Presente a Milano per l’evento One Court organizzato dalla NBPA all’Università Bocconi, Myles Turner ha parlato in esclusiva con Sky Sport della sua carriera, di cosa è cambiato quest’anno grazie all’arrivo di Rick Carlisle e le maggiori opportunità avute in campo, grazie anche a un playmaker come Tyrese Haliburton. Con una parola alla base di tutto: fiducia
Myles Turner sprizza fiducia da tutti i pori. Lo si nota al primo sguardo, sia perché è difficile non notare la sua figura imponente, sia per l’incredibile outfit con il quale si è presentato davanti a noi per rispondere a un po’ di domande sulla sua carriera NBA, sui suoi interessi fuori dal campo e sull’allenatore che ha cambiato la sua carriera. Perché, se non ve ne siete accorti, nell’ultima stagione Turner ha fatto un enorme salto di qualità: in carriera non era mai andato oltre quota 14.5 punti di media, mentre lo scorso anno ha chiuso a 18; non aveva mai tirato meglio del 51% dal campo, mentre nel 2022-23 ha sfiorato il 55%; e anche a rimbalzo non era mai andato così bene come nella passata stagione, nonostante un minutaggio inferiore ai 30 minuti di media. Sicuramente c’entrano le maggiori opportunità offensive avute nelle gerarchie dei Pacers dopo gli addii di Domantas Sabonis e Malcolm Brogdon, ma è soprattutto il suo sguardo a essere cambiato, l’assertività e l’aggressività con cui scende in campo per imporsi come uno dei migliori giocatori sul parquet ogni singola sera. Di questo e di molto altro abbiamo parlato all’Università Bocconi di Milano, dove l’associazione giocatori ha tenuto una tre giorni di incontri e lezioni con i migliori professionisti del mondo della moda e della finanza per dare le maggiori opportunità di branding a 17 giocatori NBA che hanno deciso di spendere parte della loro off-season sui banchi di scuola.
Come mai ha scelto di venire a Milano e partecipare all’evento One Court?
"Per diversi motivi. Il primo è che la mia sorellina [My’a, 21 anni il prossimo 14 novembre, ndr] è un’aspirante modella, perciò volevo renderla più a suo agio nel mondo della moda e del fashion. Perciò quando ho saputo che potevamo venire qui e imparare dalle menti dei migliori brand volevo che potesse avere questa opportunità pur essendo molto giovane. E poi mi piace viaggiare: mi considero una persona a cui piace immergersi in culture differenti, ho avuto la fortuna di girare il mondo ma mi mancava un’esperienza europea. Questa mi è sembrata un’ottima opportunità per rimediare e per divertirmi un po’, provare qualche vestito diverso [indica il completo nero con cappello e gioielli in stile Texas che vedete in foto, ndr]. È una grande esperienza".
Hai già cominciato a pensare a cosa farai dopo la tua carriera? Hai qualche interesse specifico che vuoi portare avanti?
"Ho mille passioni, anche se quella più grande è quella di poter dare una mano. E poi onestamente posso fare quello che voglio. Non ne ho una specifica sulla quale mi sono focalizzato, ma quando avrò finito so che potrò entrare in qualsiasi stanza ed essere me stesso, avendo successo in quello che faccio. Perciò per rispondere alla domanda: non c’è nulla in particolare, ma non importa".
La passata stagione è stata nettamente la tua migliore dal punto di vista realizzativo: cosa è cambiato?
"La fiducia. Rick Carlisle me ne ha data tanta quando è arrivato, dandomi l’opportunità di andare in campo ed essere me stesso. È la prima volta nella mia carriera in cui mi è stata data la chance di andare in campo ed essere Myles Turner, e questo mi ha portato a cambiare mentalità. Giocatori come Domantas Sabonis e Malcolm Brogdon avevano il pallone tra le mani per molto tempo, perciò non sentivo di avere le opportunità giuste per avere successo. Ma con più libertà di creare e meno movimento di palla, oltre ad avere più esperienza di mio, l’efficienza è salita".
Com’è giocare al fianco di un playmaker creativo come Tyrese Haliburton?
“Rende la mia vita molto più semplice, a dir poco. A Tyrese piace molto coinvolgere gli altri giocatori: non è uno che vuole segnare tanti punti, anche se chiaramente è bravissimo a farlo, ma ha proprio la passione di passare il pallone ai compagni. Mi ha aiutato a espandere il mio gioco rendendomi tutto più facile, sia nel pick and roll ma anche in altre situazioni. Gioca sempre a testa alta, crea gioco per i compagni, è un All-Star per un motivo: non vedo l’ora di poter giocare ancora con lui in futuro”.
Sei da 8 anni agli Indiana Pacers, ma spesso il tuo nome è stato inserito in voci di mercato: ti dà ancora fastidio o è diventata abitudine?
"Una volta mi dava molto fastidio, specialmente nei miei primi anni di carriera, ma poi ho imparato che in questa lega le trade sono un argomento tabù: è una cosa di cui non si parla perché alla fin fine è un business, io sono un asset di una azienda. E un buon asset, se devo dirla tutta. Perciò se sono in mezzo a voci di mercato ogni anno, facendo il mio lavoro, significa che sto andando bene, che sono bravo in quello che faccio. Ora non mi dà più fastidio: fa parte del gioco, ma so anche a chi devo la mia lealtà. E sono agli Indiana Pacers da tutta la mia carriera, fortunatamente".
Avendo appena esteso il tuo contratto coi Pacers, pensi di rimanere a lungo?
"Vedremo. Ho firmato per altre due stagioni, ma certe decisioni non sono di mia responsabilità. Per i prossimi due anni però sono a posto".
Com’è il tuo rapporto con coach Carlisle? Cosa lo rende diverso dagli allenatori che hai avuto in passato?
"Io e Rick la pensiamo in maniera molto simile. È uno che non si tiene dentro niente, non sa dire una bugia, ti dice sempre quello che pensa in faccia, ed è una che io rispetto sia come professionista che come giocatore. Perché se mi dici es attamente quello di cui hai bisogno, io vado in campo e lo faccio; se c’è un po’ di confusione o devi leggere tra le righe quello che intende dire veramente, non posso avere successo come giocatore. Come ho detto prima mi ha dato grande fiducia: mi ha detto che l’organizzazione aveva bisogno che io fossi me stesso, e io ho sfruttato al massimo l’opportunità. Provo grande affetto per lui: è stato a casa mia un paio di settimane fa per un barbecue di famiglia. È davvero un personaggio: è sempre se stesso ed è una cosa che io rispetto, e poi al di là di tutto è un allenatore destinato alla Hall of Fame".