Al roster della stagione esaltante appena trascorsa (anche se naufragata malamente contro San Antonio) si è aggiunto Chris Paul e una panchina che resta lunga e ricca di opzioni: la prima alternativa a Ovest ai Golden State Warriors adesso sono loro
A Houston sono cambiate tante cose dallo scorso 11 maggio, coinciso con il naufragio delle ambizioni di una squadra annichilita dalle contromosse di Gregg Popovich e dall’opportunismo cestistico dei San Antonio Spurs. È passato un uragano in città che ha spazzato via vite, case e certezze. Un cambiamento molto più traumatico, ma certamente radicale quanto quello che i tifosi dei Rockets si ritroveranno di fronte sul parquet dalla prossima settimana. In società infatti è arrivato un nuovo presidente: Tilman Fertitta (di cui abbiamo già raccontato la storia) ha preso dalle mani di Lesley Alexander per la cifra record di 2.2 miliardi di dollari una squadra in salute, felice di avere sotto contratto per altri sei anni James Harden e diventata ancor più competitiva dopo l’acquisizione di Chris Paul, costata l’addio di Beverley, Dekker e Williams. Un upgrade enorme per una squadra che non ha poi indebolito più di tanto una panchina che può ancora contare su Eric Gordon (miglior sesto uomo della passata stagione), P.J. Tucker, Nené e Luc Mbah a Moute; uno di quelli chiamati a dare una forte identità difensiva a una squadra che sembra avere soltanto quella pecca. I Rockets infatti hanno due big di assoluto livello adesso, a cui poter affiancare un anno di esperienza e rodaggio all’interno di un sistema di gioco che genera attacco, punti e opportunità per tutti al pari di quello degli Warriors (o di poco sotto). A lasciare dei dubbi (come spesso accade quando si parla di squadre di D'Antoni) è il 106.4 di Defensive Rating concesso agli avversari la scorsa regular season, diventato poi 107.1 ai playoff nonostante non abbiano incrociato il proprio cammino con quello degli Warriors. CP3 può rappresentare un passo in avanti anche sotto questo aspetto, a patto però che le qualità di alcuni si fondano con le carenze degli altri: la guardia avversaria meno pericolosa non dovrà diventare un problema perché marcata da Harden, così come il lungo che battaglierà in area con Anderson. Se l'ex coach dei Phoenix Suns riuscirà a trovare la quadra anche nella propria metà campo, i Rockets potranno togliersi delle grandi soddisfazioni.
RECORD 2016-17: 55-27 (2^ della Southwest Division, 3^ della Western Conference, 3° posto in NBA)
PLAYOFF: sì, eliminati in semifinale di Conference dai San Antonio Spurs (4-1 vs. Oklahoma City Thunder | 2-4 vs. San Antonio Spurs)
UNDER/OVER 2017-18: 55.5
ROSTER
CHRIS PAUL | Isaiah Taylor, Bobby Brown
JAMES HARDEN | Eric Gordon, Tim Quarterman
TREVOR ARIZA | PJ Tucker, Luc Mbah a Moute
RYAN ANDERSON | Tarik Black, Cameron Oliver
CLINT CAPELA | Nene Hilario, Chinanu Onuaku, Zhou Qi
ALLENATORE: Mike D’Antoni
GM: Daryl Morey
Paul e Harden sono complementari o si pesteranno i piedi?
Il tema in questione dovrebbe svolgerlo Mike D’Antoni, ma a prescindere dall’ultima trascendentale versione di James Harden vista nell’ultimo anno da point guard, si può dire senza timori di smentita che un giocatore come Chris Paul non può che far bene al Barba, che la palla in mano la vorrà più spesso di quanto il Klay Thompson di turno faccia con Steph Curry, ma che giocando lontano dal solito pick&roll centrale con cui inizierà l’azione dei Rockets può diventare un’arma di distruzione di massa. Immaginate la miglior difesa del mondo che deve nello stesso momento preoccuparsi di Chris Paul che sta per prendere un blocco, restare incollata a tiratori mortiferi dall’arco e al contempo evitare una ricezione che garantisca un minimo vantaggio a Harden. Auguri. Il tutto tenendo conto del fatto che Houston potrà così usufruire per tutti i 48 minuti di gioco di uno dei cinque migliori creatori di gioco al mondo e di una panchina di tutto rispetto. Tanta roba.
E il gioco dal mid-range di Paul che fine fa nel calderone del Moreyball dantoniano?
Resta, e diventa un punto di forza in più. La concezione cestistica dei Rockets infatti è figlia di una semplice considerazione statistica: prendo i tiri che mi garantiscono su un alto volume di conclusioni una resa migliore. Lo si coglie subito anche guardando i dati della passata regular season e facendo il calcolo della serva più semplici possibile: nei complicati tiri dalla media che una squadra come i Clippers gli garantiva (nonostante l’area spesso affollata dagli ingombranti Blake Griffin e DeAndre Jordan), la percentuale di realizzazione di CP3 è stata del 50.9% (164/322): 1.01 punti a tiro (l’87% dei quali non assistiti), di gran lunga superiore allo 0.8 generato dalla media NBA e di poco inferiore all’1.07 per conclusione garantito dal 35.7% dall’arco con cui Houston ha tirato da tre la passata stagione. In parole povere: un tiro dalla media di Chris Paul era una soluzione statisticamente conveniente in una squadra che tendeva a riempire l’area avversaria. Figurarsi nel deserto dei Tartari che spesso si ritrovano davanti i Rockets grazie ai 50 tentativi da tre punti a partita.
La panchina può essere un valore aggiunto?
A differenza di Thunder e T’wolves (le altre due squadre uscite nettamente rinforzate a Ovest dopo questa sessione di mercato), Houston può contare su una panchina di buon livello, all’interno della quale inserire sempre uno tra Paul e Harden; un vantaggio enorme su cui nessun altro può contare. Gordon-Mbah a Moute-P.J. Tucker-Nené è un ottimo quartetto che guidato da una delle due point guard può tenere botta contro qualsiasi second-unit, senza snaturare di molto le attitudini di squadra di allargare il campo (l’ex stopper dei Clippers pagherà dazio, ma gli altri hanno un’eccellente mano). Alternative che potranno in parte far sì che Ryan Anderson metta da parte il malumore per essere stato considerato a lungo una pedina di scambio in questa off-season, rimasta poi in mano a Morey senza che nessuno abbia voluto accollarsi il suo triennale da 61 milioni di dollari. Le alternative infatti non mancano e l’ex giocatore dei Pelicans dovrà fare davvero del suo meglio per conquistarsi minuti sul parquet.
Obiettivi
Il titolo NBA, non un passo indietro. Harden, Paul e D’Antoni sanno che potrebbe essere l’occasione della vita e il coronamento di tante carriere che troverebbero così la definitiva consacrazione. Peccato però che ci siano gli Warriors, che al momento appaiono ancora irraggiungibili; starà ai Rockets riuscire a scombinare le carte.