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NBA, perché i Clippers hanno deciso di cedere Blake Griffin (e potrebbe non essere finita qui)

NBA

Dario Vismara

Lo scambio che ha portato Blake Griffin a Detroit ha preso di sorpresa tutti, ma il ragionamento degli L.A. Clippers è molto più complesso di quanto appare. E nelle valutazioni del GM Jerry West ora rientrano anche DeAndre Jordan, Lou Williams e Doc Rivers...

Quando accade uno scambio in NBA, bisogna resistere alla tentazione di valutarlo prendendo in considerazione solo i giocatori o gli asset che sono coinvolti. In una lega estremamente complessa e ramificata come è la NBA, ogni movimento di mercato si inserisce in un sistema più grande, e le motivazioni per cui si prendono certe decisioni possono andare al di là del semplice discorso tecnico-tattico. Se questa mattina alzandovi vi siete detti ‘Beh, per Blake Griffin i Clippers potevano ricevere di più di quello che hanno ricevuto’ (per la cronaca: Tobias Harris, Avery Bradley, Boban Marjanovic, una scelta protetta-4 di questo Draft e una di secondo giro del prossimo), potreste anche avere ragione, ma bisogna anche considerare molti altri fattori oltre a quelli del campo. Blake Griffin è senza ombra di dubbio il giocatore più forte a essere stato inserito nello scambio con i Detroit Pistons, nonché un cinque volte All-Star che compirà solo 29 anni il prossimo 16 marzo, ma si porta anche appresso un contrattone da 171 milioni di dollari per cinque stagioni firmato nella scorsa estate e una storia clinica di infortuni tanto lunga quando preoccupante. Questi due nodi non possono essere sottovalutati nella valutazione complessiva di quanto deciso dagli L.A. Clippers: Griffin guadagnerà quasi 30 milioni quest’anno, oltre 32 nella prossima stagione, 34.4 in quella dopo, quasi 37 nella successiva e infine 39 milioni di dollari nel 2021-22 (con opzione a suo favore), di fatto occupando buona parte dello spazio salariale a disposizione. Nelle ultime quattro stagioni, poi, non ha mai giocato più di 67 partite, oltre ad avere alle spalle più di un’operazione ad entrambe le ginocchia e una lunga serie di piccoli e grandi infortuni “fortuiti” – non ultima la rottura della mano tirando un pugno a un magazziniere… – che però, messi in fila, lo rendono inevitabilmente un giocatore estremamente incline a farsi male.

Un giocatore difficile da inquadrare (e da scambiare)

Oltre a questo, Griffin è anche un giocatore difficile da inquadrare nella NBA moderna: ovviamente non è più il portento di atletismo dei primi anni, e nella seconda parte di carriera è diventato un giocatore completo dal punto di vista offensivo abbinando alla prolificità individuale (specialmente in post basso e in area) anche doti di palleggio e di playmaking di altissimo livello. Da questa stagione, poi, ha anche cominciato a tirare regolarmente da tre, tentando 5.7 triple a partita e realizzandole con percentuali appena inferiori alla media NBA (34.2%), aggiungendo un’ulteriore arma al suo sterminato arsenale offensivo. Resta però un lungo che può giocare esclusivamente da “4” (non avendo le capacità fisiche per poter proteggere il ferro, complice un’apertura di braccia sotto media) e, nonostante i miglioramenti al tiro, sembra comunque più a suo agio quando può giocare in avvicinamento a canestro piuttosto che allontanandosi dallo stesso (la percentuale effettiva al tiro del 49.7%, il suo minimo in carriera), oltre ad avere bisogno del pallone tra le mani per poter rendere al massimo. Per questo, quando i Clippers hanno lo hanno messo sul mercato (anche tentando una patetica chiamata ai Minnesota Timberwolves per avere Karl-Anthony Towns…), non hanno trovato chissà quali offerte straordinarie per lui – e considerando quanto detto prima in termini di invecchiamento e degrado fisico, non erano destinati a riceverne di migliori nei prossimi anni. Se si fosse infortunato gravemente un’altra volta, chi avrebbe offerto per lui più di quanto dato dai Pistons oggi?

