Un rapporto particolare quello che legava Kobe Bryant alla secondogenita. Grazie a Gigi lui ritrova una nuova passione per il basket, visto però con occhi diversi. Per amore della figlia cambia idea e torna sui campi di basket per allenare e per dare voce alle donne nello sport
Non aveva più l’ossessione per il basket, Kobe Bryant. Dopo il suo ritiro nel 2016 non era più andato a seguire una partita dal vivo, ne vedeva pochissime pure alla televisione. Non era tanto un rifiuto per la pallacanestro, tutt’altro, aveva semplicemente cambiato priorità. Era troppo concentrato sulla sua nuova ossessione: la scrittura. Se ne era innamorato durante le pause forzate dei suoi infortuni, si era iscritto a corsi di scrittura creativa, gli avevano detto che la sua fervida immaginazione doveva essere supportata dalla cultura, aveva iniziato a studiare per colmare alcune lacune, sempre curioso, esigente con se stesso. L’obiettivo della sua seconda vita era creare, sui libri e poi sul grande schermo, un mondo che fosse un mix di sport, fantasia e magia. Lui stesso lo descriveva così: “E’ come se le Olimpiadi e Harry Potter avessero avuto un bambino”. Era già in fibrillazione per la pubblicazione del suo quarto libro come editore: “The Wizenard Series, prima stagione” di Wesley King la cui uscita è prevista il prossimo 31 marzo.
La simbiosi con Gigi
Kobe non aveva fatto i conti con Gianna Maria-Onore, per lui solo “Gigi” o tuttalpiù “principessa” o "Mambacita”. La primogenita Natalia Diamante, nata nel 2003, dal carattere introverso, timido, molto studiosa, aveva scelto la pallavolo come hobby, non era minimamente interessata alla palla a spicchi. Gigi era diversa. Sarebbe irrispettoso e ingiusto definire Gigi la figlia preferita, Kobe aveva una adorazione pure per Bianka e Capri ma erano ancora troppo piccole, rispettivamente 3 anni e 7 mesi. Gigi gli dava soddisfazione, lo coinvolgeva, il loro rapporto simbiotico era sotto gli occhi di tutti, coinvolgente ai massimi livelli. Forse Kobe dentro di sé, con molta malinconia, pensava che una simile intesa lui l’avrebbe tanto voluta con il padre Joe, troppo distratto o scostante, e nessuno al mondo poteva sapere quanto gli fosse mancata. Chissà. Bambina estroversa, dolcemente ruffiana, gelosissima del suo papà lo marcava stretto, era capace di tenergli il muso se lui si soffermava troppo a parlare. “Sai com’è, la più piccola ha un caratterino, se sente di non esser al centro della mia attenzione si arrabbia”, quasi si giustificò con rara educazione nel rifiutare le richieste di interviste durante le Olimpiadi di Londra 2012 (ndr era venuto da spettatore all’Aquatic Center per rendere omaggio all’ultimo giorno di gare di Michael Phelps accompagnato dalla moglie Vanessa e dalle due figlie che non vedeva da alcune settimane, impegnato in ritiro con la nazionale USA).
La passione di Gigi per il basket
Solo quando Kobe si ritirò iniziò a capire che la sua antica ossessione del basket si era impadronita della figlia. Gigi aveva iniziato a giocare con le compagna di scuola, a casa si nutriva solo di NBA League Pass (l’abbonamento tv per tutta la stagione NBA), passava ore e ore a vedere partite, ogni sera chiedeva al padre di fare uno-contro-uno nella palestra di casa. Lo sfidava proprio. Perché era competitiva come il padre, feroce e ambiziosa. Kobe rivedeva in lei il fuoco sacro che aveva lui da piccolo. Gigi aveva un talento innegabile associato soprattutto a una mentalità competitiva e non comune, la Mamba Mentality tramandata dal Dna.
