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NBA, la versione di Kyrie: “Perché avrei dovuto avvisare LeBron?”

NBA
LeBron James e Kyrie Irving insieme hanno raggiunto tre finali NBA consecutive, vincendone una (foto Getty)

L'ex point guard di Cleveland ha parlato a lungo della sua insoddisfazione nei confronti dell'ambiente dei Cavs e, di riflesso, di quella nei confronti di LeBron James: "Ho scelto con la mia testa, voglio essere in una situazione in cui posso raggiungere il mio massimo"

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Tra le tante persone che hanno commentato, discusso e anche criticato la scelta di Kyrie Irving di andarsene da Cleveland, ce n’è una che ancora non aveva avuto l’occasione di dire la sua: proprio l’ex playmaker dei Cavaliers. “L’unica persona di cui tutti si sono dimenticati sono io, che non ho detto una dannata parola” ha dichiarato Irving in una lunga intervista su First Take, storico programma del controverso Stephen A. Smith su ESPN. “Ho visto giocatori del passato, giocatori ritirati da poco, giocatori ancora in attività parlare di cose che non li riguardano minimamente. Apprezzo i loro commenti, ma allo stesso tempo è una mia decisione”. Ma qual è, allora, la versione di Kyrie? La risposta non è di semplice elaborazione, visto che nel corso dell’ora passata negli studi di ESPN Irving ha detto un po’ di tutto – a volte contraddicendosi, a volte riuscendo a far passare il suo messaggio, a volte lanciandone altri che si potevano leggere solo tra le linee. Tirando le somme, le cose che si possono affermare con certezza è che a Cleveland non era più felice, e che questa infelicità era in larga parte dovuta alla presenza di LeBron James, pur avendo l’accortezza di non attaccarlo mai direttamente. “Ho avuto l’opportunità di crescere ed evolvere come uomo, e ho sentito che era nei miei migliori interessi andarmene. Sono stato paziente nel mio approccio, comprendendo l’importanza di questo momento. Non avrei lasciato che nulla si intromettesse nel successo della squadra, perciò sono stato molto professionale. Ma giunto a 25 anni e volendo migliorarmi ogni singolo giorno, volevo essere nel giusto ambiente dove poter imparare ogni singolo giorno e ricevere queste indicazioni dal mio coaching staff, all’interno di una franchigia che mi portasse a eccedere il mio potenziale per vedere fino a dove posso arrivare”. Evidentemente, il problema con tutto l’ambiente dei Cleveland Cavaliers andava avanti da diverso tempo, e visto che l’ambiente dei campioni della Eastern Conference vive e respira in relazione a ciò che decide LeBron James, fare 2+2 diventa inevitabile.

I “giorni no” di Kyrie

Irving ha parlato di come la mancanza di sintonia con l’ambiente lo abbia portato ad avere “meno energia” e di quanto sia stato difficile far combaciare le esigenze della squadra con quelle personali. “Sono cresciuto in un ambiente professionale, un posto di lavoro in cui tutti contribuivano per il meglio. Quando arrivavo in quell’ambiente [i Cavs, ndr] ci sono state volte in cui la mia energia scompariva, e come qualsiasi atleta professionista ho avuto i miei giorni no, quelli in cui mi sono chiesto ‘È questa la cosa giusta per me in questo momento?’. Sono giunto poi alla risposta che ho preso. Ho deciso che volevo lasciare quell’ambiente perché mi stava prosciugando le energie e mi avrebbe portato ad affrontare degli alti e bassi come se fossi sulle montagne russe. E tutte le realtà false create da diversi media alla fine sono crollati su loro stessi una volta che abbiamo perso le Finali. Tutto ciò che volevo fare era continuare a capire chi fossi e, una volta che ci sono riuscito, ho deciso con la mia testa”.

Il ruolo di LeBron James

In tutto questo, è inevitabile che il pensiero vada immediatamente a LeBron James e a quanti effetti la sua ombra abbia avuto sulla scelta di Kyrie. Il quale, dal canto suo, ha detto più volte di non aver “mai detto che non volevo più giocare con LeBron” e ha definito la sua esperienza come suo compagno di squadra come “incredibile, una cosa che mi terrò stretta per il resto della mia vita”. Allo stesso tempo, Irving ha puntato il dito contro l’ambiente tossico (creato in larga parte dalla presenza di James), al “circo” dei media che lo circonda ovunque vada (mentre lui sostiene di “non avere davvero un ego, sono molto basato sulla realtà”) e ha confermato di non averlo informato della richiesta (“Perché avrei dovuto?”), sbottando quando gli è stato chiesto se ci fosse qualcosa di personale contro “LBJ” (Perché continuate a chiedermi solo di un giocatore? Capite che c’erano altri tredici ragazzi nello spogliatoio?”). In particolare, è evidente che Kyrie non volesse aspettare che James decidesse cosa fare il prossimo anno – “Arrivi a un crocevia nella tua carriera e nella tua vita in cui devi decidere, e quella decisione non può essere capire cosa vuole fare qualcun altro, ma capire cosa vuoi fare tu” – e soprattutto non volesse convivere per un’intera stagione con le inevitabili chiacchiere che circonderanno i Cavs per via del contratto in scadenza del Re. Piuttosto, con la sua richiesta di trade Irving ha deciso di anticipare i tempi ed essere artefice del proprio destino, nel bene e nel male: “Sono pronto ad andare avanti e fare le cose da solo. Voglio una nuova situazione e un ambiente in cui posso essere felice, ma non ha niente a che fare con il non voler essere ‘la seconda scelta’ o il non voler essere ‘trattato da figlio’ da qualcun altro”.

Una nuova vita a Boston

Lasciata alle spalle l’esperienza di Cleveland, Irving si è detto “estasiato” all’idea di giocare per i Boston Celtics. “Non vedo l’ora di giocare nella mia posizione e di diventare qualcosa che ho sempre immaginato per me stesso – una point guard completa per una grande squadra. Voglio poter giocare i pick and roll e dissezionare le difese mettendo i miei compagni nelle migliori condizioni possibili. Non vuole essere una critica contro nessuno di quelli con cui ho giocato, ma semplicemente il mio ruolo sarà completamente diverso”. Evidentemente Kyrie non era contento di quello che gli era chiesto di fare ai Cavs (per quanto abbia avuto enorme successo nel farlo) e si aspetta di avere molto di più il pallone tra le mani nel sistema di coach Brad Stevens. “Io non sono quel tipo di giocatore individualista che vuole giocare uno-contro-uno ogni volta che va in attacco. Non è quello il modo di giocare che io apprezzo: ho guardato un sacco di basket nella mia vita, probabilmente più di quello che la gente pensa”. Rimane tutto da vedere se sarà davvero così, perché anche prima dell’arrivo di James l’ex point guard dei Cavs – per quanto giovanissimo – non era esattamente noto per le sue doti di playmaking. Tanto è vero che il suo idolo da sempre si chiama Kobe Bryant, un giocatore che “sapete tutti quanto io apprezzi: per me il primo è mio padre e appena dopo viene lui”. Un altro che, nel lontano 2004, impose una scelta netta alla sua squadra: o lui o Shaquille O’Neal (e Phil Jackson). Questa volta è stato Irving a lasciare il suo compagno superstar, ma i punti di contatto – la voglia di avere una propria squadra, con un proprio ruolo definito e maggiore, invece di rimanere nell’ombra di un altro – sono davvero molti. Il risultato lo inizieremo a scoprire solo dal 17 ottobre, quando Irving affronterà immediatamente la sua ex squadra nell’attesissima opening night della stagione NBA.