Dopo 1299 partite giocate in carriera in NBA, il numero 23 dei Cavaliers è stato espulso per la prima volta: “Non fischiano mai fallo sulle mie penetrazioni, sembra quasi vogliano farmi diventare un tiratore dalla distanza”
C’è sempre una prima volta. E così, LeBron James e Dwyane Wade si sono ritrovati insieme a sfidare il loro passato con indosso la maglia dei Cavs; avversari contro quella Miami con cui hanno conquistato il trono del mondo per due volte uno di fianco all’altro. Una serata che passerà alla storia però soprattutto per un’altra prima volta: la prima espulsione in NBA comminata a James, arrivata dopo 1082 partite giocate in regular season e 1299 totali (comprendendo anche i playoff, oltre 51.000 minuti sul parquet). Con Cleveland avanti di 23 nel terzo quarto (e un James da 21 punti, ma con solo un tiro libero tentato, a detta sua a causa delle mancate segnalazioni), gli arbitri non hanno fischiato fallo in suo favore per l’ennesima volta al termine di una penetrazione. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che lo ha portato a un duro faccia a faccia con Kane Fitzgerald, uno scontro che di solito si risolve con un fallo tecnico. Non questa volta, però. “L’espulsione è stata il risultato di una somma di azioni: immediatamente dopo la mancata chiamata, James si è rivolto verso di me muovendo in aria il pugno e poi affrontandomi in maniera molto aggressiva, condendo il tutto con frasi molto volgari giunte alle mie orecchie più volte”. Questa la spiegazione data dall’arbitro a fine partita ai giornalisti; una decisione a suo modo storica. “In quella particolare situazione di gioco, ho iniziato a subire fallo da quando Johnson si è allacciato a me, ancor prima che tentassi di arrivare al ferro – si giustifica James -. A quel punto ho detto tutto quello che andava detto, ma l’arbitro Fitzgerard ha ritenuto opportuno punire quella protesta con un’espulsione. E questo è quanto. L’importante è aver portato a casa il successo, tutto il resto lascia il tempo che trova”. Poi, però, amareggiato aggiunge: “Sono uno dei leader della Lega per punti segnati nel pitturato, mi butto dentro più di qualsiasi altro giocatore. A questo punto sembra quasi che vogliano costringermi a diventare uno di quelli che tira soltanto da fuori. Io non posso essere quel tipo di giocatore, non lo sono mai stato. Guardo le partite letteralmente ogni sera e vedo tanti tiratori che vanno diverse volte in lunetta, almeno dieci volte ogni gara. Io che non sono quel tipo di attaccante, ma uno di quelli che si butta dentro spesso e volentieri, mi ritrovo ad andare in lunetta una, tre, massimo quattro volte”.
Le parole di Wade e la provocazione di Kanter
La prima espulsione ricevuta “da quando giocavo a basket da piccolino ad Akron” (per sua stessa ammissione), è come se facesse da spartiacque a questi ultimi 14 anni. Dal 2003 è passato davvero tanto tempo: Gregg Popovich nello stesso periodo è riuscito nella non invidiabile impresa di subire 18 espulsioni, ad esempio; le stesse ricevute da coach Carlisle. A guidare la classifica dei giocatori dal 2003 a oggi invece sono Matt Barnes e DeMarcus Cousins (che nella Lega ci è arrivato un bel po’ dopo), entrambi a quota 13 (ma il giocatore dei Pelicans ha ancora tempo per conquistare la vetta solitaria), seguiti dalle 12 di Carmelo Anthony. “Non avevo mai visto una sua espulsione, ma di certo non era la prima volta che lo vedevo così furioso. Secondo me è stata una scelta affrettata: un giocatore come lui è uno che ha meritato il beneficio del dubbio dopo tutti questi anni. Ha detto qualcosa di sbagliato, ma bastava semplicemente dargli un tecnico e allontanarsi, lasciando che si calmasse un attimo. Comunque, in quindici anni di carriera una sola espulsione: direi che è lo stesso un discreto successo”, commenta Dwyane Wade nel post-partita, mentre a non perdere occasione per twittare l’ennesima provocazione è Enes Kanter, già protagonista nelle scorse settimane di diversi faccia a faccia proprio con il numero 23.”Il re di Cleveland”, commenta il lungo dei Knicks via Twitter, cerchiando nella foto l'arbitro Fitzgerald e facendo chiaro riferimento all’auto-proclamazione fatta da James dopo il successo conquistato al Madison Square Garden (in quel caso si definì "Re di New York"). Il tutto corredato dall’hashtag “StriveForGreatness”, il marchio di fabbrica del numero 23 sui social network. A leggere una cosa del genere, viene spontaneo chiedersi: i Cavs hanno vinto (e non sembrano destinati a confrontarsi con i Knicks nella lotta al vertice della Eastern Conference); James è stato spedito in anticipo negli spogliatoi, ma dalla prossima sarà regolarmente sul parquet; i vice-campioni NBA hanno ritrovato ritmo e soprattutto vittorie. Allora, per quale motivo provocare il giocatore più forte al mondo e renderlo ancora più furioso?