È merito di Gigi se Kobe ha deciso di allenare, proprio lui che aveva sempre ripetuto a mo’ di mantra: “allenatore io? Mai nella vita”. Per amore di Gigi aveva invece cambiato idea. Nel 2016 aveva fondato la sua Academy che inizialmente era un centro sportivo nato con lo scopo prettamente benefico e umanitario, la Kobe Bryant Academy, successivamente nel gennaio del 2019, complice appunto l’influenza di Gigi, il raggio d’azione si era ampliato all’area sportiva e finanziaria con il nome ad hoc di “Mamba Sports Academy”.
Coach Kobe
Bryant aveva scoperto il piacere di allenare, di infondere la passione, adorava insegnare l’arte del migliorarsi. Anche confrontandosi con i grandi. Nell’estate 2019 avrebbe dovuto restare segreto il camp da lui organizzato nel suo centro di allenamento per 17 fuoriclasse NBA, come allievi aveva stelle del calibro di Kawhi Leonard e Kyrie Irving. La notizia diventò di dominio pubblico, troppo ghiotta la curiosità per queste lezioni personalizzate con il Mamba.
Gigi e Trae Young
La vera passione era però allenare la figlia e le sue coetanee nella squadra da lui creata e affiliata alla Amateur Athletic Union (AAU). Dava consigli, spronava, sgridava, era un fiume in piena, orgoglioso nel vedere come Gigi anche in campo, con i suoi movimenti, fosse il suo clone. Gigi ha pure avuto il merito di riportare Kobe ad assistere alle partite NBA dal vivo. Trae Young degli Atlanta Hawks era il suo giocatore preferito? Ecco padre e figlia assistere insieme per ben due volte lo scorso autunno alla trasferta degli Hawks allo Staples Center e al Barclays Center di Brooklyn, con Kobe a spiegarle gli schemi, ad illustrarle i trucchi di gioco. Fa impressione rivedere ora questo video, soffermarsi sulla loro adorabile intesa.
L'impegno per lo sport femminile
Tanto simili quanto complici, padre e figlia. Per amore della figlia Kobe aveva deciso di sposare la causa del basket femminile, voleva incrementare l’interesse per la WNBA e il college basket, aveva studiato le cifre economiche con l’obiettivo di attrarre sponsor, incoraggiava le atlete a migliorare la disciplina, le abitudini e la pratica, a farsi rispettare di più con l’obiettivo di aumentare il potere contrattuale. Certo, era un interesse di parte: Kobe intravedeva un futuro da professionista per Gigi e le stava preparando il terreno sognando una WNBA sullo stesso piano della NBA maschile. “Alcune giocatrici – aveva recentemente dichiarato alla CNN - sarebbero in grado di competere nella NBA, atlete di qualità come Diana Taurasi, Maya Moore ed Elena Delle Donne”. Più in generale aveva deciso di sostenere tutto lo sport femminile, spendendosi in prima persona. C’è tutto questo dietro le lacrime inconsolabili, domenica sera in campo, di Sabrina Ionescu, attualmente la miglior giocatrice di college basket con la maglia di Oregon candidata ad essere la prima scelta del prossimo Draft WNBA. La 13enne Gigi stravedeva per lei, aveva convinto il padre a conoscerla. La Ionescu ma non solo. Sono state tante le giocatrici, anche quelle della nazionale USA, coinvolte negli ultimi mesi da Kobe in stage o sessioni di allenamento all’insegna della passione e del lavoro duro. Il mondo intero piange la scomparsa di Bryant, di Gigi, delle due compagne di squadra sue coetanee – erano a bordo dell’elicottero insieme ai rispettivi genitori e all’assistent coach di Kobe Christina Mauser -, mancherà a milioni di persone l’uomo Kobe così come la leggenda Black Mamba. Ma allo sport femminile mancherà soprattutto la sua voce: negli ultimi due anni nessun uomo ha usato un megafono così potente per chiedere (e ottenere) attenzione per le donne sportive.