Una doppia doppia da 23 punti e 17 assist, superata quota 9.000 assist, e una vittoria di prestigio sul campo di Golden State senza poter contare su James Harden. Gli Houston Rockets tornano da Oakland con il miglior Chris Paul dell'anno, ma tengono un profilo basso: "Tra due giorni ce ne saremo dimenticati"
Nell’immediato post-partita, il mantra nello spogliatoio degli Houston Rockets era solamente uno: smorzare i toni. Nessuna dichiarazione ad effetto, nessuna celebrazione, niente di niente: il successo sul campo dei Golden State Warriors, arrivato senza poter contare su James Harden, stato preso come una vittoria qualsiasi. Perché dopo essere andati "a un bicipite femorale di distanza dal titolo", come si riferiscono internamente all’infortunio di Chris Paul negli scorsi playoff, tutti sanno che l’obiettivo è tornare a giocarsela contro Golden State quando sarà primavera e non in regular season, dove peraltro i Rockets hanno vinto le ultime quattro sfide a Steph Curry e soci – come nessuno è mai riuscito a fare nell’era Steve Kerr. "Si può venire qui e vincere un lunedì sera di febbraio o un giovedì sera di novembre e dicembre, ma nei playoff bisogna batterli quattro volte su sette" ha detto CP3 dopo la partita. "È stato bello vincere stasera, ma tra due giorni tutti ce ne saremo dimenticati".
Il vero CP3 sul campo dei campioni
Quello che rimane, allora, è la condizione atletica e mentale messa in campo dal numero 3 dei Rockets, che forse per la prima volta in stagione ha mostrato la miglior versione di se stesso. Alla fine ha chiuso con 23 punti e 17 assist, il suo massimo stagionale per passaggi vincenti, dando l’impressione di essere in totale controllo della situazione come ai bei tempi, guidando la squadra al successo sul campo dei due volte campioni NBA e gestendo al meglio tutti i ritmi della partita. Eppure non chiedetelo a lui, che alla domanda su cosa significasse questo successo, ha risposto un secco "niente". Se non altro, si possono aggiornare i record della sua carriera: con i 17 assist di stanotte ha superato quota 9.000 in carriera (gliene servivano 11) e avvicinandosi al settimo posto occupato da Isiah Thomas a quota 9.061. L’idea di raggiungere John Stockton a quota 15.806 però è stata abbandonata da tempo: giusto qualche tempo fa aveva dichiarato "Non mi piace dire la parola ‘mai’, ma nessuno arriverà mai al record di Stockton. Non so chi prendesse le statistiche nello Utah, ma è del tutto irraggiungibile". In realtà erano solo delle battute, visto che Paul ha voluto specificare ieri che "il suo record non verrà mai battuto perché è stato incredibilmente resistente. Giocava ogni singola sera senza mai fermarmi. E poi tutti questi record significano che sto invecchiando".
Gordon: "Gli avversari più duri degli Warriors siamo noi"
Invecchiando sì, ma la speranza dei Rockets – che in estate lo hanno rinnovato con un quadriennale da 160 milioni di dollari complessivo – è che regga abbastanza per provare l’assalto al titolo quando arriverà primavera, anche sacrificando una grossa porzione di regular season come fatto con l’inizio di stagione. Con l’obiettivo di avere un Paul tirato a lucido per la volata finale, come è sembrato nella sfida contro Golden State – che rimane per tutti l’avversario da battere. "Credo davvero che siamo il loro ostacolo più duro" ha detto Eric Gordon, miglior marcatore dei suoi con 25 punti. "Abbiamo giocato bene, loro non altrettanto, specialmente nel primo tempo" ha detto invece coach Mike D’Antoni, cercando di spegnere sul nascere qualsiasi indicazione che potesse arrivare dopo questa vittoria. "Probabilmente non hanno visto Harden e si sono rilassati. Ogni tanto succede per tanti motivi. Ma l’unica cosa che sappiamo è che dobbiamo già pensare alla prossima". Per i playoff, dopo tutto, c’è ancora tempo.