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NBA, scambio Irving-Thomas: conviene più ai Celtics o ai Cavaliers?

NBA

Stefano Salerno

Quella tra Cleveland Cavaliers e Boston Celtics è una trade che può spostare gli equilibri non solo nella Eastern Conference, dettata da motivazioni diverse e allo stesso modo valide per entrambe le franchigie. La domanda però è legittima: chi guadagna e chi perde con questo scambio?

Tutti abbiamo aspettato sotto l’ombrellone per oltre un mese come sarebbe stata risolta in casa Cavs la “questione Kyrie Irving” e poche ore fa, come un fulmine a ciel sereno, è arrivata la trade che in pochi avrebbero pronosticato. Non saranno infatti né i Knicks, né gli Spurs la prossima squadra dell’ormai ex playmaker di Cleveland, ma niente-popò-di-meno-che i rinnovati Boston Celtics, disposti a sacrificare per lui Isaiah Thomas, Jae Crowder, Ante Zizic e una prima scelta al Draft 2018 (quella dei Brooklyn Nets, roba pregiata vista la situazione dei newyorchesi). Uno scambio che rivoluziona le gerarchie nella Eastern Conference, che sembra rimettere in discussione la leadership dei Cavaliers dopo un triennio in cui nessuno lungo la costa atlantica era riuscito a trovare le contromisure giuste alla coppia Irving-James. Adesso invece siederanno sui lati opposti della barricata, in una sfida che si preannuncia scoppiettante sin dalla prima palla a due della stagione, con il ritorno a Cleveland del figliol prodigo Kyrie già all’esordio. Un cambio di scenario conveniente per ragioni diverse a entrambe le parti chiamate in causa, di cui vale la pena analizzare nel dettaglio le ragioni.

Perché lo scambio conviene ai Cavaliers

Cleveland dalla metà di luglio si è ritrovata per le mani una patata bollente difficile da gestire, stretta nella morsa dal licenziamento di David Griffin (secondo la lettura di alcuni, la ragione scatenante del malessere di Irving) e dall’incapacità di riuscire a trovare un GM all’altezza al suo posto, paralizzata in un mercato che per ragioni salariali non lascia grande margine di manovra alla franchigia che spende più di tutti in stipendi. Con la trade con i Celtics dunque, i Cavs provano a prendere ben tre piccioni con una fava: scambiare un asset pregiato come Irving alle condizioni migliori che offre il mercato; liberare spazio salariale riducendo l’ammontare di luxury tax da pagare; garantirsi un futuro meno complesso in caso di partenza di LeBron James la prossima estate. Andiamo con ordine. Tenere in squadra Irving sarebbe stato un rischio troppo grande, in uno spogliatoio ormai spaccato dopo le indiscrezioni trapelate nelle scorse settimane. La prima volta in cui un compagno di squadra di LeBron James si è lamentato della presenza nel roster del Re; una scena che a molti ha ricordato gli screzi di inizio millennio tra Kobe Bryant e Shaquille O’Neal ai Lakers, anche loro vincenti e dissolti dopo diverse travagliate stagioni passate a litigare. Il prodotto di Duke, a differenza del Bryant dell'epoca, ha deciso di fare lui le valigie con un anno d'anticipo al posto di attendere la decisione che LeBron prenderà la prossima estate. Irving era però uno dei due pilastri su cui si fondavano i successi di Cleveland; al suo posto dunque era necessario riuscire a garantirsi giocatori di spessore e dal sicuro impatto per pensare di restare competitivi già da ottobre. Isaiah Thomas (e in parte anche Jae Crowder) rispondono a questa logica, a cui si aggiunge poi una pregiata prima scelta al Draft 2018; un’uscita d’emergenza nel caso in cui LeBron decidesse di lasciare di nuovo l’Ohio e allo stesso tempo punto di forza nell'ipotesi in cui i Cavaliers manifestassero il bisogno di un ulteriore upgrade nei prossimi mesi. A questo poi si aggiunge il fatto che Cleveland grazie alla trade ha ridotto di ben 29 milioni l’esborso in tassa di lusso, passando dai 78.4 milioni pre-trade ai 49.3 attuali. Una riduzione che priverà di circa 500mila dollari tutte le 24 squadre che incassano i benefici del non essere tra le franchigie che spendono più del consentito, Boston inclusa. In Massachusetts però faranno ben volentieri a meno di quel mezzo milione di dollari, visti i tanti benefici garantiti da questa operazione.

Perché lo scambio conviene ai Celtics

I Celtics infatti hanno definitivamente svelato le proprie carte. Dopo le trattative saltate (e parallele a Gordon Hayward) per Jimmy Butler e Paul George, sembrava che a Boston avessero nuovamente tirato i remi in barca, pronti a godersi un’altra stagione di crescita in attesa del definitivo sbocciare delle scelte al Draft presenti e future. Il vero problema all’orizzonte però restava il contratto di Isaiah Thomas, protagonista dell’ultima stagione e pronto a chiedere un rinnovo milionario e ingombrante la prossima estate. Il dilemma in casa Celtics era proprio quello, indecisi se puntare così tante fiche su un giocatore che nonostante la volontà e l’attitudine, manifesta da sempre dei chiari limiti a livello di statura e di atletismo. Il contratto di Thomas in questa stagione è di 6.3 milioni di dollari; un'affare per chiunque, a patto poi di essere disposti a metterne almeno 20 all'anno sul piatto tra meno di dodici mesi. Lo scambio con Irving in questo senso toglie dunque le castagne dal fuoco ai Celtics, scaricando il problema rinnovo su Cleveland e incassando in cambio uno dei migliori giocatori non solo della diretta concorrente a Est, ma della intera Lega. Un campione in più a disposizione in un roster in cui adesso diventa difficile nascondere le proprie ambizioni. Infatti, nonostante il quintetto rivoluzionato (Thomas, Crowder, Bradley e Johnson, in quintetto lo scorso maggio sono andati via nelle ultime settimane), a coach Stevens per la prima volta in carriera verrà chiesto di fare l’ennesimo passo in avanti: vincere, sapendo che Boston ha comunque la possibilità di poter aspettare la definitiva maturazione dei vari Jaylen Brown e Jason Tatum, oltre che sfruttare la scelta 2018 dei Lakers. Un lusso non da poco, che bisognerà essere in grado di sfruttare al meglio.