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NBA, Jae Crowder ricorda la madre: "Quel 22 agosto il giorno più brutto della mia vita"

NBA

Con una lettera aperta affidata al quotidiano locale Deseret News, l'ala degli Utah Jazz ha ricordato il giorno in cui ha visto morire la madre ed è venuto a sapere di essere stato scambiato, dai Celtics ai Cleveland Cavs

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Di Jae Crowder in tanti conoscono il padre. Corey, anche lui giocatore di basket, forte abbastanza da arrivare in NBA, anche se solo per un totale di 58 partite, a inizio anni ’90. Le prime 51 le gioca nello Utah, poi la sua carriera lo porta in Europa – anche in Italia, un anno a 17.3 di media con la Glaxo Verona prima, e poi in Spagna – prima di rientrare negli Stati Uniti e fare a tempo a indossare per altre 7 gare una divisa NBA, quella dei San Antonio Spurs. Della madre di Jae Crowder, invece – Helen Thompson – si è parlato solo nell’estate 2017, quando è venuta a mancare dopo una lunga battaglia col cancro. Quel lutto, a un anno e mezzo di distanza, è ancora vivo e presente nel figlio, tanto da spingerlo ad affidare il suo ricordo a una lettera aperta pubblicata su un quotidiano dello Utah, il Deseret News. “Lo faccio per me – scrive a un certo punto l’ala dei Jazz – perché mi aiuta a star meglio”: il sintomo di un dolore sempre vivo nel giocatore, che per uno scherzo beffardo del destino lo stesso giorno in cui ha dovuto dire addio alla madre ha contemporaneamente ricevuto la notizia che lo vedeva ceduto da Boston a Cleveland. Crowder ha raccontato tutto con parole davvero toccanti:

"Cara mamma,
essere amato.
Sapere di non fare mai niente di sbagliato ai tuoi occhi.
Sapere di avere qualcuno con cui poter parlare di tutto e sentire un amore incondizionato che so che non proverò mai più.
Questo è quello che mi viene in mente quando penso a te.
Per me è ancora difficile tornare con la memoria al giorno in cui ci hai lasciato. Preferirei non farlo.
Il 22 agosto 2017 rimane il giorno più brutto della mia vita, quello in cui ho assistito al tuo ultimo respiro: da allora mi manchi tantissimo, e sto cercando di fare tutto il possibile perché le cose continuino ad andare avanti, per te e per la nostra famiglia. È dura, ma voglio che tu sappia che non mi arrenderò mai e farò di tutto per prendere il tuo posto di capofamiglia.
Nel mio cuore so al 100% che tu vorresti continuare a vedermi in campo […] Per questo ogni partita, per il resto della mia carriera, la dedico a te. Posso ancora sentire la tua voce: ‘Figliolo, gioca duro e divertiti’. Per questo ogni volta che entro in campo rendo omaggio prima a Dio e poi a te, battendomi il petto e alzando il mio sguardo al cielo.
Ti onoro ogni giorno e ti parlo ogni volta che entro in campo: voglio renderti orgogliosa, per questo gioco sempre al massimo, sia che si vinca sia che si perda. A volte ti immagino al palazzetto, tutta vestita bene: saresti così contenta. So che avresti trovato il modo di esserci per ogni partita importante […] C’eri anche alle partite più importanti della mia carriera al college: sei stata la mia tifosa n°1.
Ancora oggi parlo con te e faccio tutte quelle che cose che facevo quando eri ancora tra noi: lo faccio perché mi aiuta a star meglio. Sarò sempre il più giovane dei tuoi cinque figli, sarò sempre il tuo piccolino. Mi vedrò sempre così, anche se oggi sono io il capofamiglia
”.

Il rapporto (recuperato) col padre

Nella seconda parte della lettera poi Crowder parla proprio di come – la mancanza della madre – abbia avuto un ruolo nel riavvicinarlo a suo padre Corey, ancora di più dopo che, con il via della stagione 2017-18, l’ala ha lasciato Cleveland proprio per approdare nello Utah, dove Corey aveva debuttato a livello NBA.

“Da quando non ci sei più sono maturato molto, come padre, come amico, come fratello – in una maniera che non pensavo potesse essere possibile. L’anno scorso non sapevo come affrontare la tua perdita, ho dovuto trovare un modo e oggi penso di aver raggiunto un livello di consapevolezza diverso. Dopo i playoff della scorsa stagione ho lasciato perdere la pallacanestro e mi sono concentrato sulla nostra famiglia, per sentirmi meglio sia nel corpo che nella mente. Forse è come un sogno che si realizza, quello di tornare nello Utah, dove in passato aveva giocato papà: la tua perdita mi ha avvicinato di più anche a lui, oggi parliamo come non abbiamo mai fatto in passato […] Averlo al mio angolo mi ha aiutato in questo processo. Di recente gli ho chiesto se lo stavo rendendo orgoglioso e sentire la sua risposta è una sensazione che ogni figlio vuole provare: quella di rendere orgogliosi i propri genitori. In tutta onesta, credo che tu fossi orgogliosa di me, dell’uomo che stavo diventando, ma sentirlo anche da mio padre – dopo tutto quello che ha dovuto passare – è stata una bellissima sensazione. Ora finisco questa lettera, ma tu sappi che il tuo giovane re ti pensa sempre e gli manchi tantissimo.

Con amore,
Jae”