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Draft NBA: i Lakers scelgono Bryant e i Celtics puntano su Bird

NBA

Quando non si sa bene cosa scegliere, alle volte ci si può anche affidare alla nostalgia e chiamare un nome per il semplice gusto di sentirlo pronunciare di nuovo

Il Draft si sa, non è mai una scienza esatta, soprattutto quando bisogna scegliere ben lontano dalle prime posizioni, quando il panorama diventa molto più confuso e scansare le fregature è impresa ardua, se non impossibile. Gli almanacchi sono pieni di potenziali Manu Ginobili che in realtà si sono rivelati poi dei brocchi incapaci di mettere piede su un parquet NBA, ma l’illusione ogni volta che ci si ritrova a fare i conti “con ciò che resta” è quella di poter pescare il ragazzo giusto. In fondo basta riconoscerlo, metterlo sotto la lente d’ingrandimento e capire come e soprattutto se quel cognome dalla pronuncia impossibile non celi un potenziale campione. Altre volte invece si può far ricorso alla scaramanzia e puntare su chi con quel nome garantisce piacere soltanto a sentirlo pronunciare. E così i Lakers, chiamati a scegliere non solo alla due, ma anche alla 42, hanno deciso di puntare tutto su Thomas Bryant. Sei lettere molto pesanti da scrivere sul retro di una canotta gialloviola, ma evidentemente a Los Angeles non sono riusciti a stare più di un anno senza averne uno nel roster. Un amuleto per scacciare la nostalgia, così forte nonostante sia già passato più di un anno da quando il numero 24 dei Lakers uscì dallo Staples Center lasciando cadere a terra il microfono pronunciando quel definitivo "Mamba out". A Boston, stessa storia, nonostante gli anni ormai siano quasi 25. E così anche i Celtics, in un Draft diventato in un attimo una rivisitazione di "Carramba che sorpresa", alla numero 56 hanno deciso di chiamare Jabari Bird; sì, proprio come Larry, anche se a guardarlo in viso non ricorda di certo l’ex campione originario dell’Indiana. Ma se c'è una cosa che questi decenni di scelte ci hanno insegnato è che l’apparenza inganna; ciò che conta sono i valori tecnici e atletici che si hanno in dote, alle volte da tirar fuori soltanto dopo aver fatto un lavoro certosino di preparazione. Al massimo può pesare il cognome da associare al numero di maglia (pensate cosa potrebbe succedere se Thomas e Jabari scegliessero il 24 e il 33...) a non come raccomandazione. Nessuno può resistere alla tentazione di pronunciare il nome del suo più grande amore, anche a costo di investire una chiamata al Draft per farlo. In fondo, dovesse funzionare...