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Marco Belinelli: "Philadelphia mi ha deluso, agli Spurs torno a casa. Ma le offerte non mancavano"

NBA

Mauro Bevacqua

L'azzurro svela i retroscena della sua firma con San Antonio e ammette di esserci rimasto male per lo scarso interesse dimostrato dai Sixers quest'estate nei suoi confronti. "Bello ritrovare Popovich, Messina e Ginobili, spero di giocare con Leonard"

QUALI SPURS TROVA MARCO BELINELLI?

MARCO BELINELLI TORNA AI SAN ANTONIO SPURS, CONTRATTO DI DUE ANNI

La notizia è arrivata subito, in anticipo rispetto alle attese di tutti (anche delle sue), ma solo dopo il 6 luglio – e la firma del nuovo contratto – Marco Belinelli è tornare a essere un giocatore dei San Antonio Spurs. Ora che può ufficialmente parlare da nero-argento – la maglia con cui ha vinto un titolo NBA nel 2014 e anche la gara del tiro da tre punti – l’azzurro ha raccontato a skysport.it i retroscena di quello che lui stesso chiama “un ritorno a casa”, la delusione provata per il comportamento dei Philadelphia 76ers e le sue opinioni su un’estate di free agency che ha ridisegnato gli equilibri della lega.

Ci racconti com’è nato, si è sviluppato e poi concluso l’accordo con i San Antonio Spurs?

“È successo tutto sabato notte, verso le cinque del mattino italiane. Ero in contatto telefonico costante con Sam [Goldfeder], il mio agente, già da due settimane e lui mi aggiornava su ogni possibilità, mettendomi al corrente di quelle che sembravano essere le squadre interessate, anche se non c’era ancora nulla di concreto. L’ultima telefonata con lui e con mio fratello Umberto, il sabato sera, me la ricordo: ci siamo salutati convinti che se ne sarebbe parlato la settimana successiva, si poteva andare a letto tranquilli. Invece alle 5.30 la chiamata sul mio cellulare, che io non ho neppure sentito, tanto è vero che poi hanno dovuto chiamare casa e mio fratello Enrico è venuto a suonarmi alla porta, svegliandomi, per darmi la notizia. A quel punto ho dovuto decidere in fretta: le squadre che si erano fatte avanti avevano comunque anche altri obiettivi, e alcune si erano già indirizzate verso la firma di giocatori più giovani. San Antonio restava un’offerta interessantissima sia dal punto di vista economico [Belinelli ha firmato un biennale da 12 milioni di dollari, ndr] che per mille altri aspetti e così non ci ho pensato troppo e ho detto sì agli Spurs. Ho parlato subito con R.C. Buford e con Gregg Popovich comunicando anche a loro la mia scelta: per me è una sorta di ritorno a casa”.

Quanto hanno pesato nella tua scelta i ricordi positivi della tua prima esperienza a San Antonio, con la vittoria dell’anello e della gara da tre punti?

“Beh, è stato senz’altro un insieme di elementi quello che mi ha spinto verso il ritorno a San Antonio. Certo, ho pensato anche alle cose che sono successe in passato ma sono consapevole che quella di oggi sarà una nuova avventura perché gli Spurs sono una squadra diversa, nonostante rimanga sempre una delle top 5 o 6 in tutta la lega. Nella mia decisione – tutto sommato molto veloce – hanno influito tanti fattori, il fatto che a San Antonio si gioca una bella pallacanestro, la mia conoscenza dell’ambiente e di tante persone che ne fanno parte, il fatto di poter lavorare ancora con coach Pop e con Ettore [Messina]. Oggi che il mercato non è ancora chiuso è difficile dire che squadra saremo, ma San Antonio comunque è sempre una garanzia”.

Ci hai parlato di diverse squadre interessate: quali, in particolare?

“Oltre a Philadelphia so che hanno mostrato interesse Milwaukee, Indiana e Portland. Sinceramente ero convinto che i Sixers volessero provare a tenere me e tutto il gruppo che aveva fatto così bene l’anno scorso. Io nei quattro mesi che avevo trascorso lì penso di aver fatto molto bene e anche grazie al mio innesto e a quello di Ersan [Ilyasova] Philadelphia aveva fatto un bel cambio di marcia, dalla settima posizione nella Eastern Conference alla terza testa di serie a Est e al fare un’ottima figura nei playoff. Loro invece hanno inseguito – finora senza riuscirci – la firma di un grande free agent ma sinceramente per come si sono comportati verso di me ci sono rimasto un po’ male. Sì, non nascondo un po’ di delusione, anche se alla fine questo è un mondo di business e ognuno prende le decisioni che reputa migliori: ci siamo sentiti, dal punto di vista formale abbiamo avuto delle comunicazioni, ma diciamo che il loro atteggiamento non mi ha lasciato nessun dubbio nell’accettare la corte serrata degli Spurs”.

Tra Bucks, Pacers e Blazers qualcuno è arrivato vicino a metterti sotto contratto?

“No, in realtà mai”.

E firmare magari per un anno solo a una cifra più alta, è stata un’opzione che hai preso in considerazione?

