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NBA, Joseph Blair a Sky Sport: "Simmons-Embiid, la loro diversità è la nostra risorsa"

NBA

Lorenzo Scatigna

Una lunga intervista all’assistente allenatore di Brett Brown - a lungo giocatore in Italia e alla sua prima grande esperienza in uno staff NBA. Reduce dalla sconfitta contro Miami, Joseph Blair ha parlato dei problemi dei Sixers, delle cose da migliorare e delle ambizioni di una squadra che vuole puntare in alto

Al suo primo anno in NBA nel ruolo di assistente allenatore di coach Brett Brown ai Sixers, Joseph Blair - sette stagioni in Italia trascorse giocando tra Fila Biella, Scavolini Pesaro ed Armani Jeans Milano; il più italiano dei non italiani in NBA (ha 2 figli nati, cresciuti e residenti in Italia) - ha parlato degli aspetti più interessanti della sua nuova carriera da allenatore. Dopo le esperienze come assistente ad Arizona University - la sua alma mater - e quella in G-League con i Rio Grande Valley Vipers (affiliata ai Rockets con cui ha vinto il titolo da head coach la scorsa stagione), è finalmente arrivata per lui la grande occasione in NBA, in un contesto interessante e in piena evoluzione come quello di Philadelphia. Reduce dalla sconfitta contro Miami arrivata all’overtime dopo un testa a testa molto combattuto (“Peccato aver perso”, spiega nell’intervista-video in apertura dell’articolo), Blair ha parlato della stagione dei Sixers e della convivenza tecnica sul parquet tra Embiid e Simmons.

 

“Joseph, anzi coach Blair, complimenti per il titolo di G-League e per l’approdo in NBA: ci saremmo aspettati il suo debutto nella lega ai T-Wolves, ed invece…”

“Sì, poteva essere un’opzione, poi però ho avuto l’opportunità di fare degli incontri con i Sixers e con coach Brown siamo subito entrati in sintonia: anche grazie a quell’intesa, sono subito stato assunto”.

 

“Qual è il suo ruolo nello staff di Brett Brown?”

“Il coach ha diviso il suo staff in due parti, difesa ed attacco. Ime Udoka e Jonn Bryant si occupano della difesa; Kevin Young ed io trattiamo solo l’attacco, con speciale attenzione sullo sviluppo dei giochi offensivi dove cerco di portare la mia esperienza come ex giocatore”.

 

“Com’è il rapporto con i lunghi, che in questa squadra hanno un ruolo importantissimo, considerando tutto ciò che è cambiato in questi anni per chi gioca sotto canestro?”

“Premetto che non faccio molto lavoro sullo sviluppo individuale dei giocatori, ma vorrei sottolineare il fatto che siamo una squadra un po’ vecchio stampo, che non abusiamo del tiro da 3 punti come tante franchigie NBA di oggi. Più di tutte le altre squadre, proviamo a far passare il pallone nei pressi del ferro: abbiamo giocatori di talento, in grado di giocare spalle a canestro come Joel Embiid e Al Horford, ma anche con Tobias Harris e Ben SImmons volendo riusciamo a fare la differenza, grazie alla sua taglia fisica. Attualmente sono davvero poche le squadre che giocano come noi. Il rapporto che ho instaurato con i lunghi presenti in gruppo è particolare, visto che cerco di sviluppare il loro gioco all’interno degli schemi e sfrutto la mia esperienza da ex giocatore per metterli in condizione di essere efficaci all’interno dei set offensivi”.

 

“Come si lavora per migliorare la chimica tra Embiid e Simmons, quanto pesano le difficoltà al tiro della point guard australiana?”

“In tanti mi fanno questa domanda, credo che attualmente quasi ogni allenatore NBA abbia dovuto trovare il modo di fare giocare almeno due grandi giocatori che sono bravi in diverse maniere e modi di giocare. Noi cerchiamo di utilizzare tutte le peculiarità di Ben e Joel per aiutare la squadra: l’obiettivo è quello di allargare il campo anche con i lunghi, lasciando spazio a Simmons per penetrare, finire l’azione al ferro o scaricare. Sotto molti aspetti sono complementari: ad esempio, Ben sopperisce con la sua velocità nei coast to coast alla lentezza di Embiid nell’arrivare in contropiede. Non dobbiamo quindi preoccuparci più di tanto per i loro diversi stili di gioco. Per certi versi è una cosa positiva. Non li ho mai visti discutere in merito e anche fuori dal campo hanno un rapporto splendido: questi sono aspetti decisivi”.

 

“L’esuberanza di Embiid quindi non crea difficoltà con i compagni?”

“Assolutamente no. Stando parecchio tempo insieme al lui, ti rendi conto che non è sempre allegro o istrionico. Quando ha questi momenti di esuberanza che si vedono in partita, sono delle enormi esplosioni di energia, di grande apporto e spinta per la squadra”.

 

“Dopo oltre due mesi di regular season, quali sono gli aspetti che Philadelphia deve migliorare?”

“Sicuramente in attacco: dobbiamo imparare ad occupare di più gli angoli e a reinserire al meglio Josh Richardson - un eccellente difensore che ha un modo particolare di approcciare in attacco. Aveva iniziato la stagione molto bene, poi ha saltato otto partite per infortunio a novembre e ha perso continuità soprattutto nel tiro. Nelle ultime sfide ha dimostrato di essere in fase di recupero. Al momento abbiamo problemi di continuità dovuti al fatto che non giochiamo sempre con la stessa intensità. È una questione di mentalità: ad esempio, abbiamo prima battuto con quasi 30 punti di margine gli Heat in casa e poi 20 giorni dopo pensavamo di vincere facile e abbiamo perso con Miami. Stessa cosa accaduta questa settimana: otteniamo una grande e prestigiosa vittoria contro i lanciatissimi Bucks in casa il giorno di Natale e poi due giorni dopo perdiamo ad Orlando. Con la sconfitta a Miami, diventano già quattro le volta in questa stagione in cui perdiamo due (o più) partite consecutive. Evitare una striscia perdente è fondamentale in questa lega, spesso è soltanto un problema mentale. Bisogna sempre avere la concentrazione come nei playoff, pensando sempre al punto d’arrivo e non solo a dove siamo ora”.

 

“Lo scorso anno i Sixers hanno sfiorato le finali di Conference: adesso c’è pressione a Philadelphia?”

“Vera pressione no, però si vorrebbero per lo meno raggiungere gli stessi risultati dell’anno scorso. Il sogno tutt’altro che nascosto è quello di vincere. Coach Brown è forse quello che sente di più la pressione e l’eliminazione dell’anno scorso è rimasta come un cruccio nella sua testa. È ancora amareggiato perché era tanta la convinzione di poter arrivare fino in fondo per davvero. Se torniamo ad avere quella mentalità da playoff, sono convinto che anche questa stagione ci leveremo davvero delle bellissime soddisfazioni”.