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NBA, Jaylen Brown, "innovatore e visionario" per l’MIT: "Voglio rivoluzionare la scuola"

NBA

L'ala dei Boston Celtics è stato inserito dalla prestigiosa università di ricerca di Cambridge tra gli 11 visionari chiamati a portare il proprio contributo a una nuova visione di futuro. Con un obiettivo dichiarato: "Voglio rivoluzionare il sistema scolastico"

JAYLEN BROWN E LA PROFESSORESSA CHE LO VEDEVA IN PRIGIONE

ACUTO E IRREQUIETO: JAYLEN BROWN NON E' UN GIOCATORE COME GLI ALTRI

È una delle più importanti università di ricerca di tutti gli Stati Uniti e forse di tutto il mondo, la sua sigla – MIT, sta per Massachusetts Institute of Technology – è tra le più conosciute e rispettate nel mondo accademico. Fondata nel 1861 a Cambridge, non lontano da Boston, dal 2013 ha istituito un programma denominato Director’s Fellows che vuole riunire e connettere tra loro una serie di leader carismatici e visionari provenienti da campi diversi, uniti soltanto da quel tratto peculiare che contraddistingue la cultura dell’MIT stesso: l’antidisciplinarietà. Ecco allora che il Director’s Fellows riunisce artisti, scienziati, filosofi, avvocati, educatori e sportivi, tra i quali quest’anno – è appena stato annunciato il suo nome – si annovera anche un giocatore NBA. È Jaylen Brown, l’ala reduce dalla sua terza stagione nella lega, non l’unico sportivo nella lista degli 11 neo-arrivati, che comprende anche il leggendario skateboarder Rodney Mullen. La sfida, ambiziosa, che Brown vuole assumersi all’interno dell’MIT riguarda il campo dell’educazione scolastica: “Voglio rendere la scuola una cosa cool”, il proclama del giocatore biancoverde. Per farlo sceglierà personalmente 10 ragazzini dalle comunità più povere di Boston e dintorni e darà loro la possibilità di studiare utilizzando strutture e metodi messi a disposizione dall’MIT. “Lo scopo – dice – è quello di connettere le università più prestigiose con le comunità meno abbienti, ricostruendo il nostro sistema educativo un passo alla volta”. In particolare Brown intende scagliarsi contro uno dei capisaldi del sistema educativo USA, spesso contestati proprio dagli atleti (in prevalenza afroamericani) alle prese con i test di ingresso nei vari college, un sistema di test standardizzati accusato di non tener conto delle diverse provenienze culturali-sociali di ogni singola persona e dei loro background. I test – accusano spesso gli studenti provenienti da aree meno agiate – sono pensati, scritti e strutturati da gente influenzata culturalmente dal proprio background (diversissimo da quello dei ragazzi) e costringe tutti a uniformarsi a una scala di valori da loro arbitrariamente stabilita. Jaylen Brown vuole cambiare tutto questo: “Voglio che i ragazzini di Boston parlino con quelli di Compton e quelli di Compton con quelli in Indonesia. Voglio una rivoluzione”, le sue ambiziose parole. 

Giocatori e imprenditori: similitudini e differenze

L’ala dei Celtics ha le idee chiare sul suo ruolo, in campo agli ordini di coach Stevens, ma anche e soprattutto fuori: “I giocatori che lasciano il college per tentare fortuna nella NBA non sono diversi dagli imprenditori che abbandonano gli studi [Steve Jobs l’esempio più classico, ndr] per fondare le proprie aziende”. Anzi, fa notare Brown dati alla mano, il rischio degli sportivi è ancora più alto: “Le possibilità di un giocatore NCAA di approdare nella NBA sono dell’1.2% - e per arrivare a questa cifra prima devi riuscire a diventare un giocatore di Division I NCAA, a sua volta già una nicchia molto riservata. Uno studio della Harvard Business School dice invece che per gli imprenditori la chance di successo al debutto è ben più alta, il 18%”. E su questa doppia dimensione – atleta e imprenditore – si muove il n°7 biancoverde, che nel 2016, da rookie, ha firmato un contratto che lo pagherà oltre 6.5 milioni di dollari la prossima stagione, in attesa di rinegoziare poi a cifre molto più alte in futuro. “Solo perché io sono riuscito a superare le barriere che la società e le istituzioni scolastiche hanno costruito non vuol dire che mi possa dimenticare di chi non ce l’ha fatta. Io ho dovuto trascorrere ore e ore in palestra a tirare senza sosta per essere dove sono oggi, ma vorrei che il processo potesse essere un po’ più semplice per i ragazzi delle prossime generazioni. La mia missione è quella di colmare questo gap”.