L’eliminazione per mano dei Milwaukee Bucks apre la lunga estate dei Boston Celtics, legata a doppio filo alla decisione di Kyrie Irving sul suo futuro. Tra le enormi difficoltà nella serie e l’ammissione di colpa di coach Stevens, la sua scelta potrebbe avere enormi ripercussioni su tutta la NBA
Ritornando con la mente a nove mesi fa, era difficile immaginare che la stagione dei Boston Celtics si concludesse in questa maniera. Con LeBron James lontano dalla Eastern Conference e con i ritorni di Kyrie Irving e Gordon Hayward, era opinione piuttosto consolidata che i biancoverdi fossero i favoriti assoluti per andare alle Finali NBA, anche perché le avversarie sembravano decisamente meno attrezzate ed esperte rispetto a loro. Anche dopo una regular season altalenante in cui i Celtics sono riusciti a malapena a conquistare il fattore campo per i playoff, c’era la convinzione – sia all’interno della franchigia che fuori – che questa squadra avesse da qualche parte un “interruttore” da poter premere al momento dell’inizio della post-season, diventando la squadra che tutti si aspettavano potesse diventare. Invece lo sono stati sostanzialmente solo per una partita, la gara-1 vinta in maniera convincente sul campo dei Milwaukee Bucks – ma non sono più riusciti a replicare quella prestazione, perdendo le successive quattro partite per 65 punti complessivi. E non c’è neanche da cercare troppo in profondità per capire dove sono mancati, visto nelle quattro sconfitte hanno tirato con il 37.7% dal campo e il 28.4% da tre punti con un rating offensivo di 96.5 punti segnati su 100 possessi, concedendone invece 112.6 all’attacco di Milwaukee.
Le difficoltà di Irving nella serie
Al centro di questi problemi offensivi non può che esserci Irving, che ha fallito nella sua prima serie competitiva da primo violino di una squadra dopo l’addio a LeBron James nell’estate del 2017. Il numero 11 ha chiuso gara-1 con 26 punti, 11 assist e 12/21 al tiro, ma da lì in poi ha inanellato una serie di pessime prestazioni al tiro: 4/18 in gara-2, 8/22 in gara-3 (suo massimo nella serie con 29 punti), 7/22 in gara-4 e infine 6/21 nell’ultimo episodio della serie. Il computo totale dice 25/83 dal campo e 5/27 da tre punti, aggiustando le percentuali solo dalla lunetta (due errori su 23 tentativi) e sembrando in difficoltà contro le attenzioni della difesa di Milwaukee, senza riuscire a far girare la serie dalla parte dei Celtics – che è poi “quello per cui sono stato portato qui”, per utilizzare le sue parole nel corso della serie. “A dirvi la verità, non è il momento di essere delusi” ha detto dopo l’eliminazione in gara-5. “Dobbiamo solo accettare la lezione e la batosta che ci hanno dato, e andare avanti. La pallacanestro è un viaggio: ovviamente vorresti continuare a giocare il più possibile, ma a volte sono gli altri a fermarti, e loro si sono meritati la serie. L’hanno voluta di più”.
L’ammissione di Stevens: "Ho fatto un pessimo lavoro"
Dopo una serie del genere, tutti in casa Boston Celtics devono sentirsi sul banco degli imputati. Il primo a mettercisi da solo, però, è stato coach Brad Stevens – che tra tutti i protagonisti della stagione biancoverde era stato quello meno messo in discussione, forte dei risultati ottenuti negli ultimi anni. “Sono il primo a dire che, di tutte le stagioni che ho fatto qui da capo-allenatore, questa è stata la più difficile” ha detto dopo gara-5, prima di sganciare la bomba. “Penso di aver fatto un cattivo lavoro. Alla fine, se la squadra non riesce a trovare la sua quadratura, la colpa deve ricadere sull’allenatore. Capisco che non abbiamo rispettato le aspettative che c’erano su di noi: abbiamo passato una stagione sulle montagne russe, ma penso anche che i ragazzi abbiano mostrato molto carattere in diverse occasioni quest’anno. Fin dall’inizio ho detto che quando sono uniti, lo spogliatoio va alla grande. Semplicemente non siamo riusciti a giocare in maniera unita come speravamo di riuscire a fare”.
Il futuro di Irving e dei Celtics: cosa succederà a luglio?
Il risultato finale della stagione apre ora la lunga estate dei biancoverdi, che hanno diversi giocatori in procinto di diventare free agent. Due sicuri sono Marcus Morris (il cui contratto è in scadenza da unrestricted) e Terry Rozier (che invece è restricted), mentre Al Horford, Aron Baynes e soprattutto Kyrie Irving dovranno decidere se esercitare l’opzione a loro favore per rimanere o uscire dall’ultimo anno di contratto. Ovvio che gli occhi di tutti siano puntati su Kyrie Irving, la cui decisione potrebbe provocare reazioni a catena spostando gli equilibri delle conference – a partire ovviamente dai Celtics. Se decidesse di rimanere, infatti, il General Manager Danny Ainge metterebbe tutto quello che ha da offrire sul tavolo per arrivare ad Anthony Davis, mettendolo al fianco di Irving per ridare la caccia al titolo e convincere Davis a rifirmare nel 2020; se invece Irving dovesse decidere di non rimanere, difficilmente verrebbero sacrificati giovani come Jaylen Brown o Jayson Tatum per un solo anno di Davis, visto che comunque AD sarà free agent tra un anno. Le voci su un suo passaggio ai New York Knicks insieme a Kevin Durant si rincorrono ormai da mesi, ma nelle ultime settimane una nuova squadra sembra passata in testa alle sue preferenze: i bookmakers di Las Vegas, infatti, indicano i Brooklyn Nets come la destinazione più probabile di Irving, uno scenario che in pochi finora avevano ipotizzato. Sarebbe l’ennesimo colpo di scena di questa stagione infinita per l’ex Cavs, la cui decisione sarà una delle storie più intriganti da qui all’estate.