E non è finita qui: addio DeAndre Jordan e Lou Williams?

Ovviamente non si scambia un giocatore come Blake Griffin “tanto per farlo”, ma si inserisce in un discorso più ampio: se l’era “Lob City” è morta con l’addio di Chris Paul, ora è definitivamente defunta con la rinuncia al giocatore più determinante della storia della franchigia. E anche se i report dei giornalisti dicono che i Clippers non intendono ricostruire del tutto ma solo “ricominciare da capo”, è inevitabile che anche altri pezzi pregiati come DeAndre Jordan e Lou Williams possano seguirlo. Di fatto, nessuno dei giocatori attualmente a roster dei Clippers può ritenersi al sicuro, neanche Danilo Gallinari (il cui contratto e le scarse condizioni fisiche di questa stagione lo rendono però meno appetibile sul mercato rispetto al reale valore): lo stesso Avery Bradley, appena ottenuto dai Pistons e proprietario di un contratto in scadenza a fine stagione, potrebbe anche essere girato ad un’altra squadra prima della deadline dell’8 febbraio, sempre che la contropartita in termini di giovani o scelte sia soddisfacente. Queste sono le parole d’ordine di Jerry West, ormai definitivamente a capo della dirigenza: giovani da sviluppare, scelte al Draft con cui migliorare il roster (quella dei Pistons potrebbe anche essere in Lottery, pur essendo protetta top-4) e soprattutto spazio salariale, quello che non avrebbe potuto avere con il contrattone di Griffin e che invece ora può ragionevolmente pensare di ottenere, visto che Harris e Marjanovic “pesano” solamente 22 milioni per la prossima stagione. E se LeBron James sta veramente considerando di trasferirsi a L.A., perché non farsi trovare pronti quantomeno con lo spazio salariale a disposizione per costruirgli attorno una squadra come la vuole lui?

Il controsenso di scambiare Griffin ora

Restano però delle zone grigie in quanto fatto dai Clippers, in particolare perché palesemente in direzione opposta rispetto a quanto fatto quest’estate. Perché cedere Griffin ora dopo avergli dato un contrattone di quel tipo in estate, peraltro lusingandolo e promettendogli di farlo diventare un “Clipper per sempre” rendendosi quasi ridicoli? E che immagine dà una mancanza di rispetto del genere al resto dei free agent da attrarre in estate? Soprattutto: perché investire così tanto su un giocatore come Gallinari (proprietario di un triennale da quasi 65 milioni di dollari) o Milos Teodosic (20 in tre con player option per la prossima stagione) per poi smantellare la squadra qualche mese dopo? Non sarebbe stato più semplice lasciar andare Griffin, scambiare DeAndre Jordan in estate e ricominciare davvero da capo? Quanto fatto ora e quanto fatto in estate sono due scelte filosofiche talmente diverse che non possono essere state fatte dalla stessa persona, a meno di un grave caso di schizofrenia. Per questo prende sempre più quota l’idea che Jerry West abbia definitivamente preso il controllo della dirigenza e della franchigia, come testimoniato dal fatto che da qualche settimana siede a bordocampo vicino alla panchina occupata da Doc Rivers. Una panchina che potrebbe non occupare ancora a lungo, visto che è stato di fatto esautorato dai poteri come leader della dirigenza e il suo tempo a L.A. sembra ormai agli sgoccioli, vista la nuova fase intrapresa dai Clippers (che potrebbero essere interessati a un losangeleno DOC come David Fizdale, lasciato a spasso dai Memphis Grizzlies). “Lob City” è già il passato, ora rimane da chiedersi cosa riserverà il futuro alla franchigia di Steve Ballmer.