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NBA, Building Bogdan: la costruzione di Bogdan Bogdanovic

NBA

Michele Pettene

Bogdan Bogdanovic e il Rudo Building di Belgrado in trasparenza (foto Getty, artwork by Luca Trovati)
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La costruzione della guardia dei Sacramento Kings come massima espressione del Brutalismo serbo

“A ogni equazione, a ogni formula, corrispondono nel mondo delle superfici una curva o un corpo”.
[“NOI”, E. Zamjatin]

Definizioni.

brutalismo s. m. - Da “béton brut”, come l’architetto Le Corbusier definiva il cemento grezzo. Movimento architettonico formatosi negli anni ’50 del Novecento, come risposta formale alla crisi dei metodi del razionalismo; rivaluta le esigenze funzionali, predilige alcuni tipi di materiali rustici ed esibisce volutamente gli elementi tecnici e strutturali della costruzione.
[Treccani]

realismo socialista s. m. - Nelle Belle Arti è l'indirizzo artistico sostenuto e imposto dal regime comunista in Russia a partire dagli anni ‘30, basato sulla rappresentazione oggettiva delle realizzazioni concrete delle lotte del proletariato mondiale e delle conquiste del socialismo.
[dizionario Hoepli]

Bogdan Bogdanovic - 25 anni, il miglior giocatore serbo in attività, definito dal suo attuale General Manager Vlade Divac l’erede delle grandi guardie del passato e di Sasha Danilovic. Le sue caratteristiche fisiche, tecniche e mentali sono il risultato della stessa cultura - quella slava, e nello specifico di Belgrado - che hanno dato vita agli edifici di natura brutalista visibili in tutta la regione balcanica, capitale serba compresa.

Nei prossimi paragrafi, attraverso questa connessione inscindibile, pura, naturale e artistica abbiamo ricostruito l’edificio-Bogdan. Seguiteci.

Fondamenta. Forme elementari.

“La loro architettura si presenta maestosa e di grandi proporzioni che, accostata a forme semplici, genera una monumentalità quasi schiacciante, capace di stupire chiunque".
[tratto da "ArchiMinimal"]

Il Rudo Building, nome tipico di un edificio da letteratura distopica, venne completato a Belgrado nel 1976, mescolando le filosofie dell’architettura brutalista e del realismo socialista, entrambe figlie dell’influenza sovietica sull’allora Jugoslavia unita. Imponente, minimale e priva di fronzoli, la costruzione venne fatta sorgere su una piazza rotonda, divisa in tre edifici completamente uguali e perfettamente equidistanti tra loro. Da qualsiasi prospettiva li si guardasse, l’uno sembrava sempre in mezzo agli altri due.

Proprio a pochi passi dalla cosiddetta “Porta dell’Est Belgrado”, nel 1992 - uno dei più infausti anni della storia balcanica - è nato Bogdan Bogdanovic, attuale guardia serba dei Sacramento Kings. La municipalità belgradese dove entrambi hanno visto la luce - Zvezdara, area confinante con la “Vecchia Belgrado” a sud del Danubio - ospita ancora la scuola dove Bogdan ha stracciato le prime retine, la "Pavle Savic": dicono che la meccanica di tiro fosse la stessa di oggi.

Artwork by Luca Trovati
Artwork by Luca Trovati

La composizione architettonica del Rudo Building rispetta fedelmente i canoni di una corrente artistica e di un’ideologia che solo nell’Europa Orientale tra i ‘60 e i ‘70 potevano pensare di fondersi con successo in un’unica essenza. Il grigio del cemento armato, le linee austere, le simmetrie assolute vennero messe al servizio della poetica socialista rigettando gli stili del passato, privando quei nuovi edifici della futile identità individuale a favore della massa, proletaria e rivoluzionaria. Un’esigenza che era nata nel post-Seconda Guerra Mondiale, assecondando il profondo malessere di un’Europa che si stava ricostruendo dalle macerie: il cemento era la materia più a buon mercato per dare il via alla rapida transizione di un’intera generazione dalle trincee a un nuovo e schematico tessuto urbano.

