Il centro dei Detroit Pistons nei suoi cinque anni NBA ha tentato ben 1793 liberi, convertendone soltanto 683. In questa stagione ha una striscia aperta di sei consecutivi, mai gli era successo in carriera. Qualcosa, a detta di tutti, sta cambiando
Fermare con un fallo un gigante da 130 kg lanciato verso il proprio canestro può spesso essere il male minore, soprattutto se le sembianze fisiche ben rappresentano la dolcezza e la precisione di tocco del giocatore a cronometro fermo. La storia è piena di centri dalle mani di marmo incapaci di convertire tiri liberi e limitati non poco dalla loro mancata precisione; Andre Drummond, fino a qualche mese fa, rientrava in toto in questa categoria. Nei suoi primi cinque anni trascorsi in NBA infatti, il centro dei Detroit Pistons ha tentato ben 1793 tiri liberi convertendone soltanto 683. Il 38.1%, una miseria rispetto alle schiacciate e ai facili lay-up a cui quei falli lo hanno costretto a rinunciare. Il peggior tiratore di liberi secondo molti, talmente tanto emblematico (in negativo) che Tom Haberstroh lo aveva preso come modello nel suo studio pubblicato su ESPN riguardo tutto ciò che non bisogna fare quando si tirano i liberi. Una pecca enorme che spesso e volentieri costringeva il suo coach (non ultimo Stan Van Gundy) a metterlo in panchina per evitare i ripetuti falli intenzionali che lo vedevano come bersaglio ideale. Nel gennaio del 2016 in una sfida contro gli Houston Rockets, Drummond ha fissato il non invidiabile record di liberi sbagliati in una singola partita: ben 23, tirando 13/36 dalla lunetta; un’occasione talmente ghiotta da spingere K.J. McDaniels in quella sfida a commettere cinque falli su di lui in meno di nove secondi. Una situazione talmente tanto degenerata che portò la NBA a varare delle nuove regole per limitare questi casi, punendo il fallo intenzionale non solo negli ultimi due minuti del quarto periodo, ma nell’ultima parte di tutte e quattro le frazioni di gioco. Quest’anno però qualcosa sembra essere finalmente cambiato: in preseason Drummond ha tirato con un convincente 16/20 dalla lunetta e in stagione nelle ultime gare sta viaggiando con un immacolato 6/6 a cronometro fermo. Mai in carriera era riuscito a metterne a segno così tanti consecutivamente senza sbagliare.
Van Gundy: “Un cambiamento reale, ha trovato il suo ritmo”
“Il numero totale di tentativi non è di certo molto ampio, ma basta guardarlo tirare per capire che il cambiamento è reale – ha raccontato coach Van Gundy -. Abbiamo visto spesso dei pessimi tiratore trovare un breve momento di grazia, tirando magari 6/10 dalla lunetta, con la palla che magicamente trovava il fondo della retina dopo essere uscita in maniera sbilenca dalle mani e seguita poi da errori in cui il pallone non toccava neanche il ferro. In questo caso è diverso: anche i tiri che non sono entrati in preseason erano giusti, delicati, tutti centrati. Nessuno è stato neanche lontanamente un pessimo errore. Lo ripeto, è un cambiamento reale: tirerà bene per tutta la stagione. Per questo spero che inizino a caricarlo di falli”. Un discorso tutt’altro che campato in aria, visto che l’allenatore dei Pistons già dopo il successo di contro i Knicks, per sottolineare quanto la sua squadra sia cambiata in termini di approccio e produzione offensiva, ha raccontato sorridente: “Quando ci hanno fischiato un fallo tecnico a favore e Reggie Jackson era in panchina (il miglior tiratore di liberi della squadra, ndr), per un attimo ho pensato di chiedere a Drummond di andare in lunetta: più cambiamento di questo!”. In effetti per Detroit poter contare su un giocatore del genere può fare tutta la differenza del mondo (nonostante Embiid ne abbia messo in mostra tutti i difetti nell'ultimo incrocio sul parquet).
La soluzione: l’allenamento con la realtà virtuale (e il nuovo trainer)
La svolta è arrivata grazie a un metodo di allenamento molto particolare: Drummond infatti ha iniziato a indossare gli occhiali e a osservare sé stesso e la sua meccanica di tiro in 3D da angoli differenti. Una ricerca innovativa e soprattutto una strada che gli ha permesso di capire quali fossero gli errori commessi in maniera più frequente. “Ho a disposizione un doppio sistema 3D, uno a casa e uno in palestra: appena finisco l’allenamento inizio a osservare quanto fatto”, raccontava il diretto interessato all’inizio della passata stagione. Negli scorsi mesi però non aveva funzionato e allora a cambiare è stato anche il suo allenatore personale: Drummond è ritornato in contatto con Idan Ravin, il trainer con cui si era allenato prima del Draft 2012. “Abbiamo provato solo quello per tante settimane, ripetendo ogni routine migliaia e migliaia di volte. Fino a quando non ne abbiamo trovata una che funzionava al meglio”. Adesso la riproduzione fino allo sfinimento ha reso tutto più semplice: discesa sulle ginocchia, palleggio in avanti con il braccio disteso, gomito leggermente piegato, risalita con le braccia fisse in avanti e poi un rilascio in cui si lavora molto di tocco con la mano. “Per me adesso è come correre, una cosa naturale. Ci ho messo tanto lavoro, spendendo buona parte del mio tempo in questi anni. È stato un modo per per cambiare la mia respirazione e il mio approccio. Messo a posto questo, tutto sta poi nel mantenere la stessa costante meccanica e ripetere allo sfinimento il movimento. Ho rimosso tutto ciò che avevo fatto in passato, ho resettato”. Accantonati quei fantasmi, adesso tutto sembra più facile. Almeno fino al prossimo errore.