Stesso target, stessa piattaforma e ambizioni globali: ecco perché l'azienda di Menlo Park va a braccetto con la NBA. Dal dominio incontrastato di LeBron James agli eredi già pronti al suo trono: Joel Embiid e Giannis Antetokounmpo. E come al solito c'è chi ci guadagna tanti, ma tanti soldi...
È iniziata con le Olimpiadi del 2012, a Londra, con i giocatori di Team USA impegnati a portare a casa la medaglia d’oro e nelle pause tra una vittoria e l’altra (8/8, fino al successo in finale contro la Spagna) ancora più impegnati a scattare foto a tradimento ai compagni rei di addormentarsi in aereo per pubblicarle su una nuova piattaforma che iniziava a farsi nel mondo social: Instagram (nata nell’ottobre 2010, ma solo nel 2012 disponibile anche su Android). Sono passati solo sei anni da allora ma sembra un’epoca fa: oggi è quasi impossibile immaginare una NBA senza Instagram – e forse anche Instagram senza le grandi superstar NBA. Così un recente articolo apparso su Sports Illustrated ha gettato luce su potenzialità e futuro di un rapporto che sembra non arrestarsi più, come testimonia la cifra di 27 milioni di follower dell’account NBA, dato che fa della lega di Adam Silver di gran lunga la più popolare nel mondo dello sport professionistico americano (sotto gli 11 milioni il seguito della NFL, solo 4 quello del baseball delle Major League). Un successo che dalla lega si estende poi ai suoi principali protagonisti. Se LeBron James è “King” sul campo lo è anche su Instagram, forte dei quasi 37 milioni di follower (più della lega stessa, più di qualsiasi altro atleta statunitense – vicinissimo ai 43 milioni di David Beckham, anche se un Cristiano Ronaldo rimane ovviamente irraggiungibile, a quota 122 milioni), un seguito che fa impallidire quello degli altri eroi dello sport USA (Tom Brady ad esempio non supera la soglia dei 4 milioni di follower). Il numero 23 di Cleveland – abituato fin dalla più giovane età, già al liceo, ad avere un certo grado di visibilità pubblica – costruisce ormai la propria personale narrazione consapevole dell’importanze del mondo dei social network e sfruttandone al meglio vantaggi e opportunità. Dagli allenamenti in palestra a 48 ore di distanza da una sconfitta in finale NBA ai messaggi criptati affidati a oscuri personaggi dei cartoni animati, dai post pensati per promuovere i nuovi prodotti dei suoi sponsor fino alle dichiarazioni di impegno sociale che lo hanno sempre più contraddistinto negli ultimi tempi, ogni post di James assomiglia sempre più a una lezione di comunicazione e marketing, ma allo stesso tempo permette anche a milioni di suoi tifosi di vivere un rapporto a suo modo intimo e diretto con una delle più grandi star sportive del mondo. “Se si vuol vedere come un atleta di primissimo profilo deve gestire un account social, basta guardare a LeBron”, fanno sapere dagli uffici di Instagram. La regola, apparentemente, è semplice: “Storie raccontate sempre prima persona, solo lui e il suo smartphone”. E James che quando riconosce la persona della NBA addetta a produrre i contenuti per l’account ufficiale della lega regala un sorriso in più, una smorfia o una posa particolare (che subito diventa virale), chiedendo però in cambio di questa complicità foto o video specifici che lo vedono coinvolto da poter usare sul proprio account personale.
Gli eredi di King James
Ma un maestro ha sempre degli allievi e dagli uffici di Instagram a Menlo Park, nel cuore della Silicon Valley, sembrano aver già chiare le idee sui due giocatori destinati a raccogliere l’eredità social di LeBron James. Il primo si è autoincoronato tale: “Ho di gran lunga i migliori profili social di tutta la lega – ha dichiarato Joel Embiid, spiegando anche la ricetta del suo successo – perché faccio solo quello che mi va di fare. Sono il migliore perché sono selvaggio: non mi interessa nulla, faccio quello che mi va”. Per ora sono in due milioni a seguire il suo profilo – Joel “The Process” Embiid – ma uno dei suoi fan è Draymond Green, l’ala di Golden State che all’ultimo All-Star Game di Los Angeles, a una domanda sull’arma migliore del centro di Philadelphia, ha risposto: “La capacità di azzeccare la location di ogni suo post su Instagram” (da “Crime Scene Investigation” sulla foto di una sua schiacciata sulla testa di Russell Westbrook al famoso “Lavar”, villaggio dell’Iran utilizzato per mandare una stoccata al padre di Lonzo Ball). Ancora più di Embiid, giurano gli esperti, il futuro su Instagram appartiene a Giannis Antetokounmpo, già oggi titolare di 2.4 milioni di follower. Perché, come Embiid, è all’interno di quella forbice demografica (tra i 18 e i 24 anni) che racchiude anche gran parte del target, e poi perché la sua dimensione internazionale lo rende più appealing agli utenti che non sono negli Stati Uniti (l’80% di quelli attivi su Instagram). Nel 2015, quando i Bucks hanno iniziato a postare clip dei suoi highlights in campo, il traffico sull’account di squadra è cresciuto del 360% nel solo primo mese e i dati relativi ai video pubblicati su Instagram hanno fatto registrare un +500% dall’anno scorso a quest’anno. “Non posto con un’agenda in mente – dice anche lui – pubblico solo perché voglio che i miei tifosi mi conoscano meglio e conoscano meglio tutte le difficoltà che ho dovuto superare per arrivare dove sono”.
Divertimento ma anche business
Per un’azienda che fattura miliardi di dollari come la NBA, e per i suoi giocatori – autentiche multinazionali su due piedi – Instagram è però anche un business. Non tutti l’hanno capito subito (dovendo scegliere tra Instagram e Picplz, un altro servizio di condivisione di immagini, nel 2012 Bucks e Blazers ad esempio preferirono la seconda piattaforma alla prima, per poi ricredersi immediatamente – a fine 2012 Picplz era già fallito…). Oggi proprio Portland ha ingaggiato uno dei fotografi sportivi più conosciuti di tutto l’Oregon per produrre contenuti per il proprio account, mentre Milwaukee ha deciso di pagare tutte le 41 trasferte dei Bucks al proprio Digital Communications Manager. Da quando poi, due anni fa, Instagram ha introdotto le Stories, le opportunità commerciali si sono ulteriormente moltiplicate, perché le Stories prevedono la possibilità di inserire un link a una destinazione esterna, solitamente la pagina dello store della squadra o quella del ticketing, per completare gli acquisti online. Acquisti che spesso arrivano in massa: se su Instagram viene difatti considerato buono un rapporto di 5 a 1 tra il fatturato ricavato rispetto all’investimento pubblicitario fatto, nel mondo NBA questo benchmark è spesso superato: 8 a 1 nel caso dei Miami Heat per le ormai celeberrime divise Vice di Dwyane Wade, 14 a 1 per le vendite dei biglietti dal suo ritorno in squadra. C’è chi – ad esempio Portland – fa ancora meglio: attualmente il rapporto incassi/spese per advertising è normalmente di 13 a 1 ma il prodotto venduto in abbinata a un video pubblicato su Instagram con un canestro della vittoria di C.J. McCollum ha generato un ritorno di 34 a 1. Oggi i Blazers – e non solo loro – hanno spostato più di metà del loro budget di marketing sull’advertising digitale e la strada sembra ormai segnata: “Se si prende in considerazione il target demografico del pubblico NBA e di Instagram, le loro ambizioni globali e la loro piattaforma globale, si capisce perché si tratta di un matrimonio perfetto”.