“I Blocchi”, quartiere di Belgrado (foto di O-Young Kwon | oyphoto.com)

Bogdanovic nasce il 18 agosto 1992 in un contesto similare: la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia si è disgregata da soli quattro mesi e sta per affrontare la guerra civile più sanguinosa della sua storia. La sua freddezza in campo, il controllo totale del proprio corpo e i suoi canestri vincenti sono il risultato dell’aver vissuto quel periodo in prima persona: la “pressione”, per Bogdan e migliaia di altri ragazzini, non è e non sarà mai un concetto legato allo sport.

Non è retorica, ma fatto oggettivo: a 25 anni l’impressionante numero di canestri decisivi già messi a segno al massimo livello sono la dimostrazione che mentalità, attributi e soprattutto sangue freddo sono fattori ben affermati nel DNA di Bogdanovic, così come fredde e implacabili sono le grigie facciate brutaliste. In NBA se ne sono accorti di recente: non solo Draymond Green e i Golden State Warriors, ma anche i Kings stessi sembravano stupiti che un rookie, seppur il più pagato di sempre, potesse prendersi con tanta fiducia - e segnare - il tiro vincente in isolamento contro uno dei migliori difensori della Lega.

Estetica. Solidi. Frattali.

Il Rudo Building e Bogdan Bogdanovic sono fatti della stessa materia: le stesse linee geometriche, la stessa Scuola. Gli edifici brutalisti sono costruiti come dei frattali, ovvero su un solido geometrico poi proiettato su scale minori proporzionali verso i livelli più alti; nel caso del Rudo, è un insieme di parallelepipedi sempre più piccoli man mano che si sale di altezza. Un’evoluzione immaginaria verso l’infinitesimo, verso la perfezione.

Similmente, l’applicazione spasmodica e ossessiva sin da giovane età - come raccontano i suoi ex compagni di squadra - ha forgiato "Boki" (o “Boggie” come lo stanno chiamando in USA) nell’unica direzione autorizzata da contesto e “architetti”, rendendolo una specie di frattale umano. Fisicamente e atleticamente quindi tendendo verso l’equilibrio più puro, solido e simmetrico, scolpendo le spalle in cilindri levigati, aprendo il petto in un forte trapezio, rinvigorendo bicipiti e quadricipiti. Se Bogdan riesce ad avere “size” adeguata per il ruolo anche in NBA, seppur non straripante come in Europa, è per lo sviluppo dei segmenti della parte superiore, della schiena dritta e i piedi sincronizzati in difesa, della corsa mai scomposta o esagerata, del baricentro sempre centrato. Persino il volto è un quasi perfetto rettangolo.

Artwork by Luca Trovati
Artwork by Luca Trovati

Ogni anno, ogni stagione, Bogdan ha lavorato sul suo chassis perfezionando le figure euclidee di base esistenti; migliorando il solido geometrico originale, il suo talento grezzo. A 15 anni passa dalla squadra del quartiere al KK Žitko Basket, mentre a 18 è già nella prima squadra del leggendario Partizan Belgrado - lo stesso percorso di molti dei più grandi serbi di sempre. A 20 anni esordisce in Eurolega, segnando 4 punti. La partita seguente è in quintetto: ne mette 16, vittima il Cska Mosca di Messina. A 21 anni - quindi a metà 2014 - ha già vinto il premio di Rising Star dell’Eurolega, l’MVP delle finali della Lega Serba, segnato il suo massimo in carriera europeo - 27 punti sempre al Cska Mosca - ed è stato selezionato al Draft NBA dai Phoenix Suns (27^ scelta assoluta).

Per il brutalismo e il realismo socialista tutti questi numeri, tutta questa geometria, tutta questa matematica erano l’estremo e solenne apice dell’approccio razionale, volto ad eliminare qualsiasi tipo di spreco. Razionalizzando le energie, i tempi, gli spazi (abitativi) verso una democrazia urbana e impersonale, unificatrice. Una caratteristica estetica talmente peculiare degli edifici del Novecento di Belgrado da nominare un intero quartiere “Blokovi”, ovvero “Blocchi”.

