Un aneddoto risalente al 2011, quando il n°23 dei Clippers giocava a Philadelphia: il rapinatore aveva riconosciuto il giocatore, famoso nella zona nord della città come benefattore e, nel momento del colpo, sono venuti fuori tutti i suoi sensi di colpa
Le telecronache NBA, soprattutto quelle di fine stagione quando le sfide spesso rappresentano uno scontro tra forze e interessi sul parquet differenti, possono diventare il pretesto per raccontare storie mai sentite e aneddoti sconosciuti a molti. È quanto accaduto durante la sfida tra New York Knicks e L.A Clippers, nel momento in cui Lou Williams è andato in lunetta a seguito dell’ennesimo fallo subito: 40 secondi scarsi per accennare a quanto successo otto anni fa, a Philadelphia. Un tentativo di rapina finito con hamburger, patatine e una seduta di psicanalisi gratuita. L’accenno fatto durante il commento del match è diventato virale sui social già prima della sirena finale, tanto che i cronisti si sono fiondati sul n°23 dei Clippers partendo con le domande proprio da lì e non dall'ennesima prova decisiva in uscita dalla panchina con cui la squadra di Los Angeles ha vinto al Madison Square Garden. E Williams a quel punto ha assecondato la curiosità di molti scendendo a fondo nei dettagli.
Le parole di Williams: "Era in difficoltà, ho provato a dargli una mano"
“La storia è del 2011, quando giocavo a Philadelphia. Ero andato dal barbiere in città e una volta uscito e salito in macchina ho iniziato a guardare il cellulare in maniera distratta. A quel punto ho sentito un click vicino al finestrino e alzando la testa mi sono reso conto che la persona che avevo visto - e mi aveva rivolto la parola poco prima per strada - mi stava puntando una pistola in faccia. Non so bene perché non sono sceso subito dall’auto. Avrei dovuto, ma invece ho istintivamente abbassato il finestrino e lui ha iniziato a urlarmi di scendere. Abbiamo iniziato a guardarci negli occhi e lui era chiaramente in difficoltà. Diceva: “Dannazione Lou, non avrei mai potuto fare questo a te”. Era in crisi e poi ha proseguito: “Dopo tutto quello che hai fatto per questa città, per la gente dei quartieri più poveri di Philadelphia, non avrei mai potuto pensare di ritrovarmi così”. Tutto questo era dovuto al fatto che nella zona nord della città, quella nella quale ero stato un sacco di volte e che conoscevo a fondo, rappresentavo una persona in grado di inseguire e realizzare i sogni. Ero uno di loro che ce l'aveva fatta. Conoscevo Meek Mill ben prima che diventasse famoso ad esempio. Quando faceva freddo in zona, eravamo i primi a distribuire cappotti e sciarpe. Sono più volte andato alle industrie di Burlington a comprare dei vestiti per i poveri, a dare una mano a chi non ce la faceva ad affrontare l’inverno… di solito facevamo cose del genere. Organizzavo degli eventi in cui giocare a basket d’estate, insomma un’intera comunità che è molto vicina a me. E questo rapinatore veniva proprio da lì, conosceva questa storia meglio di chiunque altro. “Sono appena uscito di prigione, sono scosso e arrabbiato. Tutto ciò che possiedo è questa pistola”. A quel punto mi sono guardato intorno e ho visto che poco più in là c’era un McDonald. Gli ho detto: “Fratello, abbassa quell’arma e andiamo lì così posso comprarti qualsiasi cosa tu voglia mangiare”. Era chiaro che la sua intenzione non fosse più quella di rapinarmi, è salito in auto con me e gli ho ripetuto che avrei assecondato ogni suo desiderio. E così sono andate le cose: arrivati al Mc, ci siamo seduti a mangiare e a parlare. Era distrutto, continuava a ripetere che era con il morale a terra e io gli ripetevo che potevo prendermi un po’ cura di lui, ma quello non era il modo giusto di agire”. Una lezione molto più importante delle tante impartite agli avversari sul parquet.