I Sixers hanno deciso di rinunciare al quarto anno previsto dal contratto della terza scelta assoluta al Draft 2015. Un buco nell’acqua; non il primo e non di certo l’unico di quell’annata
Dopo due anni fare una valutazione complessiva dei giocatori scelti è possibile e spesso quando si parla delle prime chiamate al Draft non ci sono dubbi; continuare a tenersi stretti i talenti sui quali si è puntato forte soltanto qualche giugno prima è spesso doveroso. Non sempre però le cose vanno per il meglio e lo sanno bene i Philadelphia 76ers che, avendo fatto incetta di chiamate e giovani prospetti, sono alle volte incappati in scelte meno azzeccate del previsto. Jahlil Okafor, il centro selezionato con la terza chiamata assoluta al Draft 2015, da qualche ora rientra ufficialmente tra quelle, visto che i 76ers hanno deciso di non esercitare la team option prevista dal suo quarto anno di contratto da rookie (con scadenza 31 ottobre). Non una cosa che accade molto spesso: Okafor infatti è il terzo giocatore selezionato nella top-3 del suo Draft dopo Anthony Bennett (prima scelta 2013) e Hasheem Thabeet (seconda chiamata nel 2009) a non ricevere il prolungamento nel suo quarto anno di contratto; un fallimento che spesso compromette i piani di crescita di una squadra. A Philadelphia in realtà le cose sono andate in maniera diversa, anche perché a furia di scegliere le cose sono iniziate ad andare per il verso giusto. Okafor infatti non era partito malissimo nel suo primo anno NBA (17.5 punti e 7 rimbalzi di media), nonostante fosse sottodimensionato per affermarsi definitivamente nel ruolo di centro all’interno della Lega. Un problema non da poco dover affidare nelle sue mani la rinascita di una squadra in pieno rebuilding; preoccupazioni del passato (per fortuna dei Sixers) visto che adesso è diventato soltanto una riserva alle spalle dei molti più promettenti Embiid, Saric e Simmons e uscito dalle grazie di una dirigenza che si è pentita quasi subito dell’investimento fatto. Meglio risparmiare dunque i 6.3 milioni di dollari previsti dal suo contratto, nonostante il salary cap lasci un margine di manovra abbastanza ampio per poter riconfermare Justin Anderson a 2.5 milioni: lui, scelto alla ventuno, resta; l’altro invece dovrà trovarsi un’altra franchigia. Oltre al danno, anche la beffa.
Anche Huestis e Hezonja non trovano spazio
Non solo Okafor, ma anche Josh Huestis, il primo caso di americano scelta al Draft e trattato come un europeo qualsiasi, con i quali spesso viene utilizzata la logica di “Draft and stash”: ti scelgo, ma resti per qualche tempo a giocare nella tua squadra prima di raggiungere la tua franchigia. La 29^ chiamata dei Thunder, d’accordo con la dirigenza, fu quindi subito dirottato in D-League senza firmare il suo contratto nel primo anno. Una decisione per provare a farlo crescere e che ha inevitabilmente ridotto il suo spazio all’interno del roster: sono state soltanto sette le partite giocate nei due anni successivi dal numero 34, prima di ritrovarsi catapultato all’interno della rotazione nelle ultime settimane in una squadra che sta cercando in tutti i modi di allungare la panchina. La prossima estate però OKC avrà bisogno di disporre del maggior spazio salariale possibile per convincere a suon di milioni Anthony e George a prolungare la loro permanenza e anche i suoi 2.2 milioni di dollari potranno far comodo. Terzo, ma non per importanza, Mario Hezonja, che si è ritrovato nella stessa situazione degli altri due con gli Orlando Magic. La squadra della Florida infatti ha deciso di non esercitare la team option prevista nel quarto anno del suo contratto da rookie, rendendolo così un unrestricted free agent (ossia un giocatore svincolato e libero di firmare con qualsiasi squadra) già dalla prossima estate. Nei mesi passati i Magic avevano provato a scambiarlo con i Kings, provando a evitare di perderlo senza ottenere nulla in cambio, ma ogni tentativo di trattativa è poi fallito. Orlando ha preferito così risparmiare 5.2 milioni di dollari in vista dei futuri rinnovi di Payton e Gordon; una cifra che il talento croato, mai completamente ambientato in NBA, dovrà cercare di incassarli da qualche altra parte, provando a mandare qualche segnale incoraggiante sul parquet in questa stagione.
Looney, scelta dolorosa in casa Warriors
Pachulia, West, McGee, Bell. Più lo small ball che all’occorrenza porta Green a giocare sotto canestro. La strada per ritagliarsi un po’ di spazio (e minuti) sul parquet si è fatta sempre più stretta per Kevon Looney, che il suo momento di gloria se l’è già preso in queste prime due settimane. Nella sfida contro Washington infatti, la 30^ scelta del Draft 2015 ha segnato sette punti decisivi a inizio quarto periodo (in campo vista l’essenza di Green, espulso dopo il corpo a corpo con Beal), cruciali nella rimonta dei padroni di casa. Poche ore dopo quella che secondo molti è stata la sua miglior partita in maglia Warriors è però arrivata la conferma: i campioni NBA hanno deciso di non utilizzare la team option per prolungare il suo contratto, liberando così il cap dai 2.2 milioni di dollari che gli sarebbero spettati nel 2018-19. Non una scelta tecnica, visto che lo staff degli Warriors ha tenuto a sottolineare come siano soddisfatti della sua crescita, ma una manovra puramente legata a ragioni di spazio salariale. Il milione e mezzo di dollari per confermare per un altro anno Damian Jones invece è venuto fuori (anche lui 30^ scelta, ma del Draft dell’anno dopo); 700 mila dollari di differenza che, considerata la situazione salariale degli Warriors, diventano 3.325 milioni a causa della crescente tassa di lusso. Troppi, nonostante la stima per Kevon Looney.