La stessa cultura che ha disciplinato Bogdan attraverso l’etica del lavoro individuale, programmandone l’ascesa nel basket mondiale secondo un progetto da seguire pedissequamente: “Durante l’allenamento di tiro devo essere concentrato sul momento presente per tutta la durata. Ad esempio, il lavoro sui piedi è vitale per l’equilibrio: ai tempi del Partizan pranzavo e pure dormivo in palestra, tirando almeno mille volte per ogni sessione. Nessuno è un robot e il mio cervello tende ad annoiarsi” ha detto lui stesso in un’intervista a un sito serbo, esplicitando la sua ambizione di avvicinarsi sempre più ad un automa, per i movimenti meccanici della sua pallacanestro.

Un approccio che tecnicamente l’ha spinto verso il pragmatismo, la compattezza, la fluidità, la lettura schietta e impietosa di qualsiasi svista avversaria. “Maggior efficienza” è diventato il mantra di Bogdan: osservate il gomito destro così dentro all’invisibile cilindro durante il tiro, inscalfibile a qualsiasi evento esterno, come la mano di un difensore a un centimetro dal volto; il palleggio, mai uno di troppo, dritto verso l’obiettivo usando i quattro punti cardinali; il controllo assoluto dei propri gesti; la rarità dei suoi salti, nonostante sia un buon atleta. Ridurre al minimo il margine d’errore su un campo da basket è la ragione che già oggi consente a Boki di avere palla in mano ai Kings da playmaker aggiunto, innalzando il suo status da quello di mero tiratore sugli scarichi, rendendosi sempre più fondamentale.

Forse, a conoscere tutta l’evoluzione del giocatore, negli Stati Uniti si sarebbero stupiti di meno nel vedere assist come quello tanto celebrato al lungo Willie Caulie-Stein: dimenticano che quelle parabole, quelle traiettorie, Bogdan le aveva da tempo disegnate nel suo AutoCAD mentale, con compagni costantemente “sopra al ferro” come Jan Vesely e Ekpe Udoh al Fenerbahce Istanbul. Letture che però all’interno del suo computer cestistico somigliavano più a freddi calcoli - eseguiti in millesimi di secondo - per raggiungere l’obiettivo-canestro nel migliore e più sicuro dei modi. Ancora una volta un’efficienza di cui gli stessi ingegneri di Stalin sarebbero stati orgogliosi.

Architetti. Fiducia.

Le basi del Bogdan Building - e l’impatto più traumatico con un “architetto” - coincidono prima con l’arrivo al Partizan Belgrado e poi con coach Duško Vujošević. La prima esperienza da adulto e da professionista dura quattro anni, con un maestro che spesso supera le barriere educative con i suoi allievi più giovani, a maggior ragione con un ragazzo dall’immenso potenziale come Bogdanovic. Tutto giustificato però dal retaggio culturale di una disciplina militaresca che coach Vujošević precisava essere “ereditata dalla cara vecchia scuola pedagogica Prussiana”.

Vujošević ha il merito di sviluppare le fondamenta con coraggio buttando presto Bogdan nella mischia, regalandogli minuti importanti in prima squadra a 18 anni e affidandogli le chiavi di una squadra di Eurolega nel suo ultimo anno al Partizan, il 2013-14. Soprattutto, gli consente di sbagliare tanto, spingendolo oltre i suoi limiti: “Vujosevic continuava a ripetermi che per avere un tiro sempre uguale dovevo fare almeno 5.000-6.000 ripetizioni al giorno” ricorda divertito oggi Bogdan. Ma solo così il Bogdan Building può crescere verticale e, a 22 anni, l’appalto di uno dei progetti europei più ambiti è rilevato dal ricco Fenerbahce Istanbul di Zelimir Obradovic.