“Un’offerta in questo senso c’è stata, ma a dire la verità la mia preferenza era per un accordo biennale, a una buona cifra come quella messa sul tavolo dagli Spurs, che mi desse comunque la possibilità di essere nuovamente free agent a 34 anni dopo due stagioni in cui ho la certezza di giocare in un sistema in cui mi alleno meno, gioco bene e so di essere seguito perfettamente dal punto di vista fisico”.

Curioso che oggi gli Spurs accettino di darti i soldi che non ti hanno voluto dare tre anni fa [triennale da 19 milioni di dollari il contratto firmato da Belinelli con Sacramento nell’estate del 2015, ndr]?

“Quello era un periodo diverso da quello attuale e in quel 2015 gli Spurs avevano dovuto impegnare già parecchi dollari per trattenere Danny Green. Quest’estate la free agency è stata per certi versi particolare, sfortunatamente con meno soldi da spendere e valori più bassi rispetto agli ultimi anni, anche perché ci si attende un innalzamento del salary cap sia per l’anno prossimo che per quello successivo e quindi maggior capacità di spesa. È andata così, ma la base da cui è partita l’offerta è stata comunque importante e io non mi sono fatto problemi ad accettare”.

Trovi una squadra molto diversa dal passato, da quegli Spurs che abbiamo sempre visto come eterni

“San Antonio non muore mai [ride]… No, è vero, fa sicuramente specie vedere uno come Tony Parker, dopo 17 anni in Texas, andare a giocare a Charlotte firmando per un’ottima cifra per i prossimi due anni. TP come giocatore resta un talento allucinante, uno dei più forti che abbia giocato a San Antonio e nella NBA negli ultimi anni, ma ovviamente senza di lui questa è da considerarsi una squadra diversa, anche se quello che resta immutata è la professionalità di ogni membro della squadra e il sistema di gioco degli Spurs capace di generare una pallacanestro bellissima. Bisogna aspettare di vedere con che roster ci presenteremo a inizio stagione per capire che squadra saremo”.

Molto dipenderà dalla presenza o meno di Kawhi Leonard: che idea ti sei fatto da fuori della saga che lo ha visto protagonista?

“È difficile senza essere lì, all’interno dell’organizzazione, capire quale sia il lato giusto e quale quello sbagliato. Sui social si leggono tante cose, alcune magari vere, altre no, ma senza aver vissuto da dentro gli ultimi anni mi è davvero impossibile dare un giudizio. Quello che so è che avere uno come Leonard a roster cambia molto per noi, perché lui è un giocatore stellare: vedremo quello che succederà da qui all’inizio della stagione o magari anche più avanti”.

Conoscendo però bene Tony Parker, sei rimasto sorpreso dalle sue parole di aperta critica verso Leonard?

“Sinceramente questo così come altri episodi accaduti ultimamente a San Antonio sono difficili da inquadrare ma sapere cos’è successo realmente da fuori è impossibile. Da Spurs non posso che sperare che Leonard sia un mio compagno di squadra, l’anno prossimo, perché giocare con lui ti carica moltissimo e il suo valore è stellare su tutti e due i lati del campo”.

Vedremo ancora Manu Ginobili in campo?

“Non lo so, ovviamente a me piacerebbe tantissimo poter giocare almeno un altro anno con lui, perché tra noi c’è sempre stato grande rispetto reciproco. Anche se oggi ha 40 anni Manu ha disputato un’ottima stagione anche l’anno scorso: ci ho parlato al telefono così come ho parlato anche con Ettore, che sono felicissimo di ritrovare in panchina da assistente di coach Popovich”.

Che idea ti sei fatto della firma di LeBron James ai Lakers?

“Personalmente ho sempre pensato che sarebbe andato o a Los Angeles o a Houston, anche se c’era in corsa pure Philadelphia. Ha scelto L.A., tornando in una grande città e accettando la sfida di riportare in alto una franchigia che negli ultimi anni ha fatto fatica, magari rispolverando lo ‘Showtime’ degli anni ’80”.

Del resto dell’estate NBA cosa ti ha colpito di più?

“Mi ha sorpreso la scelta di Paul George di restare a Oklahoma City, così come ovviamente della firma di DeMarcus Cousins per un anno a Golden State, firma che dà agli Warriors un quintetto base di All-Star. Imbattibili? Dipende da come tornerà fisicamente dall’infortunio e quando, anche se ovviamente nessuno mette in dubbio il suo incredibile talento. Credo che Golden State comunque rimanga la squadra da battere”.

E a Est? È una sfida tra Philadelphia e Boston? Chi vede avvantaggiata?

“Beh, a questo punto visto che a Philadelphia non mi hanno confermato direi Boston tutta la vita [ride]. Scherzi a parte, se a quella squadra dello scorso anno si aggiungono i recuperi di Kyrie Irving e Gordon Hayward è abbastanza facile considerarli tra le pretendenti al titolo: il loro obiettivo dev’essere la finale NBA, non possono nascondersi”.

Un’ultima domanda sulla nazionale: cosa puoi dire ai tifosi azzurri?

“Che sono sempre in contatto con il presidente Petrucci e che ho sempre detto che un traguardo importante con la maglia azzurra è ciò che manca alla mia carriera”.