il vero obiettivo: convincere LeBron
Alla fine, l’intera estate dei Cavs sarà un lungo tentativo di convincere James – che sarà free agent nell’estate del 2018 – che rimanere sia la migliore opzione per vincere anche negli ultimi anni di carriera. E la base di partenza è tutt’altro che malvagia: i Cavs hanno incontrato una squadra più forte di loro, ma pur con i loro difetti (come ad esempio il crollo verticale ogni volta che James non è in campo, o l’età che si sta facendo preoccupante soprattutto tra i membri della panchina) rimangono comunque nell’élite della lega e sono i favoriti per vincere la Eastern Conference anche il prossimo anno, non fosse altro per la presenza di due come James e Irving. Un vantaggio che sulla carta permetterebbe loro di provare altre strade, come lo sviluppo di svincolati, giovani o di seconde scelte che possano giocare entrambe le metà campo, come insegnano i San Antonio Spurs o gli stessi Warriors con Patrick McCaw (i Cavs ci hanno provato durante la regular season con DeAndre Liggins e Kay Felder, ma è andata male). James però in questo momento della sua carriera non ha tempo da perdere e ha già fatto intendere che osserverà con attenzione le mosse della dirigenza: “Non sono il GM, ma so che il nostro front office continuerà a cercare modi per mettere la nostra franchigia in condizione di competere per il titolo anno dopo anno” ha dichiarato dopo gara-5. “Ci saranno squadre che proveranno a mettere assieme il giusto gruppo di giocatori per competere contro [gli Warriors], che sono assemblati come meglio non si potrebbe”. Ora diventa quindi questo l’obiettivo di LeBron: trovare il modo di battere Golden State nella versione con Kevin Durant. Dopo non esserci riuscito quest’anno, si darà un’altra occasione di farlo il prossimo anno con i Cavs, ma è semplicemente impossibile capire se – in caso di ulteriore sconfitta o di immobilismo sul mercato dei Cavs – continuerà a farlo a Cleveland in futuro. Ci sarebbero delle controindicazioni a un suo possibile secondo addio – come la prenderà la gente dell’Ohio dopo quello che è stato detto da James in questi ultimi anni? E come reagirà l’opinione pubblica nei suoi confronti? – ma l’anello conquistato lo scorso anno gli ha fatto guadagnare il diritto di fare ciò che vuole: la sua promessa di portare il titolo a Cleveland e spezzare la maledizione è già stata mantenuta, obblighi non ce ne sono più. Rimane solo da inseguire il Fantasma che giocava a Chicago. E per farlo, giusto o sbagliato che sia, servono i titoli. Quelli che Golden State minaccia di vincere in serie nei prossimi anni.