Jokic ha continuato a dormire e mangiare come al solito - nonostante i 65 minuti sul parquet - Millsap è andato a passeggiare per liberare la testa, mentre Murray "ha fatto i compiti": ognuno a modo suo ha trovato la chiave per vincere gara-4 e rimettere in equilibrio la serie
Meno di 44 ore dopo, Nikola Jokic era di nuovo sul parquet del Moda Center, impegnato a dimenticare i 65 minuti di sforzo che avevano portato in dote soltanto una sconfitta. Ritornati in autobus in albergo ben oltre la mezzanotte, i Nuggets hanno recitato la parte peggiore in una partita passata alla storia come la più lunga dei playoff: quattro overtime chiusi con una sconfitta. Il recupero a quel punto era diventata una questione prima di tutto mentale. Sabato sera il front-office e tutto lo staff degli allenatori dei Nuggets ha cenato in un locale in centro a Portland, guardando la partita tra Houston e Golden State e studiando tra un piatto di carne e l’altro le tendenze di un avversario ancora lontano. Altri membri della squadra sono andati sulla costa a godersi l’oceano e un po’ di relax, ma quello che interessava sapere è che cosa hanno fatto i giocatori. Loro in campo hanno dimostrato di aver smaltito la delusione, ma come si affronta un post-partita del genere? “Ci eravamo detti che ‘se avessimo vinto gara-4, la sconfitta dopo una maratona del genere non avrebbe pesato poi molto’. Certo, avevamo giocato quattro overtime ed eravamo esausti, ma osservata da questa prospettiva adesso quella sfida persa pesa molto meno”. Sorride Jokic, soddisfatto per la seconda tripla doppia in fila e per aver guidato i suoi a riconquistare il fattore campo. Nessun programma particolare previsto per il recupero, se non il caloroso abbraccio dei suoi fratelloni – che non sfigurano in quanto a stazza al suo fianco. “Ho mangiato bene, ho guardato un bel po’ di TV, poi ho mangiato di nuovo, ho dormito e… a essere onesti, non ho pensato alla partita per niente”. La forza della spensieratezza, per un giocatore che ai suoi primi playoff in carriera sta dominando ben oltre le aspettative. Durante l’intervista con The Athletic, un tifoso dei Blazers a bordocampo poi prontamente allontanato dalla sicurezza ha iniziato ad apostrofarlo come “un ciccione”, ma neanche quella sembra una tecnica in grado di destabilizzarlo.
Paul Millsap e Jamal Murray, due visioni opposte del recupero
Inevitabile quindi rivolgersi anche a Paul Millsap; il veterano del gruppo, a suo modo decisivo con la sfida chiusa in doppia doppia da 21 punti e dieci rimbalzi. La ricetta per recuperare da una fatica del genere non esiste: “Avevo bisogno di un po’ d’aria fresca, questa è stata la mia unica accortezza. Sono uscito a passeggiare, facendo soltanto cose normali. In situazioni del genere bisogna schiarirsi le idee, non devi pensare a cose particolari. Hai necessità soltanto di un giorno di totale riposo. Alcuni ragazzi sono andati a cena assieme, altri hanno fatto shopping, facendo una passeggiata. È una giornata come le altre, nonostante le aspettative per la sfida che ci attendeva fossero inevitabilmente alte. La routine resta sempre la stessa: la cosa peggiore che puoi fare è chiuderti nella stanza a pensare a quello che è andato storto. Ragionarci troppo è deleterio, avere qualcosa da fare invece è fondamentale per recuperare”. Un punto di vista ben diverso rispetto a Jamal Murray: “Ho passato tutto il sabato a ragionare, a riflettere sulla partita. Questo è il modo in cui puoi imparare dagli errori. Analizzare ogni giocata, capire quali non hanno funzionato e dirti: ‘In questa situazione potevo fare questo, tienilo a mente perché la prossima volta tu non commetta lo stesso errore’. Fa tutto parte di un processo di crescita. Ne ho parlato un sacco con mio padre. Siamo rimasti chiusi nella stanza d’albergo tutto il giorno”. E il risultato sono stati 34 punti con 10/20 al tiro e un’invidiabile freddezza a cronometro fermo: un 11/11 che nel finale ha deciso il risultato in favore dei Nuggets. Quelli di sicuro non si possono allenare in hotel.