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NBA, la stagione da sogno dei Rockets nelle parole di Mike D'Antoni e Daryl Morey

NBA

L'allenatore dei Rockets non ci sta: "Vincere o no il titolo non toglierà nulla a quanto fatto quest'anno". Mentre il gm di Houston ha un chiodo fisso in testa - i Golden State Warriors - e spiega perché i californiani sono ancora un passo avanti

Manca solo una gara (una trasferta sul campo dei Sacramento Kings) alla fine della stagione più trionfale della storia degli Houston Rockets, la prima sopra le 60 vittorie, la prima che li ha incoronati per la prima come la miglior squadra NBA, in un’annata che potrebbe anche regalare a James Harden (già miglior realizzatore del campionato, oltre i 30 punti a sera) il premio di MVP stagionale, per cui è indicato da molti come grande favorito. “Eppure l’altro giorno ho sentito dire che il giudizio sulla nostra stagione dipenderà dal fatto se riusciremo o meno a vincere il titolo”, fa notare l’allenatore dei Rockets, Mike D’Antoni. “Davvero? Per me no. Il risultato finale – qualsiasi sarà – non toglierà nulla a quello che questi ragazzi sono stati capaci di fare”. La prospettiva di un anello ovviamente riempie le notti anche dell’ex playmaker dell’Olimpia Milano (“Certo che sarebbe bello celebrare una stagione così con il titolo, chi non lo vorrebbe fare?”) ma ridurre tutto alla vittoria finale è qualcosa che D’Antoni non accetta: “No – spiega – perché ci sono tantissimi giocatori che possono vantare un anello in bacheca solo perché si sono ritrovati a giocare da comprimari in grandi squadre, insieme a grandi campioni, mentre il fatto di non aver vinto un titolo non toglie nulla a quello che uno Steve Nash [allenato da D’Antoni negli anni di Phoenix, ndr] ha fatto per tre-quattro stagioni in questa lega”. Proprio l’avventura dell’attuale allenatore dei Rockets sulla panchina dei Suns viene spesso citata dai suoi detrattori per insinuare la scarsa capacità delle squadre di D’Antoni di arrivare fino in fondo: nel quadriennio passato in panchina in Arizona, il suo record in stagione regolare è di 232 vittorie contro solo 96 sconfitte, ma il bilancio complessivo ai playoff è addirittura negativo (32-38). L’annata giusta per provare a invertire questo trend appare più che mai quella che si conclude nella nottata, preparando la strada per dei playoff quanto mai attesi con grandi aspettative in quel di Houston. Ne è consapevole anche l’architetto dietro la costruzione della squadra affidata a Mike D’Antoni, quel Daryl Morey mai timoroso di provare ogni mossa possibile per rendere i Rockets più competitivi possibili. 

Daryl Morey e l’ossessione Warriors: ecco dove sono ancora meglio

Sue, in primis, le decisioni di inserire in squadra Chris Paul al fianco di James Harden e di aggiungere al roster anche due pedine importanti come Luc Richard Mbah a Moute e P.J. Tucker. Il tutto con un’unica ossessione in testa: quella di avvicinarsi il più possibile o arrivare a battere i Golden State Warriors campioni in carica. “La nostra speranza era di poter essere una squadra da vertice nella Western Conference, di potercela giocare testa-a-testa con Golden State. Averli superati ovviamente eccede perfino le nostre aspettative – ammette Morey – perché il nostro obiettivo era cercare di raggiungere il plateau delle 60 vittorie, indipendentemente da quello che avrebbero fatto gli Warriors”. Se l’importanza dell’arrivo in squadra di Chris Paul non va assolutamente trascurata nell’opinione di coach D’Antoni (“Il fatto che con Harden al fianco abbia potuto giocare meno minuti e senza la responsabilità di doversi obbligatoriamente prendere tutti i tiri decisivi è quello che gli ha permesso di rendere al meglio”, dice), il gm dei Rockets dal canto suo vuole mettere l’accento sull’incredibile stagione di James Harden. “Statisticamente il miglior realizzatore in isolamento che la NBA abbia mai visto – afferma, sostenuto dai suoi amati dati, che lo confermano – perché unendo l’arma del suo tiro da tre in allontanamento alla capacità di battere al ferro i difensori avversari con cui finisce per essere accoppiato sui cambi è diventato virtualmente impossibile fermarlo”. Eppure proprio Morey, accanto ai complimenti e a un entusiasmo comprensibile per quanto fatto vedere dai suoi Rockets, è il primo a evidenziarne qualche piccolo difetto (“Ad esempio non mi piace che il nostro ritmo di gioco sia sceso così tanto [26^ squadra in tutta la lega dall’All-Star Game in poi, ndr], perché se giocassimo come stiamo facendo ora a un ritmo più alto saremmo ancora più difficili da fermare”) e a mostrare estremo rispetto per i propri avversari. “Oggi gli Warriors possono ancora gestire alcuni rischi meglio di noi: avendo a roster due dei primi 10 giocatori NBA, cosa ci succede se uno dei due un giorno ha una serata storta? Golden State ne ha 4, per cui se succede a loro possono assorbire un po’ meglio il colpo”, analizza Morey. Che poi aggiunge: “Golden State ha già dimostrato di poter giocare a un certo livello con costanza: noi abbiamo raggiunto le 60 vittorie stagionali per la prima volta nella storia della franchigia, loro lo hanno fatto tre volte nelle ultime tre stagioni [chiudendo a 58 quest’anno, ndr]”. Sembrano dettagli, non lo sono. O forse, quando l’obiettivo è quello di vincere un titolo NBA, ogni dettaglio conta. E Daryl Morey e Mike D’Antoni lo sanno bene.