Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, come saranno i San Antonio Spurs che Marco Belinelli troverà il prossimo anno?

NBA

Belinelli è uno dei pochi innesti arrivati dal mercato, mentre a San Antonio è in corso una smobilitazione senza precedenti nell’era Popovich: i nero-argento per la prima volta sembrano non riuscire a garantire la solita continuità a un progetto finora sempre vincente

TUTTI GLI ALLENATORI SPURS IN GIRO PER LA LEGA

MARCO BELINELLI TORNA AGLI SPURS: LE CIFRE DELL'ACCORDO

In un mondo in cui crollano le certezze e vengono meno tutti i capisaldi e le tradizioni che portiamo avanti ormai da decenni, uno dei pochissimi punti fissi rimasto intatto nel turbolento mondo NBA sono sempre stati i San Antonio Spurs; l’unica squadra in grado di fregare il sistema NBA. I texani infatti si sono reinventati nelle ultime due decadi senza mai abbassare la soglia di rendimento, tenendo costantemente in positivo il bilancio vittorie-sconfitte a fine regular season e confermando la loro presenza costante ai playoff. Una dinastia fatta di uomini prima che di talenti, nata dal lavoro di Tim Duncan e Gregg Popovich e al cui seguito sono riusciti ad accodarsi decine e decine di giocatori (più o meno disciplinati) e assistenti allenatori che nel frattempo hanno popolato le panchine di mezza NBA. Questione di cultura, di stile a volte anche duramente contestato dagli altri che mai sono riusciti a eguagliare la continuità di risultati unica nello sport professionistico americano. La fortuna degli Spurs però è a lungo risieduta nella straordinaria combinazione di personalità a disposizione, a partire da Gregg Popovich (senza offesa per le decine di talenti a disposizione dei texani, la figura grazie alla quale San Antonio è riuscita a sedersi a lungo al tavolo delle grandi della lega). La sua presenza in panchina e soprattutto fuori ha guidato il gruppo dal 1996 a oggi, garantendo uno standard di resa senza precedenti. I segni del tempo per diversi lustri non hanno modificato il suo rendimento, anche quando in tanti erano pronti a scrivere sempre con troppa fretta i titoli di coda a una storia che ogni volta aggiungeva un nuovo capitolo inatteso. Gli Spurs erano finiti dopo il 2007, prima di tornare in finale sei anni dopo, sfiorare il titolo e trovare la forza per concludere nel migliore dei modi la loro cavalcata 12 mesi più tardi. Le ultime gare dei playoff dello scorso aprile però, Popovich ha dovuto passare la mano, fermato dalla perdita di sua moglie Erin; un duro colpo a livello personale, che alla soglia dei 70 anni lo ha portato seriamente a pensare per la prima volta al ritiro.

Messina l’erede in panchina, ma in campo sono cambiate tante cose

Popovich siederà sicuramente sulla panchina dei texani la prossima stagione, ma le olimpiadi di Tokyo 2020 (durante le quali guiderà la nazionale USA) potrebbero essere la migliore delle chiose a una carriera ricca di successi. Già per il 2019/20 la sua presenza a bordocampo con i nero-argento non è scontata, con Ettore Messina che scalpita e sente sempre più vicina l’opportunità di diventare capo allenatore (dopo i tanti colloqui andati a vuoto in questa off-season). Per decenni tanti assistenti di Popovich promettenti hanno poi trovato lavoro e responsabilità lontano da San Antonio, mentre l’allenatore italiano potrebbe essere il primo a sedersi al suo posto, quello a cui passare il testimone in un momento che fino a qualche tempo fa sembrava poter essere propizio. Gli Spurs infatti, dopo il titolo del 2014, si erano garantiti una prospettiva più che favorevole, coccolando un Kawhi Leonard da MVP (e in continua crescita) e piazzando nell’estate 2015 il colpo più importante tra i free agent e mettendo le mani su LaMarcus Aldridge. Grazie a loro il doloroso addio di Tim Duncan è rimasto così in sottofondo: “Ci sono ancora Pop, Tony e Manu in squadra”, pensavano in molti; sfregandosi le mani di fronte alla possibilità di fondare un nuovo ciclo attorno a Leonard. La stagione 2016/17 poi, la prima senza Duncan in spogliatoio, arriva l’ennesima conferma: gli Spurs dimostrano di essere l’unica avversaria credibile a Ovest degli Warriors, battono Houston grazie ai soliti vecchi, ma vengono travolti in finale di Conference soltanto dopo l’infortunio in gara-1 di Leonard; il punto di svolta di una storia in cui negli ultimi 12 mesi a San Antonio tutto è andato per il verso sbagliato.

Il caso Leonard e la smobilitazione del roster

Mai in oltre 20 anni di conduzione Popovich c’era stato un caso di mercato così controverso, un’insubordinazione così urlata e chiacchierare, un continuo inseguirsi di storie, messe in discussione e indiscrezioni. Il decorso post-infortunio di Leonard infatti è stato un calvario non tanto e non solo fisico, ma anche come vero e proprio assalto mediatico a una fortezza rimasta inespugnabile per anni. Crepe dovute alle scelte fatte dal n°2, molto contrariato per la gestione e il recupero muscolare a cui lo staff degli Spurs lo hanno costretto; sottovalutando prima il problema e forzandone in parte il ritorno in campo lo scorso gennaio. Alla fine quindi Leonard ha preferito affidarsi a un altro gruppo di professionisti, lontano dalla squadra e dalle difficoltà di una stagione chiusa sì ai playoff, ma per la prima volta dopo oltre 10 anni al di sotto delle 50 vittorie in regular season. Il colpo finale poi è arrivato in queste ultime ore di free agency, con i dolorosi addii di Kyle Anderson (convinto dai 37 milioni in quattro anni dei Grizzlies non pareggiati dagli Spurs) e soprattutto di Tony Parker; un’altra istituzione nero-argento che saluta la compagnia. A bordo al momento resta Manu Ginobili (con i suoi 2.5 milioni), oltre a Pau Gasol (che invece ne intascherà ben 16.8) a ricoprire il ruolo di veterani. Le speranze invece sono tutte rivolte verso LaMarcus Aldridge, dominante nell’ultima stagione e diventato il go-to-guy dei nero-argento, assieme al sorprendente Dejounte Murray e ai “soliti” Patty Mills, Danny Green e il confermato Rudy Gay. Un progetto dunque in una fase totalmente nuova, che ha bisogno di stabilità e di “persone fidate” a cui assegnare il compito di rilanciare le ambizioni di una franchigia che non è più abituata a restare ai margini. Così si spiega anche la scelta di puntare forte su Belinelli; usato sicuro dal punto di visto degli Spurs che potrebbero concedergli spazio e responsabilità. Un’opportunità unica che a 32 anni l’azzurro non vuole lasciarsi sfuggire.