Mago Zelimiro, come da straordinaria consuetudine, prende in consegna i lavori altrui e li eleva, portandoli “dal liceo all’università”: da subito è chiaro che vuole rendere Bogdan un leader, ma l’imperativo è limare tutti gli inevitabili difetti strutturali. Con grande pazienza e abnegazione, facendo leva sul suo carisma leggendario e alternando il famigerato bastone alla (rara) carota, migliorano il trattamento di palla con la mano sinistra (cruciale per tirare con efficacia dal palleggio), l’uso del corpo e del post basso, la gestione delle forzature per ridurre le palle perse, le letture in penetrazione.

Bogdanovic - già letale sugli scarichi - diventa un top player anche con la palla in mano, gestendo i pick and roll e aumentando la qualità del suo decision making in una squadra - campione d’Europa in carica - che gli permette di esporsi in tutta la sua magnificenza. L’illuminato pragmatismo di Obradovic si riflette sulla titanica costruzione di Bogdan, dando vita a un vero e proprio monumento cestistico.

Contestualmente con la Nazionale serba coach Sasha Djordjevic, il terzo “architetto” del Bogdan Building, contando sul rispetto incondizionato di Bogdanovic lavora sullo scheletro di metallo, vale a dire sul suo lato emotivo e mentale, assegnandogli gradualmente un ruolo sempre più nevralgico e preparandolo al passaggio di consegne della generazione dei Milos Teodosic. L’apoteosi arriva all’ultimo EuroBasket, dove Bogdanovic è il factotum dei serbi con prestazioni monumentali, da giocatore completo in tutti gli aspetti del gioco, leader positivo in campo e unico riferimento nei finali di partita.

Un’impalcatura che viene tolta definitivamente il 21 maggio 2017, con il sollevamento dell’Eurolega vinta in casa ad Istanbul con un gruppo che si era promesso - dopo la sconfitta alle Final 4 di Berlino 2016 contro il Cska - di tornare la stagione successiva per completare la missione; e poi al termine dell’Europeo 2017, che consegna ai Sacramento Kings probabilmente il giocatore più consapevole e maturo dell’intero roster 2017-18.

Impatto ambientale.

Ora, dopo il contratto triennale da 36 milioni di dollari firmato con la squadra che al Draft 2016 aveva rilevato i suoi diritti dai Suns, Bogdan Bogdanovic sta giocando 24 minuti di media, spaziando dall’ala piccola al playmaker e adattandosi rapidamente a un sistema diverso, giovane, inesperto, zeppo di guardie talentuose e a un architetto per la prima volta non della sua stessa nazionalità - coach Dave Joerger - con cui dovrà trovare un terreno comune su cui ristabilizzare i propri pilastri.

I primi risultati sono sembrati incoraggianti, ma Bogdan sta vivendo un momento contraddittorio rispetto a tutto il suo passato, a partire dall’ossessiva ricerca dell’efficienza. Era dal primo anno col Partizan che non tirava così male da dietro l’arco (32.5%), ma da quando parte titolare la percentuale è schizzata al 40%, un dato eccellente come il 64% vicino al ferro. Dall’altro lato della medaglia, uscendo dalla panchina giocava di più passandola meglio, in una squadra penultima per rating offensivo e dalle rotazioni instabili. In difesa invece ha già mostrato di poter reggere l’impatto fisico, usando reattività e intelligenza per recuperare 2.3 palloni per 100 possessi - il secondo dato più alto dei Kings (e primo in deviazioni) - in contrasto con il pessimo rating difensivo di 108.7, figlio però di una squadra ancora acerba e dal record estremamente perdente (9-18).

In definitiva a 25 anni Bogdanovic - nonostante i videoclip con i rapper serbi e le maratone di World of Warcraft - è già un veterano in fase di ristrutturazione, in piena espansione verso nuovi spazi. Considerato che è ancora solo all’inizio dell’esperienza negli USA e visti i numeri odierni così lontani da quelli europei, i margini per crescere sono sensibili e la vetta solo immaginabile. Solo tra un decennio, quando il Bogdan Building sarà pressoché ultimato, potremo finalmente ammirarlo in tutta la sua possenza - notandone gli aggiustamenti, le vittorie eccellenti, le nuove geometrie nel tentativo di diventare la guardia serba più efficiente e completa di sempre in NBA.

O semplicemente la massima espressione vivente del Brutalismo slavo.