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NBA, i Boston Celtics "non giocano più da squadra" e non riescono più a vincere

NBA

Dopo il pesante ko incassato dai Celtics a Toronto, i leader dello spogliatoio biancoverde non nascondono il loro disappunto: "Non siamo una squadra", commenta Smart. E Irving non risponde a chi gli chiede come risolvere questa complicata situazione

BOSTON, CHE SBERLA: I CELTICS CROLLANO A TORONTO

L’unico primato da aggiornare in queste settimane per i Celtics è quello della peggior partita dell’anno. E così, dopo il ko incassato a Chicago in una gara da vincere a occhi chiusi, arriva una sberla addirittura peggiore in uno scontro diretto che fotografa bene la condizione di Boston. I ragazzi di Brad Stevens reggono un quarto contro Toronto, prima di essere spazzati via dal parquet senza particolare sforzo dai Raptors. Una dimostrazione di forza che ben rappresenta la distanza dei valori in campo tra le due squadre. I canadesi puntano a prendere il posto dei Cleveland Cavaliers in vetta alla Eastern Conference, Boston invece sembra essere un bel po’ indietro rispetto al previsto. “Qual è l’ingrediente principale del collasso della squadra? – sottolinea Marcus Smart, uno dei più critici nelle ultime settimane - Non riuscire a giocare insieme. Questo è quanto, non siamo una squadra, chiaro e semplice. È evidente, anche perché se fossimo stati un gruppo sul parquet non avremmo fatto questa pessima figura”. Le 31 lunghezze di svantaggio toccate nel terzo quarto infatti rappresentano il punto più basso – statisticamente, e non solo - di una regular season che continua a regalare delusioni ai biancoverdi. “Ne parliamo tanto, discutiamo riguardo al dover essere uniti, ma è qualcosa che va affrontato in campo. Siamo nel mezzo di un periodo complicato e soltanto lavorando sul parquet si può trovare il modo di venirne fuori”. Il tentativo di andare oltre le difficoltà contro i Raptors dura un quarto, prima di sprofondare senza più tornare in singola cifra di svantaggio. “Ci hanno letteralmente travolto sotto ogni aspetto del gioco – commenta coach Stevens – la realtà dei fatti è che non siamo stati in grado di difendere come sappiamo nelle ultime gare. Non abbiamo mostrato la solidità necessaria in questi due match. Contro Milwaukee abbiamo fatto la nostra parte, ma loro sono stati più bravi. Toronto invece ha avuto vita facile: le nostre scelte in difesa sono state fallimentari”.

Lo spogliatoio spaccato, le critiche e il silenzio di Irving

Colpa anche di chi non è riuscito a correggere il gioco dei suoi, come sottolineato dai commenti a mezza bocca fatti dai giocatori infastiditi dal pessimo risultato. Aperte le porte dello spogliatoio ai reporter infatti, Kyrie Irving era seduto con un’abbondante dose di ghiaccio sulle ginocchia e con Danny Ainge presente al suo fianco; impegnati in una fitta discussione bruscamente interrotta. Visti i fotografi e i cronisti in agguato, il president of basketball operations di Boston si è fatto da parte, lasciando il n°11 biancoverde a disposizione delle domande. A chi gli chiede delle perplessità e delle scelte difensive fatte dai Celtics, Irving risponde infastidito: “Non lo so, chiedete a Brad e non a me”. Una risposta certamente più articolata di quella data da Marcus Morris, che ripete in maniera meccanica: “Passiamo alla prossima domanda”. Nessuno a grande voglia di parlare, soprattutto di quello che è stato appena detto da compagni e allenatori. Una tensione surreale, molto più preoccupante delle frizioni viste sul parquet. Basta chiedere conto a Irving delle parole di Smart per farlo tornare sulle sue: “È l’opinione di Marcus, la rispetto”. “Dovremmo essere più connessi, ragionare sulla stessa lunghezza d’onda. È un tema che portiamo avanti da tempo ormai”, fa eco coach Stevens. “La squadra non combatte più come in passato”, aggiunge Al Horford, in un crescendo di autocritica da parte dei veterani. Il tutto culminato nella domanda a Irving, il giocatore attorno a cui continua a gravitare il futuro dei Celtics. “Come si può risolvere tutto questo, superare queste frizioni e rimettere a posto le cose?”. I microfoni si allungano verso la bocca di Irving, che non risponde. Resta in silenzio, forse il miglior modo di affrontare il momento più difficile da quando è arrivato andato via da Cleveland.