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NBA, Damian Lillard rivela quale nome avrebbe voluto scrivere sulla sua maglia

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©Getty

Il n°0 dei Blazers, sceso in piazza per giorni a Portland per protestare a seguito della morte di George Floyd, ha rivelato via Twitter quale sarebbe stata la sua scelta se avesse potuto decidere in autonomia cosa scrivere sulla sua schiena: il nome di un ragazzo ucciso a Oakland, una delle tante vittime innocenti della polizia USA

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La questione dei messaggi sociali e di sensibilizzazione da lanciare attraverso il cambio dei nomi sulle spalle dei giocatori non è ancora del tutto risolta. Un’ottima idea secondo molti, un modo per permettere di esprimere la propria vicinanza al mondo rimasto fuori dalla bolla di Disney World. Una scelta che ha portato a galla anche delle contraddizioni, come nel caso di Jimmy Butler che ha chiesto invano di giocare senza nome sulla schiena - ricevendo una risposta negativa dalla NBA, nonostante la quale ha scelto di presentarsi in campo all’esordio contro Denver indossando una maglia ritenuta non regolamentare dagli arbitri. Insomma, il particolare non andato giù a molti è il fatto che la NBA abbia stilato una lista di parole/formule dalle quali attingere, senza lasciare ai giocatori la libertà necessaria per esprimersi anche attraverso quella frase. Tanti, come nel caso dell’All-Star di Miami, avrebbero preferito agire e scrivere qualcosa di diverso.

Un esempio è quello di Damian Lillard, che è sceso in campo in queste prime gare dei Blazers indossando la scritta: “How Many More”, ma che ha spiegato via Twitter che avrebbe volentieri fatto un’altra scelta: “La mia prima decisione era quella di scrivere Oscar Grant”, spiega a chi gli chiede conto sui social. Sarebbe stato un modo per onorare un ragazzo della sua Oakland, diventato tristemente noto dopo la notte di Capodanno del 2009. All’alba di quel giorni alcuni poliziotti fermarono questo ragazzo afroamericano di 22 anni, trattenuto da diversi agenti della stazione Fruitvale - diventata famosa anch’essa dopo le denunce di quanto accaduto. Oscar Grant fu fermato, picchiato, soffocato con il ginocchio sul collo e in fine colpito alla schiena da un colpo di pistola nonostante fosse disarmato. Trasportato di corsa in ospedale, fu dichiarato morto poco più tardi. Una vera e propria esecuzione, un massacro - l’ennesimo - ben raccontato nel film “Fruitvale Station” del 2013. Una pellicola certamente impressa nella mente di Lillard, che avrebbe voluto rendere onore a modo suo a un ragazzo che avrebbe meritato una sorte diversa.

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