NBA: Michael Jordan, l’infortunio al piede e la regola dei 7 minuti in campo
Uno dei passaggi più commentati delle prime due puntate di “The Last Dance” - serie dedicata all’ultima stagione ai Bulls di Michael Jordan, in Italia su Netflix e disponibile a un prezzo vantaggioso per gli abbonati Sky che sottoscrivono l’offerta Intrattenimento Plus su Sky Q - è stato quello che riguarda l’infortunio subito da MJ nella sua seconda stagione NBA. Un lungo calvario e uno scontro che ha segnato per sempre il suo rapporto con la dirigenza: questo il racconto completo della storia
Tutto inizia alla terza partita della regular season 1985-86: Jordan è al suo secondo anno in NBA e nella stagione da rookie è stato il migliore dei Bulls per punti, assist, rimbalzi e recuperi. Chicago dipende dalla sue giocate - nonostante sia il più giovane e inesperto della squadra - e tutti sperano grazie a lui di andare a riprendersi un posto ai playoff
Nella partita contro i Golden State Warriors però, durante un banale contropiede, il pallone “alzato” non viene raccolto da MJ che atterra male sul piede e zoppicante è costretto a uscire dal campo. Uscito accompagnato a spalla fuori dal parquet, dagli esami venne subito evidenziata la rottura dell’osso del piede: un enorme problema per lui e per la stagione dei Bulls
Il n°23 dei Bulls non aveva mai saltato una partita in carriera fino a quel momento e si ritrovò costretto a restare fuori per ben 64 gare. L’infortunio al piede infatti richiede dei lunghi tempi di recupero: “Me ne stavo in panchina a guardare gli altri giocare - racconta il diretto interessato - ero molto irritabile in quel periodo”. E chiunque provasse a trattenere la sua irrequietezza sottolineando che ancora non era pronto, Jordan risponde: “Conosco il mio corpo, solo io so quando le cose vanno meglio”
IL RITORNO A NORTH CAROLINA - Per recuperare, MJ convinse i Bulls a mandarlo al college - il luogo migliore dove lavorare con tutta tranquillità. “Senza dire nulla, sono andato in palestra a tirare e poi a giocare: prima uno contro uno, poi due contro due e via via, fino ad allenarmi in partita. A Chicago non sapevano nulla, fino a quando non sono tornato e hanno visto che il polpaccio della gamba infortunata era più muscolo dell’altro”. Una notizia che coglie di sorpresa anche la dirigenza: “Ci ha detto soltanto adesso che ha giocato un’ora e mezza ogni giorno: quando l’ho saputo ho rischiato l’infarto”, fu il commento del GM Jerry Krause
L’ANEDDOTO DI REINSDORF - Jordan spingeva per tornare in campo e chiese: “Quante possibilità ho di farmi male di nuovo?”. Il medico rispose: “Il 10%”. A quel punto MJ si scaldò: “C’è il 90% di possibilità che non succeda!”. Ma il rischio era alto, che Jordan potesse addirittura smettere di giocare a basket. Intervenne Reinsdorf: "Se hai un mal di testa terribile e ti danno delle pillole per fartelo passare, dicendoti: 'Scegline una: nove pillole ti guariscono, una invece ci uccide', rischieresti?”. Jordan rispose: “Dipende da quanto mi fa male la testa!”
TENERE FUORI MJ PER PUNTARE AL DRAFT? - La divisione insomma era chiara: da una parte la dirigenza che non voleva in alcun modo forzare il suo ritorno, dall’altra Jordan che iniziava a “sospettare” del fatto che i Bulls volessero tenerlo fuori per perdere il più possibile e puntare a una scelta alta al Draft: un tira e molla che alla fine si concluse lasciando a MJ la possibilità di tornare a giocare, ma soltanto rispettando una rigida condizione
LA REGOLA DEI 7 MINUTI - Alla fine quindi l’accordo era che Jordan poteva tornare in campo, ma soltanto giocando tassativamente 7 minuti ogni quarto. A prescindere dall’andamento della partita. Con il cronometro in mano il suo allenatore dell’epoca, Stan Albeck, lo richiamava in panchina anche mentre stava per tirare i liberi dopo aver subito un fallo. Nessuna deroga, rendendo ancora più frustrato il n°23 dei Bulls. Una linea seguita su richiesta della dirigenza e di Krause: “I medici ci avevano detto che così riduciamo il rischio che si faccia male di nuovo”. Nonostante le limitazioni però, Jordan riesce a riportare Chicago in zona playoff. La post-season per i Bulls è a un passo
LA PARTITA CRUCIALE CONTRO INDIANA - Il 3 aprile 1986 i Bulls si giocano tutto contro Indiana: vincere vuol dire andare ai playoff. A 31 secondi dalla sirena, trascinata dai canestri di MJ, Chicago è sotto di un punto e con la palla in mano per ritornare avanti nel punteggio. I 7 minuti di Jordan però erano scaduti e coach Albeck era stato avvisato: “Se MJ gioca anche un secondo in più del previsto, sei licenziato”. Per quello alla fine il n°23 dei Bulls resta seduto nell’ultimo e decisivo possesso, furente contro chi lo costringeva a guardare e non poter agire. Alla fine ci pensò John Paxson a segnare il clamoroso canestro della vittoria, quello che vale i playoff e che "beffa" la dirigenza dell'Illinois
Quel passaggio è stato fondamentale nel dettare poi il rapporto tra MJ e i Bulls. Chicago infatti era venuta meno a quella che è sempre stata la linea guida della carriera di Jordan: “Bisogna giocare per vincere. Punto. Tutto il resto non conta”. E a nulla servì la decisione post-vittoria da parte di coach Albeck di tenere Jerry Krause fuori dallo spogliatoio, mentre bussava chiedendo invano di poter entrare. No, il rapporto tra Jordan e la proprietà era stato definitivamente segnato
LA SERIE PLAYOFF CONTRO I BOSTON CELTICS - Chicago poi i playoff riuscì a giocarli e fu costretta a sfidare i Celtics "primi della classe": una battaglia impari, resa equilibrata dalle prestazioni clamorose di Jordan. In gara-2 MJ toccò l'apice: 63 punti, record ancora imbattuto di realizzazione in una partita playoff. Quella al termine della quale Larry Bird disse: "Era Dio travestito da Michael Jordan". Tutto questo non ci sarebbe stato senza la tenacia di MJ e la sua voglia di vincere
Quanto ha inciso nella sua carriera l'infortunio e la decisione di tornare il prima possibile a giocare? Poco, per fortuna, visto che Jordan saltò soltanto una partita nelle cinque stagioni successive. L'infortunio al piede era stato completamente superato, aveva scelto la pillola giusta