Il vice-allenatore dei Raptors - al debutto americano alle spalle di Nick Nurse - racconta in esclusiva il suo primo mese di NBA. E svela: "Fare l'allenatore dopo una carriera da capo non è difficile: basta tenere l'ego chiuso in un cassetto"
Quasi tre decenni di carriera in panchina, gli inizi in Italia e poi la consacrazione tanto nel suo paese natìo che all’estero: tre trionfi agli Europei (più un bronzo) alla guida della nazionale spagnola ma anche una medaglia d’argento olimpica nel 2012 a Londra e una di bronzo quattro anni dopo a Rio de Janeiro. Sergio Scariolo in Europa ha vinto tanto, quasi tutto, per cui era naturale che alla fine l’allenatore bresciano provasse la carta NBA: un’esperienza nuova, una nuova sfida, che da quest’anno sta affrontando sulla panchina dei Toronto Raptors, tra gli assistenti di un coach anche lui al suo esordio nella lega, Nick Nurse. E l’impatto non poteva essere dei migliori, visti anche i risultati di questo avvio di campionato, iniziato con nove vittorie a fronte di una sola sconfitta: “Siamo una buona squadra, non siamo sorpresi dei risultati, non si può dire che non ci aspettassimo di partire forte: il gruppo è forte, ottime persone prima ancora che ottimi giocatori. In attacco condividiamo il pallone, tanti passaggi, in difesa tutti vogliono impegnarsi. Le prime dieci partite sono andate bene, ovviamente non pensiamo di poter tenere il 90% da qui alla fine del campionato ma per ora siamo contenti”. L’analisi dei suoi Raptors non può non partire da Kawhi Leonard e Kyle Lowry: “Sono i nostri due All-Star e sono entrambi due grandissimi giocatori, diversi ma vincenti, con un carattere orientato alla squadra e grandi qualità tecniche. Poi abbiamo un bel gruppo di giovani, che ci fa sperare non solo per il futuro ma anche per il proseguimento della stagione, perché pensiamo che i vari Anunoby, Siakam, VanVleet, Wright possano migliorare già nei prossimi mesi. Abbiamo un roster profondo, una buonissima panchina”. Due superstar, un gruppo di giovani e nel mezzo un giocatore che Scariolo conosce bene, anzi benissimo: “Avevo lasciato Serge Ibaka sul podio olimpico nel 2012 [da allenatore della Spagna, di cui Ibaka è rappresentante naturalizzato, ndr] e oggi lo ritrovo beneficiato dal cambio di ruolo: qui ai Raptors, potendo contare su un centro di ruolo come Jonas Valanciunas, Serge sta prendendo vantaggio dalla tendenza – nella NBA ma non solo, nel basket di tutto il mondo – di giocare ‘piccolo’. Sta rispondendo molto bene, non solo segnando ma anche con le stoppate ad esempio, giocando più vicino a canestro di quando stava in campo da numero 4. Per lui è un ritorno a un ruolo in campo che aveva quand’era adolescente: sta rispondendo benissimo”.
“Il ruolo di assistente? Basta tenere l’ego chiuso in un cassetto”
“Qualche conversazione con qualche squadra NBA c’era stata anche in passato, ma per il primo anno questa volta tutte le circostanze e le condizioni che si sono verificate mi hanno portato facilmente verso la scelta di lasciare l’Europa per l’America. Il ruolo all’interno del coaching staff, il contratto che mi è stato offerto, l’organizzazione della franchigia, la forza della squadra, la bellezza della città: c’erano davvero tutti gli elementi giusti per essere felice di tentare questa avventura, a priori e ora posso dire anche a posteriori”. Anche se, dopo anni e anni di ruolo in prima fila, da capo-allenatore, vuol dire rientrare nei ranghi e accettare di fare da secondo a qualcuno. “Ma con Nick Nurse ci conosciamo da vent’anni – racconta Scariolo – non solo abbiamo lo stesso agente, ma tanti anni fa abbiamo giocato contro e siamo stati assieme in più di un’occasione quando lui allenava in Europa. Cosa faccio per adattarmi al ruolo di vice? Basta usare la testa. Ho abbastanza spazio, parecchia autonomia, e questo mi permette di divertirmi e di sentirmi molto partecipe in tutto ciò che facciamo. Mi sto occupando principalmente della parte offensiva del nostro gioco, ma in generale respiro rispetto e accettazione: quando puoi decidere tu decidi, quando devi passare dal capo allenatore proponi la tua idea e vedi come reagisce. Se gli piace e l’accetta, tutti contenti; se preferisce fare altro benissimo uguale, con ogni probabilità tre minuti dopo hai già un’altra idea da sottoporre. Ormai da anni tengo il mio ego rigorosamente chiuso a chiave in un cassetto, e questa è la cosa più importante, perché il punto qui è fare pallacanestro ognuno interpretando al meglio il proprio ruolo. È importante accettarlo, soprattutto a livello emozionale: solo così il proprio lavoro diventa piacevole – anzi di più, divertente”. Allenatore di grandissima esperienza, navigato e vincente, è difficile impressionare Sergio Scariolo. Ma qualche dettaglio NBA ce l’ha fatto: “L’attenzione speciale – sia a livello di profusione di mezzi a disposizione, sia a livello tecnico – al miglioramento individuale dei giocatori, che sia nell’aspetto fisico, mentale o tecnico. Ogni giocatore qui ha davvero tutto quello che gli serve a disposizione per fare sempre meglio, dagli allenatori ai dietologi agli psicologi, sotto ogni punto di vista. Se qualcuno qui non migliora è perché decide, lui, di non voler migliorare, altrimenti è veramente impossibile”.
[intervista di Zeno Pisani | Video di Sheyla Ornelas]