La superstar numero 27 dei Denver Nuggets si lascia andare in un pianto liberatorio dopo la vittoria in gara-5 che decreta il conseguimento del titolo di campione NBA. Un percorso lungo e reso più difficile dall'infortunio che lo aveva messo ko nell'aprile del 2021: "Non è stato facile, ma non potevo desiderare un finale migliore"
La gioia ha lasciato subito lo spazio alle lacrime. Jamal Murray, autentico protagonista della cavalcata che ha permesso ai Denver Nuggets di laurearsi per la prima volta della loro storia campioni NBA, si è commosso dopo la sirena finale di gara-5, vinta per 94 a 89 dai suoi che gli è valsa il titolo. “È molto difficile descrivere l’emozione che ho provato, ancora adesso”, ha dichiarato la superstar dei Nuggets a fine partita raccontando i momenti che lo hanno visto scoppiare in un pianto di commozione. “Non sono riuscito a trattenere le lacrime, perché è qualcosa a cui ho lavorato per tutta la vita”, ha continuato. Queste sono sembrate le parole uscite dalla bocca di quel bambino canadese di Kitchener che poteva solo immaginare di calcare certi parquet: “Era il mio sogno sin da piccolo ed è stato proprio quel sogno a spingermi ad andare avanti durante i lunghi mesi dell’infortunio”. Già, perché per Murray il percorso è stato più tortuoso di altri. Nell’aprile del 2021, in una partita di regular season contro i Golden State Warriors il suo ginocchio ha fatto crac: legamenti crociati rotti e lungo, lunghissimo stop. Un infortunio orribile che lo ha tenuto fuori per tutta la stagione ’21-’22 e che lo ha visto rientrare all’inizio di questa: “Non è stato facile. Per diversi mesi non ero più in grado di camminare, di fare le scale”. Ricordando questi momenti il numero 27 dei Nuggets non ha perso l’occasione di menzionare e ringraziare i colleghi che come lui hanno dovuto affrontare un infortunio simile e che gli hanno offerto tanto supporto mentale: “Zach LaVine mi è stato di grande aiuto. Così come Gallinari, Oladipo, Klay Thompson. Tutti loro sono passati attraverso quello che dovevo vivere anch'io, e il loro esempio mi ha spinto a diventare un'ispirazione per chiunque ha dovuto affrontare grossi ostacoli. L'atteggiamento mentale con cui affronti le cose è quello che conta di più”. Ed è proprio la forza mentale che ha permesso a Murray di arrivare ad alzare il Larry O’Brien dopo una stagione iniziata con il freno a mano tirato: “Sapevo che all’inizio avrei fatto schifo. Ricordo come adesso la gara del rientro a Utah, non mi sono mai sentito così perso in un campo da basket”. I fantasmi dell’infortunio sono più difficili da superare dell’infortunio stesso e infatti Murray torna anche su quelle paure: “Non volevo andare in area, andare a rimbalzo nel traffico, avevo timore di atterrare male e volevo evitare ogni tipo di contatto fisico”. Poi, a un certo punto, il clic che ha cambiato la stagione e il corso degli eventi, quando Jamal ha ritrovato la fiducia in se stesso: “Dubbi? Certo che ne avevo, è normale, è naturale. Non ero spaventato, solo esitante. Ma ho sempre avuto fiducia in me e ora posso dirlo, non potevo desiderare finale migliore”. Le emozioni secondo Murray, siano esse positive o negative, sono la parte della vita: “Anche durante queste finali la gente mi chiedeva se sentivo le farfalle nello stomaco. Certo che le sentivo, ma è proprio questo il bello, perché ti senti vivo”. Dal buio dell’infortunio alla luce del titolo NBA, che per Murray è un punto di partenza, non di arrivo: “Altruismo e fiducia sono state le chiavi del nostro successo, ma possiamo vincere ancora”.