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NBA, Kevin Garnett: "Non aver portato il titolo nel Minnesota il mio unico rimpianto"

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©Getty

Dal Sud Carolina a Chicago, dal liceo direttamente nella NBA, dove si è affermato nel Minnesota, si è consacrato a Boston (con l'unico anello della sua carriera), ritirandosi poi a Brooklyn. Garnett ha ringraziato tutti tranne Glen Taylor, il proprietario dei Timberwolves. E non è stato un caso

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Se Tim Duncan ha ammesso di “non essere mai stato così nervoso, neppure durante una gara-7 di playoff”, anche uno dei suoi più grandi avversari in campo, Kevin Garnett, ha vissuto l’ingresso nella Hall of Fame con tutta l’intensità che lo contraddistingue. Ha provato a scherzare fin dall’inizio — “Ho scelto di parlare per primo così poi Bill Russell può andare a letto e non si addormenta”, ha scherzato con la leggenda per eccellenza dei Boston Celtics, presente in platea — e poi si è prolungato in una lunga, lunghissima, quasi infinita lista di ringraziamenti, ripercorrendo tutte le tappe della sua carriera. A partire dal Sud Carolina (“Sono un ragazzo di campagna, mi piace ricordarlo”, ha detto) ma dando grande importanza anche a Chicago, la città che lo ha accolto al liceo e lo ha svezzato, “preparandomi alla NBA”. Non a caso dalle strade di Chicago arriva anche la persona scelta da Garnett per introdurlo nella Hall of Fame: la point guard dei Detroit Pistons due volte campioni NBA Isiah Thomas. “Molti non lo sanno ma quando ero giovane a Chicago lui mi ha dato i consigli giusti che mi hanno spinto al passaggio dal liceo direttamente alla NBA”. Una NBA che per Garnett ha voluto dire tre tappe: Minneapolis (la più lunga), Boston (la più vincente) e Brooklyn (la meno significativa). Anche in questo caso ringraziamenti per tutti — o quasi. Fa notizia (ma neppure poi troppo, visto i pessimi rapporti) il fatto che Garnett non citi neppure Glen Taylor, il proprietario dei Timberwolves, limitandosi invece a ringraziare Kevin McHale (importantissimo per il suo sviluppo tecnico) e Flip Saunders (“Rest in peace”), l’allenatore di tanti anni, scomparso.

“Doc Rivers mi ha reso un uomo migliore, l’anno prossimo sul palco voglio Paul Pierce”

E se nella conferenza stampa il giorno precedente Garnett aveva ammesso di avere come unico rimpianto quello di non essere arrivato ai Boston Celtics qualche anno prima, ne ha scoperto un altro sul palco di Springfield: “Il non essere riuscito a portare un titolo nel Minnesota”. Titolo invece che è arrivato a Boston, dopo un digiuno di 22 anni, nel 2008: “Grazie a Danny Ainge per la sua visione, a Doc Rivers per la sua guida, che mi ha reso non solo un giocatore migliore ma una persona migliore. E grazie a Paul Pierce, mi aspetto di vederti qui sopra il prossimo anno”, ha detto Garnett, lanciando la candidatura di “The Truth” alla Hall of Fame. “Grazie a tutti i tifosi che mi hanno applaudito e che mi hanno fischiato” -- tanti, perché da avversario una furia come KG era difficile da sopportare. E poi l’ultimo, bellissimo ringraziamento: “Congratulazioni a Tim Duncan e a Kobe per avermi spinto a giocare a un altro livello, congratulazioni anche a Vanessa, qui a rappresentarlo. Vi amo tutti”. E il mondo del basket ricambia.

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