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NBA, Enes Kanter mette tutti nel mirino: LeBron James, Kevin Durant e pure Erdogan

NBA

Mai timido quando c'è da esprimere un'opinione e regalare un commento, l'ala turca dei New York Knicks ama abbracciare il ruolo del provocatore, tanto in campo quanto sui social. E non gli importa scontrarsi con i "potenti", che si chiamino Adam Silver o Recep Tayyip Erdogan

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Enes Kanter non si sta riposando. L’estate serve per allenarsi e, nel suo caso, per cercare di raggiungere il maggior numero possibile di ragazzini, cui provare a regalare un sorriso: “Se avessi 9-10 anni e potessi parlare con un giocatore NBA sarebbe un’esperienza che non dimenticherei mai”, dice semplicemente. Per questo le sue ultime settimane sono state un’apparizione via l’altra a una serie di camp estivi, dall’Oklahoma all’Iowa, dal Texas al Missouri, “per far loro capire l’importanza dell’educazione, della scuola, della famiglia, prima ancora che del basket”. Ma di basket ovviamente il lungo dei New York Knicks parla spesso e volentieri – alcuni (i suoi detrattori) dicono pure troppo. “Mi piace, mi piace esprimere le mie opinioni su Twitter, magari la lega lo odia, ma io trovo faccia parte del lato divertente della NBA”, ha raccontato a ESPN. Come ha fatto quest’estate, a fine giugno, quando a 24 ore dalla scadenza per annunciare la scelta di restare all’interno del suo contratto con i Knicks o rendersi free agent, il giocatore turco ne ha combinata una delle sue. “La decisione non era ancora presa, ma di ritorno da una cena, mentre stavo tornando a casa con Uber, annoiato, ho deciso di twittare l’emoji di un cervo [Buck, in inglese, ndr] per cancellarla cinque minuti dopo. L’ho fatto apposta, solo per divertirmi e veder diventare virale il tweet. Sapevo che non avrei mai firmato per i Bucks: dai, se non per una montagna di sodi, chi mai passerebbe da una città come New York a una come Milwaukee?”, dice, neppure troppo scherzando. Un giocatore che ama far parlare di sé, le controversie, se necessario anche le provocazioni. Come postare su Twitter una foto del commissioner NBA Adam Silver con indosso la maglia dei Golden State Warriors (“Silver ha raggiunto un accordo per la mid level extension con Golden State, mi hanno riportato alcune fonti”). “Dopo averla twittata ho pensato: ‘Ora mi multeranno’. Così ho mandato un messaggio al PR dei Knicks e gli ho chiesto se avrei dovuto aspettarmi una multa. ‘Cos’hai fatto?’, mi ha chiesto disperato. Alla fine nessuna multa, ma il nostro gm, Scott Perry, mi ha dato un consiglio importante: ‘Non stuzzicare tutti gli orsi’. OK, lo farò solo con qualcuno…”. Anche perché, tornando a Silver, a differenza di tanti Kanter non pensa che gli Warriors abbiano “rovinato la NBA”: “Non ho nessun problema con quello che hanno fatto, le regole lo consentono. Certo che grazie al loro strapotere la Eastern Conference sembra il circuito AAU mentre la Western la vera NBA”. 

Il retroscena con LeBron, le frecciate a Kevin Durant

Anche perché da quest’anno nella Western Conference è arrivato anche LeBron James, un “nemico” storico di Enes Kanter: la passata stagione il loro scontro – prima in campo (con Kanter a difesa del suo rookie Frank Ntilikina), poi trascinatosi sui social – ha generato tantissima attenzione. Il turco non perde occasione per tornarci, svelando un retroscena: “Quando ancora giocavo ai Thunder, mi ricordo di aver trovato irrispettose le immagini di LeBron James che in panchina contro i Knicks giocava con le bottiglie d’acqua”. Così alla prima occasione utile, ecco lo scontro con il “Re” (o “regina”, secondo la definizione stessa di Kanter): “La gente mi chiede se fare innervosire LeBron funziona. No – ammette l’ala de Knicks – ma almeno ci provo”. Nel mirino di Kanter però non solo il nuovo n°23 dei Lakers, ma anche il suo avversario delle ultime finali NBA, Kevin Durant: “Per l’amor di Dio, da quando ha lasciato OKC per andare a Golden State ha fatto l’All-Star Game due anni su due, ha vinto due titoli NBA ed è stato votato due volte MVP delle finali. Il mio problema con lui nasce da come ha lasciato i Thunder…”, dice. Un odio (ovviamente sportivo) all’acqua di rose se paragonato a quello provato da Kanter per l’attuale numero uno turco, Recep Tayyip Erdogan, definito dal giocatore dei Knicks “l’Hitler del nostro secolo”. Per aver espressamente manifestato il suo appoggio a Fethullah Gulen (accusato da Erdogan di un colpo di stato nel 2016) Kanter ha subìto diverse minacce, ha visto suo padre venire arrestato due volte e si è visto ritirato il suo passaporto turco. “Ho la green card USA e spero entro un paio d’anni di ottenere la cittadinanza. Non ho niente contro il mio Paese, sia chiaro, amo la Turchia: ho un problema con un dittatore come Erdogan e con il regime che ha instaurato. Siamo il Paese numero uno al mondo per numero di giornalisti incarcerati: vuol dire che in Turchia non c’è libertà di stampa. Se mai dovessi tornarci, sarebbe l’ultima volta che sentereste parlare di me, probabilmente. Non possono puntarmi una pistola alla tempia e farmi fuori, sarebbe troppo evidente: ma potrei finire coinvolto in un incidente, potrei essere avvelenato…”. Una situazione che va a impattare anche sulla sua professione: i Knicks sono attesi alla trasferta britannica di gennaio, per giocare contro Washington: “Non so ancora se potrò andare a Londra. Forse per allora potrei anche essere scambiato, il mio contratto è perfetto…”: l’ennesima provocazione, pronunciato col sorriso sulle labbra. Ma non è detto che dietro non ci sia una verità.