Il playmaker francese si prepara a entrare nella Basketball Hall Of Fame insieme a coach Gregg Popovich e ai compagni dei trionfi in maglia Spurs. Parker ci ha quindi aperto il suo album dei ricordi per chiacchierare di San Antonio, della Francia, dell'NBA che cambia e anche di vino
Tony Parker si appresta a entrare nella Basketball Hall of Fame, sigillo finale su una carriera a dir poco straordinaria. Il suo ingresso a Springfield, però, sarà del tutto particolare. Ad accompagnare il francese ci saranno infatti coach Gregg Popovich e amici di lunga data come Tim Duncan, Manu Ginobili e David Robinson. Non solo, nella serata del 12 agosto prossimo, Parker avrà il doppio ruolo di celebrato e celebrante. A introdurlo saranno infatti Duncan e Ginobili, mentre lui, insieme ai due ex compagni e a Robinson, introdurrà coach Pop. Una serata dalla forte connotazione nero-argento, insomma, oltre che un’occasione per ripensare al percorso incredibile fatto con la maglia degli Spurs e con quella della Francia.
Tra qualche giorno avrai l’onore di entrare nella Hall of Fame e lo farai insieme a Gregg Popovich. Una delle cose che tu e coach Pop avete in comune è la passione per il vino, la domanda è quindi: avete già deciso cosa bere dopo la cerimonia? Del rosé come piace a te o il rosso preferito dal coach? E, cosa ancora più importante, chi pagherà il conto del vino?
"Credo che berremo sia il rosé che il rosso, l’occasione merita di essere celebrata per bene. Non ho ancora deciso cosa berremo, ma mi piacerebbe molto portare in tavola bottiglie delle annate 2003, 2005, 2007 e 2014, cioè quelle in cui abbiamo vinto il titolo a San Antonio. Quanto al conto, penso che tocchi al coach pagare perché è il più vecchio dei due e funziona così".
La relazione tra te e Popovich, all’inizio, è stata abbastanza complicata. C’è stato un momento particolare in cui ricordi che tutto si è sbloccato oppure il vostro rapporto è cresciuto gradualmente nel corso del tempo?
"Direi che è cresciuto nel corso del tempo. Di certo con me coach Pop si è preso un bel rischio: all’epoca non c’erano playmaker europei in NBA, e lui ha comunque deciso di affidarsi a un ragazzino francese pelle e ossa. Il nostro rapporto si è cementato anche durante le numerose cene insieme, e il vino ha giocato un ruolo importante. Quando sono arrivato io a San Antonio non esistevano stelle europee, l’esplosione di Dirk Nowitzki e Pau Gasol è arrivata dopo, ma Pop, ancora una volta, aveva visto lungo. Credo poi che la stagione 2011-12 sia stata quella della transizione, in cui mi sono state affidate sempre più responsabilità in campo. E continuo a pensare che quando abbiamo vinto il titolo nel 2014, quello visto sul campo sia stato il miglior basket mai giocato dagli Spurs".
A Springfield, tra una decina di giorni, la presenza di San Antonio sarà fortissima. Cosa significa per te il termine “Spurs Culture”?
"Significa molto, giocare a San Antonio è stata una benedizione. Ho trovato un ambiente in cui l’unico obiettivo era vincere e per farlo erano tutti disposti a mettere da parte il proprio ego. In campo si giocava uno per l’altro, e da playmaker non avrei potuto chiedere di meglio. Il fatto che ci fosse quel clima cosmopolita dentro lo spogliatoio, poi, con giocatori che arrivavano da tutto il mondo, rendeva tutto ancora più incredibile. E poi i tifosi degli Spurs sono fantastici, sono davvero contento che adesso possano godersi Wembanyama. Per me, da francese con il cuore a San Antonio, è quasi la chiusura di un cerchio. E, infine, devo per forza menzionare l’amico Marco Belinelli, il mio giocatore italiano preferito!".
Pau Gasol, amico e grande rivale
Che effetto ti fa entrare nella Hall of Fame insieme a Pau Gasol, contro cui hai giocato sfide memorabili in NBA così come tra Francia e Spagna?
"Quella è stata una grande rivalità, Gasol e la Spagna mi hanno spinto a migliorare. La Spagna aveva giocatori dal talento pazzesco, era la squadra da battere e io volevo portare la Francia a vincere la sua prima medaglia d’oro. Ce l’ho fatta ed è stato bellissimo. Certo, se non fosse per Pau avrei molte più medaglie (sorride N.d.A.). Scherzi a parte, provo solo grande rispetto per Gasol, abbiamo giocato uno contro l’altro fin da quando eravamo bambini ed entrare insieme nella Hall of Fame sarà bellissimo".
Cosa pensi del cambiamento che ha avuto il ruolo di playmaker? Siamo reduci dalle ultime NBA Finals dominate da un playmaker di 211 centimetri…
"È incredibile e penso che non si possano fare paragoni con il passato. Oggi tutti devono saper tirare da tre e trattare la palla, ai giocatori viene chiesto di essere prima di tutto versatili. Il gioco è cambiato moltissimo ed è quindi naturale che cambino anche i suoi interpreti. Non ha senso affermare che sia meglio o peggio di prima, è semplicemente diverso".
Nella tua lunga carriera hai giocato contro un numero pressoché infinito di grandi campioni. Ci dici qual è il quintetto ideale dei compagni con cui hai condiviso il parquet e quello dei migliori avversari che hai incontrato?
"Vediamo, nel quintetto ideale dei compagni ci siamo io, Ginobili, Leonard, Pau Gasol e ovviamente Duncan. Tra gli avversari scelgo Curry, Bryant, James, Nowitzki e O’Neal."