Contro Minnesota è arrivato l’ennesimo bersaglio decisivo nella carriera del numero 23 dei Cavaliers. Per Jimmy Butler non una novità: due anni e mezzo fa sempre in faccia all'ex giocatore dei Bulls arrivò un altro canestro decisivo di LeBron James
Alla fine ci pensa quasi sempre LeBron. A Cleveland hanno imparato quanto aggrapparsi alle sue spalle sia una sensazione piacevole e vincente. Con James sai di avere una chance di successo in più rispetto agli altri, che il tuo avversario dovrà tenere conto di una variabile diversa dal solito. Se il numero 23 vuole (qualche volta) può permettersi il lusso di vincere da solo una partita, rendendo individuale uno sport in cui l’essere squadra fa tutta la differenza del mondo. La cocente sconfitta incassata contro Orlando soltanto 24 ore prima era un campanello d’allarme risuonato con forza nello spogliatoio dei T’wolves. Jimmy Butler e compagni ne erano consapevoli e hanno così approfittato delle difficoltà difensive dei Cavaliers, giocando una partita semi-perfetta al tiro (sfiorando il 60% al tiro di squadra), con Karl-Anthony Towns e lo stesso Butler mattatori e infallibili ogni volta che hanno tentato la conclusione. James però ha risposto colpo su colpo per tutti i 53 minuti del match, rimettendo più volte in carreggiata Cleveland di fronte a possibili sbandamenti. La tripla doppia a referto è stata una conseguenza ovvia, mentre negli ultimi dieci secondi il numero 23 dei Cavs ha definitivamente sigillato la sfida. Stoppata in aiuto da una parte e buzzer beater dall’altra, entrambi stampati in faccia a Jimmy Butler, monopolizzando la conclusione dell’overtime e riportando al successo Cleveland nel momento più buio degli ultimi tre anni e mezzo. La zampata del leader, ma non il primo canestro realizzato sulla sirena da James in carriera. Due anni e mezzo fa infatti aveva già punito proprio Butler. In quell’occasione LeBron segnò dall’angolo un canestro da tre punti che cambiò il corso della serie playoff contro Chicago. Perdere quella gara-4 di semifinale del 2015 avrebbe significato sprofondare sul 3-1 con il fattore campo a sfavore, mettendo spalle al muro la prima versione dei Cavaliers dopo il ritorno a casa del Re. Una giocata diventata un nuovo schema sul playbook dei vice-campioni NBA, utilizzato anche quest’anno per vincere nel finale contro i Kings. Coach Lue aveva preso in mano la cartellina e il pennarello, pronto a disegnare uno schema, ma a dettare la linea (come spesso accade) fu James: “I want Chicago”. Palla a lui e canestro della staffa, quello della 13esima vittoria in fila con tanto di record di franchigia eguagliato. Era il 17 dicembre 2017, ma sembra passata una vita. Da quel momento è cambiato tutto a Cleveland. Tranne LeBron.