I tifosi dei Cavaliers hanno salutato e ringraziato il n°23 dei Lakers, al secondo ritorno da ex della sua carriera in Ohio: un'accoglienza molto diversa da quella di otto anni fa
Per LeBron questa volta è stato un trionfo, in campo e soprattutto di pubblico. Negli ultimi otto anni sono cambiate un bel po’ di cose a Cleveland, come dimostra l’accoglienza riservata al n°23 dei Lakers da parte dei suoi ex tifosi, che gli hanno dedicato una lunga ovazione quando sono state introdotte le due squadre. Lo storico speaker dei Cavaliers Sean Peebles, facendo uno strappo alla regola, ha tenuto per ultimo il nome di James nella lista degli ospiti, dedicandogli un urlo che di solito spetta soltanto ai giocatori di Cleveland. A quel punto la folla ha risposto convintamente, salutando LeBron con un applauso durato quasi un minuto. L’ex padrone di casa si è fermato a lungo a salutare Channing Frye e Larry Nance Jr. a bordocampo, prima di dirigersi verso il centro del campo a salutare Tristan Thompson con il consueto handshake. Come se non fosse andato mai via, anche se poi sul parquet in questo primo mese abbondante di stagione la differenza appare evidente. Il primo possesso della gara tocca a lui, trovando subito il fondo della retina e i primi fischi di chi ha provato a fare finta che potesse essere un avversario come gli altri. Durante il primo timeout del quarto d’apertura, i Cavaliers hanno proiettato sugli schermi un video tributo sugli schermi della Quicken Loans Arena con tanto di messaggio: “Grazie per quello che hai fatto sul campo, ma tutti noi sappiamo che è stato molto più grande del basket”. James infatti ha approfittato di questo viaggio in Ohio per fare visita nelle ore precedenti alla partita alla sua scuola di Akron, una delle tante eredità che LeBron ha lasciato alla sua gente. “È soltanto una partita come le altre – aveva detto prima della palla a due – ovviamente ho lasciato tanti amici a Cleveland, ma mi rendo conto che adesso ai Cavs stanno vivendo una situazione totalmente differente rispetto a quando c’ero io”. Chissà se dopo i 32 punti, 14 assist, sette rimbalzi (decisivi nel successo Lakers) e una fantastica standing ovation, avrà cambiato idea.
LeBron: “Ho dato tutto quello che potevo nei miei anni a Cleveland”
James è arrivato all’arena con quasi tre ore d’anticipo, stringendo mani e facendo foto con tante facce familiari, prima di prendere a cinque anni di distanza dall’ultima volta, la strada verso gli spogliatoi degli ospiti. Sceso in campo a una decina di minuti dalla palla a due, era chiaro che l’abbraccio sarebbe stato caloroso: un lungo applauso culminato successivamente in un paio di acuti. Ai suoi piedi un paio di scarpe bianche e verdi (disegnate nel 2009) per richiamare i colori della sua St. Vincent-St. Mary, mentre sugli spalti il grande assente è stato Dan Gilbert - il proprietario dei Cavaliers, da anni in aperto conflitto con James. A fine gara, non appena è suonata la sirena, la folla di giornalisti e telecamere attorno al n°23 è diventata impressionante. LeBron però è riuscito a farsi largo, a salutare tutti e a indugiare più a lungo con Tristan Thompson; stretto in un abbraccio carico di consigli, in cui sembrava sussurargli all’orecchio il segreto per tornare a essere vincenti. Poi, l’intervista a bordocampo non poteva che essere dedicata a lui: “Il mio amore per questa franchigia è rimasto immutato, nei miei anni a Cleveland ho dato tutto quello che potevo, sia in campo che fuori. Ho rappresentato questa città, un’intera comunità, provando a essere un esempio nella vita lontano dal parquet e un leader quando si è trattato di giocare a pallacanestro. Un’accoglienza meravigliosa come quella che mi hanno riservato questa notte significa molto per me, ma anche per la mia famiglia, per i miei amici che erano tutti qui a salutarmi stasera”. Le considerazioni sulla partita, sulla capacità nel finale di andare in lunetta e sull’abilità della sua giovane squadra di imparare a vincere le partite anche in maniera sporca, restano in secondo piano. Almeno questa volta.