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NBA, L.A.-Washington su skysport.it: tutti i motivi per guardare i Clippers

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A Los Angeles è arrivato il momento delle domande: è solo colpa degli infortuni un avvio di stagione così sotto tono? Cosa non funziona nel gioco dei primi Clippers dell'era post-Chris Paul e tutte le voci su Doc Rivers e DeAndre Jordan

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La maledizione dei Clippers. Facile richiamarla alla memoria ora, quando il ginocchio di Patrick Beverley ha già messo fine alla sua stagione, quando la lesione al legamento del ginocchio sinistro di Blake Griffin lo terrà fuori fino a fine gennaio, quando Danilo Gallinari è appena rientrato in campo dopo un mese di stop e quando Milos Teodosic è atteso al rientro dopo aver giocato solo due partite in tutto l’anno. Facile tornare a pensare che sia scontato che vada così, perché i Clippers sono i Clippers e la storia insegna che se le cose possono andar male, succederà. Ma non è vero. Almeno non negli ultimi cinque anni, quando la L.A. storicamente minore ha collezionato una media di 54 vittorie stagionali, seconda in questo intervallo di tempo solo a Golden State e San Antonio, con due titoli della Pacific Division e tre secondi posti (dietro ovviamente solo agli Warriors). Una crescita coincisa con l’arrivo in città di Chris Paul (giunto in California all’inizio del campionato 2011-12), lo stesso Paul che proprio in estate ha detto addio, aprendo di fatto un’altra epoca nella storia dei Clippers. Con la squadra affidata ai veterani rimasti, Blake Griffin e DeAndre Jordan, e a quelli nuovi chiamati a dar man forte, Danilo Gallinari e Patrick Beverley su tutti. Con l’eccezione del centro n°6, però, gli altri nomi li avete già letti sopra, nella lunga lista di infortunati proveniente dall’infermeria rosso-blu, con le conseguenze del caso. La prima? Il record di squadra, che dopo 23 partite dice 8-15, ancora più negativo contando la partenza lanciata (4-0) che aveva fatto illudere più di un tifoso. Illusioni a parte, la mini-striscia iniziale è specchio anche di un altro aspetto della stagione della squadra di Doc Rivers fino a questo momento, ovvero l’andamento schizofrenico dei Clippers, che a quelle prime 4 vittorie hanno fatto seguire poi una striscia di 9 sconfitte, un’altra di 3 successi e poi ancora 4 ko consecutivi – quelli con cui si presentano alla sfida di sabato contro Washington. 

Il futuro dei Clippers, in campo e fuori

Una sfida che sarà seguita da un’altra gara interna, contro Toronto, prima che i Clippers chiudano l’anno con 7 delle loro successive 10 partite in trasferta, facendo visita a Washington e Miami a Est ma dovendo anche andare a giocare su campi difficili come quelli di Houston e San Antonio. Danilo Gallinari è tornato (ma ovviamente, come dimostrato nella gara contro Minnesota, deve ancora ritrovare il ritmo di gioco) e presto dovrebbe essere arruolabile anche Teodosic (“una-due partite ancora e poi dovrebbe rientrare”, le parole di Rivers prima della sfida contro i Timberwolves confermate dallo stesso giocatore su Twitter, con le parole “Tornerò presto”) ma il rischio è che il calendario da qui all’inizio del 2018 possa addirittura peggiorare il bilancio della squadra di coach Rivers, il cui nome – insieme a quello di DeAndre Jordan – è finito al centro di parecchie voci riguardanti il proprio futuro. Se sul lungo deli Clippers si rincorrono ormai da settimane ipotesi di possibili scambi (con Cleveland e Milwaukee che appaiono in pole position), alcune fonti vicine alla squadra losangelina sono pronte a giurare che il vulcanico proprietario Steve Ballmer (lo stesso che a Rivers aveva concesso un’estensione contrattuale da 5 anni per 50 milioni di dollari complessivi nel 2014) stia valutando da vicino l’operato del suo allenatore. Già in estate era arrivata la decisione di sgravare Rivers dai compiti di management, lasciandolo responsabile unicamente dell’aspetto tecnico di gestione della squadra, ma il campionato finora condotto al di sotto delle aspettative sembra stia gettando pericolosi dubbi sul suo operato nella testa di Ballmer stesso. L’ex allenatore dell’anno NBA a Orlando, poi campione NBA sulla panchina di Boston, potrebbe non essere il primo responsabile, e pagare soltanto la sfortuna che si è accanita su alcuni membri chiave del suo roster, ma è evidente – mai come nella recente sconfitta contro i Jazz – come l’allenatore dei Clippers stia accusando una dose sempre maggiore di pressione sulle proprie spalle. Ritrovatosi senza 4/5 del suo quintetto base contro Utah, Rivers ha perso le staffe con un tifoso di L.A. dopo aver visto i suoi collassare 52-26 nell’ultlimo quarto e mezzo di gara, finendo per perdere di 19 la sfida. “Ho sbagliato io – le parole di Rivers a commento dell’episodio – perché sono un professionista e come tale mi devo comportare, mentre i tifosi questa responsabilità non ce l’hanno. Mi sono scusato personalmente con lui, ci siamo chiariti. Sono coinvolto emotivamente in ogni partita, ci metto tutto me stesso: sono fatto così”, ha provato a giustificarsi l’allenatore di L.A., ma vien da pensare che il suo perdere le staffe proprio in questo delicato momento stagionale non sia certo casuale. 

È solo colpa degli infortuni?

Rivers potrebbe indicare un dato statistico a sua difesa: dei 39 quintetti in campo più di 100 minuti nella NBA, quello formato da Beverley-Rivers-Gallinari-Griffin-Jordan è al dodicesimo in tutta la lega per net rating (+8-3 nelle otto gare in cui si sono ritrovati sul parquet assieme). Facile dire: “Se potessi giocare con la squadra al completo…”. Ma c’è ovviamente di più: difensivamente ad esempio – se sicuramente l’assenza di Beverley si fa sentire – il rendimento dei Clippers finora è inescusabile: solo Chicago, Sacramento e Phoenix fanno peggio come efficienza difensiva, visto che L.A. concede 108.5 punti per 100 possessi agli avversari. L’assenza di Chris Paul, poi, uno dei migliori passatori della lega, ha fatto scivolare i Clippers verso le ultime posizioni nella percentuale di assist di squadra (terzultimi nella lega, solo il 53.4% dei canestri di L.A. è assistito, sono invece 7 su 10 a casa Warriors), una statistica che li ha visti a lungo nella top 5 di media con CP3 in regia. Senza Paul – e i suoi continui isolamenti, a volte controproducenti – dai proclami prestagionali i Clippers sembravano destinati a giocare molto più in velocità, di flusso. Il ritmo della squadra è invece sostanzialmente identico a quello dello scorso anno (98.78 possessi a gara, diciottesimi nella NBA, contro i 98.22 dello scorso anno) e solo quattro squadre ricorrono con più frequenza a giocate in isolamento (il 9% del repertorio offensivo dei Clippers), giocate che gioco forza tendono a fermare il gioco. Un gioco che oggi, anche all’occhio superficiale del tifoso, rende L.A. una squadra non certo tra le più spettacolari da vedere, ancora alla ricerca di una filosofia e di un’identità di gioco la cui costruzione è stata sicuramente ritardata dalla lunga lista di infortuni che ha colpito i giocatori agli ordini di coach Rivers ma che ora, prima che sia troppo tardi, i Clippers devono trovare al più presto. A partire dalla gara di sabato contro Washington.