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NBA, bastone e carota: come Steve Kerr ha allenato l’annata più dura della sua carriera

NBA

Mauro Bevacqua

Ha vinto il suo ottavo titolo NBA (5 da giocatore, 3 da allenatore) e si appresta a firmare una ricca estensione contrattuale, ma che fatica gestire un gruppo in cerca di motivazioni: "L'anno prossimo potrei non farmi vedere in palestra fino all'All-Star break, tanto non mi ascolterebbero comunque"

Steve Kerr giura di essere andato a un solo party nei giorni seguenti il titolo 2018 (“Mi son fermato solo un paio d’ore, poi ho preso un Uber e sono andato a casa. Ma Nick Young si è divertito anche per me”, ha aggiunto scherzando) forse perché di emozioni forte – in questa stagione 2017-18 – l’allenatore degli Warriors ne ha già vissute tante. Così, portato a termine il suo lavoro con il terzo titolo in quattro anni, in cima alla lista dei suoi desideri ora c’è soltanto un po’ di riposo, anche se dopo un’annata intensa anche l’estate si preannuncia calda. A partire dal suo rinnovo con Golden State. Con ancora un anno di contratto, il proprietario degli Warriors Joe Lacob ha già fatto sapere di voler estendere il prima possibile l’accordo con il proprio allenatore. Idea che sembra gradita all’ex campione NBA con la maglia di Bulls e Spurs: “Non credo ci metteremo molto a trovare un accordo, dovremmo fare tutto abbastanza in fretta”. Si parla di un ingaggio ritoccato verso l’alto, dai 5 attuali a 7 milioni di dollari annui, per una durata che potrebbe addirittura toccare i cinque anni. “Ho bisogno di un nuovo contratto perché ho appena comprato casa a San Francisco e ora mi tocca allenare per altri 20 anni se voglio potermela permettere”, ha scherzato Kerr, ironizzando sui folli prezzi del mercato immobiliare della città californiana. Risolto la faccenda contrattuale, ci sarà da concentrarsi già sulla prossima stagione, quando la sfida di puntare al threepeat si annuncia ancora più difficile – internamente prima ancora che per la competizione esterna – di quella appena portata a termine per mettersi al dito l’anello 2018. “Non possiamo pensare che tutti i giocatori abbiano dentro lo stesso desiderio, lo stesso fuoco della stagione 2014-15. Magari dovremo fare qualche cambiamento, per costringerci a mantenere il nostro focus a un livello alto di attenzione. Ringiovanirci un po’ è senz’altro una priorità – dice l’allenatore di Golden State – per cui vorremmo sicuramente confermare Kevon Looney e Patrick McCaw e continuare a contare sull’apporto di Damian Jones, Jordan Bell e Quinn Cook” (mentre sembrano improbabili le conferme di Zaza Pachulia e Nick Young, rispettivamente 34 e 33 anni). Tra i veterani di ritorno, invece, potrebbe esserci quel David West che nelle ore immediatamente successive al titolo ha rilasciato una delle dichiarazioni più sibilline sulla stagione vincente degli Warriors: “Non avete idea, davvero non potete avere idea [di quello che è successo in spogliatoio nel corso dell’anno]: il fatto che non sia mai uscito niente pubblicamente dice molto dell’unità di questa squadra”, le sue parole (confermate anche da quelle di Shaun Livingston: “Bisogna dare i giusti meriti a coach Kerr se è riuscito a gestire tutti i casini che abbiamo avuto quest’anno in spogliatoio”). In quel casini ci sono le (se volete normali) incomprensioni e liti di una lunga stagione NBA, che però Kerr stesso durante la parata per la celebrazione del titolo ha voluto ridimensionare: “Certo che sono successe cose che non sono uscite sulla stampa ma davvero nessun terremoto interno, fidatevi”, ha dichiarato. “Nulla di pazzesco, è stata una stagione difficile con parecchi momenti in cui è diventata molto difficile, ma direi nulla di inusuale viste le condizioni della nostra squadra e la durata di una stagione NBA. Niente di scioccante, almeno per me”, assicura.

Bastone contro i Pacers, carota contro i Jazz

Che l’annata appena conclusa sia stata la più difficile degli ultimi tempi Kerr lo spiega così: “Si sono sommati stress e fatiche di tutti queste stagioni, più dal mondo di vista emotivo che fisico. È difficile tenere concentrata una squadra per 100 partite quando un’ottantina di queste agli occhi dei tuoi giocatori non hanno grande significato. L’anno scorso non era così, perché con l’innesto di Kevin Durant eravamo una squadra nuova con dinamiche tutte nuove; quest’anno invece è stata davvero una faticaccia”, ammette il tecnico californiano. Che per gestirla ha fatto affidamento a un metodo tanto antico quanto efficace: quello del bastone e della carota. Due date: 30 gennaio 2018, la prima. Golden State perde di 30 contro Utah. Jordan Bell racconta la reazione del suo allenatore in spogliatoio: “Un fischio contrario e un po’ di sfortuna su qualche tiro, ma con un paio di episodi favorevoli avremmo potuto vincere questa partita”, le parole di Kerr. In spogliatoio ci si guarda stupiti: poi tutti gli Warriors scoppiano a ridere, la tensione di una brutta sconfitta si stempera anche così, e Kerr lo sa. Ma sa anche recitare i panni del sergente cattivo (“C’è una componente old school dentro di me…”) e i suoi se ne sono accorti dopo la gara del 5 aprile contro Indiana. Golden State a una settimana dal via dei playoff perde di 20, 126-106, e Kerr non ci sta: definisce “imbarazzante e patetico” lo sforzo della sua squadra, e poi conferma: “Dopo quella partita la mia frustrazione era al picco massimo: non ci stavamo neppure provando a giocare, non c’era interesse. Si meritavano una frustata del genere”. Il giorno dopo, però, Kerr capisce di aver esagerato e si scusa davanti alla sua squadra. “Si è scusato con noi per aver messo in dubbio il nostro carattere, il nostro cuore – racconta Draymond Green – e questo significa tanto: è stato importante”. Kerr non si era fatto problemi a definire “fritti” i suoi già a inizio stagione (4-3 il record dopo le prime sette partite): “La mia sfida più difficile quest’anno? Tenerli svegli, evitare che si addormentino”, aveva già scherzato al tempo. Per questo durante l’anno sono arrivati il time out auto-gestito dai giocatori durante la vittoria contro Phoenix e il colloquio privato avuto con Kevin Durant a Portland per motivare la sua stella. “L’anno prossimo sarà ancora più dura”, anticipa Kerr col sorriso: “Potrei anche evitare di farmi vedere in palestra fino all’All-Star break perché tanto nessuno mi ascolterebbe comunque”.