L’accoglienza da parte del pubblico di casa, la voglia di confronto di Westbrook anche a partita conclusa e il siparietto in panchina tra Durant e Curry sull’assist mancato: tutte le storie a contorno della sfida tra Thunder e Warriors
“Gioco sempre al massimo, a prescindere dall’avversario”. Nessuno nell’intera NBA può attestarsi in maniera credibile la paternità di questa frase meglio di Russell Westbrook, una dinamo d’energia inesauribile in qualsiasi situazione. Negare però che il secondo ritorno in carriera da avversario a OKC di Durant fosse una partita diversa dalle altre, vuol dire non rendere merito a una gara dal sapore ben diverso rispetto alla normale sfida di regular season. E dire che quest’anno l’atmosfera a Oklahoma City era stata ben diversa rispetto alla cappa di odio che aveva travolto KD lo scorso anno. Già dall’arrivo in città la situazione è stata profondamente diversa (l’ultima volta c’era la polizia a sorvegliare il corridoio e la porta del suo hotel), con il numero 35 che si è fermato a lungo a firmare autografi e salutare i tanti tifosi accorsi. Scena replicata anche nel pre-partita, in cui i fischi sono stati molto più contenuti e hanno permesso a Durant di scambiare anche quattro chiacchiere con Nick Collison, rompendo quella sorta di cortina che nei precedenti incontri sembrava impedire ogni tipo di contatto con i suoi ex compagni di squadra. “La situazione mi è sembrata molto più civile rispetto al passato”, ha sottolineato Steve Kerr. “Nulla in confronto a qualche mese fa”, ha aggiunto Durant, consapevole del fatto che le cose sono cambiate anche sul parquet. Nella testa di Westbrook però, il bersaglio è rimasto sempre lo stesso, come dimostrato da quanto accaduto a metà quarto periodo. Di ritorno in campo dal timeout, con la partita ormai ampliamente in mano ai padroni di casa, Steve Kerr aveva già richiamato in panchina i titolari, senza riproporli sul parquet neanche dopo la pausa. Westbrook a quel punto si ferma a centrocampo, guardandosi attorno e poi puntando verso la panchina di Golden State. Passa in rassegna tutti e guarda poi KD, chiedendogli perché non sia ritornato in campo. Il numero 35, in risposta, fa la faccia pensierosa e indica il tabellone: “Pensaci no”, sembra voler dire. La gara è ormai andata, si pensa alla prossima. Non il modo in cui ragiona il numero 0.
Durant: “Ci hanno preso a calci nel c***”
“È un giocatore molto competitivo, così come lo sono io. Entrambi amiamo sfidarci ed è soltanto parte del gioco. Lo rispetto molto, non provo altro che affetto per lui”. La prima sconfitta contro i Thunder brucia, inutile negarlo, ma Durant sembra voler contestualizzare la sconfitta a livello tecnico. “L’attenzione deve essere rivolta a quanto successo in campo: noi abbiamo perso, ci hanno preso a calci nel sedere, giocando una gran partita. Bisogna dar credito a loro, al modo in cui hanno interpretato la sfida. Non è un problema di testa a testa o di tensione; queste cose non contano. Non credeteci. Lo dico a tutti i tifosi: è una bugia credere che sia stata colpa della tensione. È una questione di campo: loro hanno giocato bene e noi no”. Di certo i Thunder ci hanno messo molta più energia, motivati anche dalle parole che in estate sottolineavano come i vari Curry, Green e Thompson pensavano che Westbrook non sarebbe mai stato un problema per loro. Frasi rivolte evidentemente a Durant, funzionali all’idea di gruppo, ma che non hanno fatto altro che soffiare sul fuoro che incendia la rabbia e l’ambizione del numero 0: “Non mi interessa chi ci sia dall’altra parte: su un campo da basket, non ho amici nell’altra metà campo. L’unico compagno che ho è la palla a spicchi, oltre ovviamente ai ragazzi al mio fianco. Entro in campo e mi batto al massimo, scendo sul parquet e gioco al massimo livello possibile. Lo ripeto dal primo giorno nella Lega e lo sto facendo in ogni match”.
Il tweet di Kanter e la tripla doppia mancata
Potevano mai finire qui le polemiche? Certo che no. A fine partita, dopo il suono della sirena, Enes Kanter, impegnato poche decine di minuti prima nella sfida vinta dai suoi Knicks contro i Raptors, non ha perso tempo nel postare via Twitter le sue congratulazioni. Il lungo turco lo scorso anno era stato tra i giocatori più “bellicosi” nei confronti di Durant e, nel giorno del suo passaggio a New York nella trade che ha coinvolto Carmelo Anthony, rivolse un pensiero proprio alla sfida agli Warriors: “Batteteli per me”. Un frase ripresa e rilanciata dopo il successo dei Thunder: “Sono orgoglioso di voi ragazzi!”. Gli Warriors invece si sono presi la (parziale) rivincita nel finale di gara, quando a due minuti dal termine Durant e Curry erano seduti da un bel po’ in panchina, mentre Westbrook scorrazzava ancora sul parquet a caccia del decimo assist che avrebbe significato tripla doppia. La penetrazione con scarico per Collison (riportata nel video del tweet in basso) sembrava l’occasione buona per portare a buon fine la missione. L’esperto lungo dei Thunder però ha preferito scaricare in angolo per George senza guardare neanche il canestro, rendendo vano il possibile assist di Westbrook. Da notare nelle immagini ci sono due particolari: il primo è lo stesso Westbrook, che sbraccia non appena il compagno passa nuovamente il pallone, infastidito per la mancata occasione; l’altra invece è la reazione di Curry e Durant in panchina, che scalciano e iniziano a ridere non appena la possibilità di tripla doppia si perde per strada. Sì, non era una partita come tutte le altre, con buona pace della point guard dei Thunder.