Golden State ha perso gara-2 pagando dazio in difesa e senza trovare i soliti canestri da lontano del n°30, impreciso in attacco dopo il duro e spesso inutile lavoro a protezione del ferro. Non la prima volta che succede, con Curry che è sempre riuscito a invertire la rotta
Nella squadra che mai come in questa post-season sembra quella di Kevin Durant, il ritorno di Steph Curry sul parquet dopo l’infortunio ha ridato a coach Kerr l’opportunità di sfruttare il suo quintetto letale, i cosiddetti “Hamptons 5” che per una volta hanno fatto cilecca in gara-2. Ha vinto Houston e quindi la croce cade inevitabilmente sulle spalle di Golden State e in particolare su quelle del n°30; vittima sacrificale in difesa e spuntato in attacco. Un cane che si morde la coda, il focus principale del piano partita dei Rockets: “Metterlo in difficoltà è chiaramente il nostro obiettivo”, sottolinea coach D’Antoni, che in piedi davanti alla sua panchina ha continuato ripetutamente a chiamare lo stesso schema: blocco per James Harden o Chris Paul portato dall’uomo su cui è impegnato Curry (spesso Trevor Ariza), in modo da forzare il cambio e costringerlo a difendere in uno contro uno. Una rumba continua che toglie energie alla point guard degli Warriors, ne espone i difetti e sembra metterne in discussione le certezze. No, Steph non smetterà di tirare, né tantomeno inizierà a vacillare quando ci sarà la possibilità di lasciarla andare. Allo stesso modo, la sua difesa è un nervo scoperto che Houston sta continuando a tartassare. In 23 occasioni Curry è stato coinvolto come difensore primario in gara-2, dopo le 20 della prima partita. Di gran lunga il più sfidato, con 15 isolamenti in gara-1 e 13 nel match di questa notte. Non ne aveva fronteggiati mai così tanti in una singola partita negli ultimi quattro anni, regular season e playoff inclusi: “Non hanno smesso di fare canestro e noi eravamo sempre un passo troppo lenti nelle rotazioni e nei cambi difensivi – è il suo punto di vista -. Attaccavano l’area, ben sapendo che il loro schema preferito è l’isolamento, le penetrazioni in palleggio e gli assist al ferro. Avremmo dovuto rispondere con maggiore predisposizione difensiva e aggressività, che invece sono mancate”. Houston ha tirato 7/15 contro di lui, cavalcando spesso e volentieri un Harden che è riuscito a partire a proprio piacimento con la mano sinistra: “La differenza tra le due partite è stata la loro predisposizione nel muovere un po’ di più il pallone, nonostante gli isolamenti di partenza. In quello hanno messo intensità e noi abbiamo risposto muovendoci in maniera troppo lenta, io per primo”.
"Il ginocchio sta bene, è solo una serata storta"
Il punto interrogativo più grande resta quello legato alla sua condizione fisica, come sottolineato da molti giornalisti nel post-partita. “Steph, stai bene o il ginocchio è ancora un problema?”. “Fisicamente sono a posto, non ho alcun tipo di limitazione e posso dedicarmi solo al campo e al basket”. Stesso punto di vista di Steve Kerr: “Steph è in condizione, ormai è tornato in campo da sei o sette partite. Gioca a pieno regime e lo ha dimostrato anche in gara-1, quando ha performato molto meglio di quanto non sia stato raccontato nei commenti dopo il match. Ma, come già sottolineato, non era la nostra partita. Non eravamo concentrati a sufficienza, predisposti e uniti per fare tutte quelle piccole cose che fanno la differenza”. Nonostante la condivisione di responsabilità e punti dei Rockets (con P.J. Tucker e Trevor Ariza in particolare sugli scudi), lo stile di gioco dei ragazzi di D’Antoni non è cambiato: “Dobbiamo imparare a contenere e non fare fallo – è il rimbrotto di Durant -, ci stanno costringendo a giocare una difesa vecchio stile, di continuo uno contro uno. E noi non dobbiamo regalare tiri liberi e giochi da tre punti”. Il dramma in effetti sembra sempre più grande del dovuto quando a perdere è una squadra non abituata a farlo. Un gruppo che il suo obiettivo è riuscito lo stesso a raggiungerlo, togliendo il fattore campo a Houston e costringendo i texani a pensare di dover vincere alla Oracle Arena. Un ritorno a casa in cui sarà difficile immaginare di limitare Curry a soli 16 punti realizzati con 19 tiri tentati e 1/8 dall’arco, nonostante sia riuscito chiudere avendo a referto sette rimbalzi e sette assist – entrambi massimi di squadra. I Rockets hanno sistematicamente portato il raddoppio su di lui, limitando il suo raggio d’azione e approfittando della sua pessima serata al tiro. Non la prima volta che succede, con i precedenti ai playoff non lasciano ben sperare i texani. Anzi.
Mai scommettere contro il n°30 degli Warriors
In situazioni del genere infatti la domanda non è se arriverà la riscossa del campione, ma quando. E di solito, dopo due partite mediocri, Curry ci ha abituato a rispondere con forza sul parquet. Nel 2015, in gara-2 contro Memphis, chiuse con 19 punti, 7/19 al tiro e 2/11 dall’arco. Quella successiva 23 punti con 21 tentativi e ancora tanti errori dalla lunga distanza (2/10). A quelle però rispose con una partita da 33, dominata e spaccata in due grazie alla sua scossa. Contro i Thunder l’anno successivo in finale di conference il copione fu simile: 24 punti e 3/11 dall’arco in gara-3, 19 con 2/10 in gara-4, con tanto di 1-3 nella serie. E poi? Due match da 31, coronati con i 36 di gara-7. Insomma, non una situazione nuova da fronteggiare, nonostante il momento appaia particolarmente nero. Era dal dicembre 2014 che Curry non giocava due partite in fila senza segnare più di una tripla nella stessa gara. Tendenza anomala anche ai playoff, durante i quali prima di questa serie soltanto in cinque occasioni su 79 partite non aveva trovato più di una volta il fondo della retina oltre l'arco. “Mi ricordano molto la serie contro San Antonio: il loro lungo viene spesso e volentieri oltre la linea da tre punti pur di non lasciarmi tirare da lontano. Ho avuto un paio di opportunità a inizio gara, ma non ho segnato e non ho invertito la tendenza. Questo però non può incidere e condizionare la mia partita”. Clint Capela infatti spesso non si preoccupa della copertura del pitturato, così come l’uomo di Curry che resta incollato a lui sul pick&roll. “A guardare le statistiche, non sembra esserci differenza tra le prime due gare, ma nel primo match sono stato molto più aggressivo. Devo tornare a giocare in quel modo”. Houston dunque è avvisata: in gara-3 non converrà scommettere contro Curry, né ritenerlo il problema di Golden State. Altrimenti la vendetta potrebbe essere letale.