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NBA, la storia più bella dell'estate: chi è Jack Cooley, "il re delle Summer League"

NBA

È uno dei tanti giocatori alla ricerca di un contratto in questa estate NBA ma la storia di Jack Cooley è diversa da tutte le altre: il lungo ex Notre Dame da 6 anni è presenza fissa a Las Vegas e in carriera conta più partite di summer league (32) che NBA (23). Un culto assoluto

I SUNS FANNO LA CONOSCENZA DI DEANDRE AYTON 

Forse non lo conoscete. Forse il suo nome non vi dice niente. Eppure – se si vuol credere a Vince Carter – “Jack Cooley è una superstar”. “Air Canada” Jack Cooley lo conosce bene perché la scorsa stagione, per ben 7 partite, i due sono stati compagni di squadra a Sacramento, con la maglia dei Kings: sono state 7 delle 23 gare NBA disputate in tutta la sua carriera da Cooley, giocatore più migliorato della Big East in maglia Notre Dame nel 2012 e poi primo quintetto di conference nel 2013. Al Draft NBA quell’anno, però, nessuno fa il suo nome, e così l’avventura da journeyman di Cooley inizia dalla Turchia, dove il Trabzonspor oltre a un contratto gli offre un’auto con autista a disposizione 24 ore al giorno e paga per tutti i pasti in trasferta. Dopo la Turchia ci saranno altre avventure europee nel suo oroscopo, in Spagna nel 2015-16 e in Germania l’anno successivo, ma anche parecchia G-League (anche quando si chiamava ancora D-League). Nel mentre anche quelle 16 gare, con poco più di 5 minuti di media in campo e un totale complessivo di 27 punti, con gli Utah Jazz nel 2015, presenze che completano la sua esperienza NBA. Fino a oggi. Perché il sogno tuttora vivo nella testa di Cooley è quello di strappare un altro contratto e tornare nella lega, a 27 anni. Per questo, dal 2013 a oggi, l’ex rimbalzista di Notre Dame non manca mai una summer league NBA, la prima disputata con la maglia degli Houston Rockets, l’ultima – quest’anno – con i Phoenix Suns, dove “ha fatto di tutto per regalare più consigli e insegnamenti possibili a Deandre Ayton”, la primissima scelta all’ultimo Draft. Per lui, dal 2013 a oggi, 32 presenze nella sola summer league di Las Vegas, record assoluto che pareggia quello di Dionte Christmas (cui Cooley aggiunge poi altre 10 presenze collezionate nei tornei estivi di Orlando e Salt Lake City): “Vegas non ha una città NBA ma io è sei anni che gioco qui: in pratica sono il primo giocatore NBA di Las Vegas”, scherza lui. Che a “Sin City” gode infatti di una reputazione stellare: i tifosi quest’anno hanno intonato cori di “M-V-P, M-V-P” quando Cooley andava in lunetta per i Suns (ma i primi cori del genere li ha sentiti già l’anno scorso, quando giocava per i Chicago Bulls) e la moglie ha raccontato del gran numero di tifosi che vogliono una foto con lui quando i due passeggiano per le strade della città del Nevada. “Mi chiamano il re delle summer league – dice lui – magari scherzando, ma a me non dispiace”.

Una sera da leoni a Sacramento

Cooley - 207 centimetri, 118 chili – ha le idee chiare su quello che può essere il suo ruolo anche su un campo NBA: “Mi descriverei sempre come il miglior rimbalzista in campo, indipendentemente dal livello”, dice lui senza falsa modestia, visto anche il record stabilito nella G-League nel 2015 (ben 29 rimbalzi, insieme a 27 punti, fatti registrare in maglia Idaho Stampede). “Nessuno porta dei blocchi come faccio io, nessuno gioca duro come me, nessuno si batte a rimbalzo come faccio io”. Il gioco però, soprattutto a livello NBA, vuole lunghi sempre più versatili e Cooley lo sa: “Ho lavorato per diventare più veloce possibile in modo da poter marcare anche i 4 avversari e se c’è bisogno qualche 3”, racconta, anche se energia, fisicità e altruismo rimangono sempre le sue carte migliori. “Le squadre NBA sanno benissimo cosa so fare in campo”. Phoenix ha confermato che la sua presenza a Las Vegas è frutto di un reale interesse verso il prodotto di Notre Dame, che dopo aver indossato 7 maglie diverse in summer league vorrebbe tanto trovarne una NBA a metà ottobre. In fondo solo l’anno scorso, era il 9 marzo, dagli spalti del Golden 1 Center di Sacramento il coro “Coooooooooley-Cooooooooley” è risuonato forte per celebrare il suo massimo in carriera (eguagliato): quella sera, contro Orlando, per lui ci sono stati 8 punti (compresi i primi 6 del quarto quarto dei Kings) insieme a 3 rimbalzi e un assist in soli 8 minuti: “Se a 15 anni mi avessero detto che in un’arena NBA avrebbero inneggiato al mio nome sarei impazzito di gioia”, il suo commento da autentico tifoso del gioco. “Amerò per sempre i tifosi di Sacramento – dice lui – così come sto imparando ad amare quelli di Phoenix, che hanno già prodotto anche una maglia in mio onore”, racconta. 

Dalle vacanze alle Hawaii al sogno NBA

Quest’estate la chiamata dei Suns è arrivata quando Cooley era in vacanza alle Hawaii con sua moglie: dalla spiaggia si è ritrovato catapultato in poche ore a Phoenix, dove albergo e due pasti al giorno erano parte dell’offerta ricevuta da tutti i 14 prospetti convocati per Las Vegas. Per i 12 giorni della summer league i Suns hanno poi messo sul piatto 1.500 dollari di per diem, soldi che i giocatori ricevono o in una tranche unica oppure quotidianamente. Spesso Cooley e compagni scelgono però di mangiare in qualche fast food o all’interno dell’albergo stesso, per risparmiare parte dei 125 dollari quotidiani e il lungo di Phoenix, dopo 7 anni di presenza consecutiva a Vegas, ha ovviamente i suoi posti di riferimento: “Trevi all’interno del Caesar’s Palace se voglio mangiare italiano, STK al Cosmopolitan è la mia steakhouse preferita se voglio una bistecca, Lola’s per la cucina Cajun, che mi piace molto”. A questo si somma il valore delle stanze d’hotel dove i giocatori risiedono, che solitamente si aggira sui 115 dollari al giorno toccando gli oltre 200 per i weekend, quando l’afflusso di turisti fa impennare i prezzi. “Se per inseguire il lavoro dei tuoi sogni tutto quello che devi fare è accettare una sorta di vacanza tutto-incluso a Las Vegas in cui ti viene chiesto di giocare a basket, lo sport che ami di più al mondo, voi non lo fareste?”, chiede retoricamente Cooley. Anche se l’obiettivo rimane stampato a fuoco nella sua testa: “Oggi come oggi sono sicuro al 100% di essere abbastanza forte per giocare nella NBA”, dice lui. Il punto è convincere una delle trenta franchigie della lega.