Nell'intervista esclusiva concessa a ESPN, il n°23 dei Lakers ha parlato di sé stesso, della sua nuova avventura in California e dei margini di crescita del roster giallo-viola. A partire dai possibili arrivi in estate, da ottenere anche grazie alla sua "supervisione" e all'opera di convincimento già mostrata negli ultimi dieci anni
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Il Natale in NBA è sempre un evento molto speciale. Lo sa bene LeBron James, che il 25 dicembre scende in campo ormai da anni e che questa volta ha concesso a Rachel Nichols di ESPN un’intervista esclusiva che andrà in onda durante l’intervallo di Golden State-Los Angeles Lakers. Le indiscrezioni però sono iniziate a circolare con largo anticipo (gli estratti si trovano dappertutto su internet nelle ultime ore), a partire dalla frase “da titolo” sul mercato e il reclutamento di nuovi giocatori, concessa al mondo dell’informazione da LeBron che sa bene quanto interesse ci fosse in queste ore sull’argomento: “Ho provato da tempo a portare nuovi giocatori nelle mie squadre, sin dal 2007. Ho ricevuto un sacco di risposte negative, ma al tempo stesso in tanti hanno giocato con me senza che io li rifiutassi”. Sorride, ma è chiara l’allusione al caso Anthony Davis che tiene ancora banco: i due sono andati a cena insieme e in molti sognano di vederli banchettare anche sotto canestro con la stessa maglia. Nel frattempo James ha vuotato il sacco, raccontato i tanti rifiuti incassati nei primi anni ai Cavaliers: da Chris Bosh a Ray Allen, da Michael Redd a Joe Johnson, nessuno è poi andato a giocare con lui a Cleveland: “Un bel po’ di campioni non sono voluti venire in Ohio, ho provato a convincerne molti senza successo. Quando giocavo a Miami invece era tutto molto più semplice. Per questo, adesso che sono a Lakers…”. La chiacchierata è informale, così come dimostrato dalla felpa con la scritta “Più di un atleta” che ha scelto di indossare. Il suo nuovo marchio, soprattutto il suo nuovo motto e messaggio da lanciare al mondo NBA. “Alla fine di tutto ciò che più conta è vincere: il mio lavoro adesso è quello di dimostrare che posso farlo. Così in molti si convinceranno”.
I Lakers e la possibilità di non essere in campo a giugno
Rachel Nichols inizia l’intervista aggiungendo agli auguri di Natale anche quelli per un compleanno ormai imminente: per LeBron saranno 34 anni il prossimo 30 dicembre, un bel gruzzolo per un professionista NBA. James però non sembra preoccuparsene, felice di essere diventato uno dei “papà” della Lega e protagonista in positivo anche quando si tratta di consolare il figlio a bordo campo dopo una brutta partita. “Non ho mai avuto attorno a me mio padre”, accenna senza battere ciglio in una commossa risposta, in cui continua a lanciare messaggi che vanno ben oltre i 28 metri di parquet sui quali di solito si esibisce. Poi, la stoccata: ai Lakers, nonostante il buon inizio si rischia di non essere in campo il prossimo maggio e soprattutto a giugno. Una sensazione nuova per chi da quasi un decennio è sempre impegnato fino alla fine: “Ci ho pensato, ci rifletto spesso, ma la mia preparazione è pensata in funzione del fatto che io possa essere impegnato fino alle Finals. Mentalmente e fisicamente sto lavorando per quello, altrimenti so bene che perdere prima vuol dire farsi un po’ di vacanza in più…”.
La polemica con Durant, “l’ambiente tossico” e la telefonata di KD
Di domande a James se ne potrebbero fare centinaia, ma alcune diventano irrinunciabili. Come quella riguardo la polemica scatenata da alcuni commenti di Durant che avevano subito fatto notizia, il quale aveva definito “tossico” l’ambiente che si crea attorno al n°23 ogni volta che prova a spremere i giocatori che gli stanno attorno. “A essere onesti, ero un po’ infastidito quando ho sentito per la prima volta le sue parole. Non sapevo da dove fossero venute fuori e in quel momento mi fecero delle domande a riguardo dopo la partita e ho preferito non commentare perché non avevo visto e sentito nulla in via diretta. Ho iniziato il progetto di “Uninterrupted” proprio per questa ragione, perché so bene che tipo di spezzatino si possa fare con le parole degli intervistati, che risultati si possono ottenere cambiando il senso. Per questo ho chiesto il video completo della sua intervista, per farmi un’idea chiara di quello che era successo”. E quindi poi lo hai sentito? “Ho ricevuto una telefonata da KD, lo ha fatto per spiegarmi come si sentiva e come la sua storia e le sue parole avessero preso una svolta che lui non voleva. Come persona poi, non sono il tipo che se la prende a lungo per queste cose, non porto rancore. Non mi aggrappo a nulla che possa in qualche modo togliermi la felicità”. Una sensazione che spesso arrivava soltanto dopo la spasmodica ricerca di un titolo e di una vittoria. Almeno questo è quanto successo negli ultimi dieci anni. Con i Lakers però il discorso è diverso: “Non sarò mai soddisfatto di ottenere un buon risultato. Non sono uno di quelli che si accontenta di essere “OK”. Soltanto la vittoria mi sazia, questo è uno dei principi fondanti dell’intera Lega. È il filo conduttore della storia della NBA. I Lakers hanno sempre pensato al successo. Anche nelle stagioni meno fortunate, si è sempre ragionato pensando alla vittoria”.
Il commento di LaVar Ball e le scuse di James dopo il post su Instagram
E proprio perché i Lakers non riescono a smettere di fare notizia, già prima che filtrassero gli estratti dell’intervista di James su ESPN si continuava a discutere del suo commento riguardo la possibilità di reclutare Anthony Davis. La voce fuori dal coro in questione non poteva che essere quella di LaVar Ball, rumoroso padre di Lonzo finito ai margini nell’ultimo anno dopo l’exploit dell’estate 2017. “I Lakers hanno già abbastanza talento”, risponde infastidito dalle domande di TMZ Sports catturate all’aeroporto quasi controvoglia. Un atteggiamento profondamente diverso da quello “ingombrante” tenuto in passato. “Gli unici con cui Lonzo spera di giocare sono i fratelli”, chiosa LaVar, che di polemiche social sembra essere stufo. Le stesse che hanno accompagnato LeBron dopo che aveva citato in un post su Instagram la canzone “ASMR” dei 21 Savage, in cui si faceva riferimento ai “soldi degli ebrei”. Parole inappropriate, soprattutto se scritte su un profilo seguito da 45 milioni di persone. “Chiedo scusa a chiunque si sia sentito offeso. Non è quella la ragione per cui ho scelto di condividere quella canzone, è una cosa che faccio di continuo. In macchina ascolto sempre della musica, ma non era mia intenzione offendere o ferire qualcuno”. La stessa NBA ha analizzato il "caso" e deciso di non multare, né punire James per la sua condotta. Imparerà in futuro a fare più attenzione anche a questo il n°23, che nel frattempo con la sfida agli Warriors alle porte avrà ben altro a cui pensare.